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Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 60principio" riprese Jeanne "l'idea di lasciare mio fratello non mi avrebbe potuto venir in mente. Lei, per le discordanze nostre, mi ha amato sempre meno e io l'ho amato sempre più, perchè io non avrei mai voluto ch'Ella diventasse come me, avrei voluto invece diventar io come Lei!" Tacque e dopo brevi momenti di silenzio alzò gli occhi lagrimosi aspettando una risposta. Piero teneva i suoi fissi nel vaporar lento della nebbia, nelle foglie dei noci, gravi di umidore. La tristezza delle cose pareva conscia di quel silenzio doloroso. "Dio, Dio!" gemette Jeanne, sottovoce. "Oggi" soggiunse dopo un'altra pausa "se quest'acqua fosse veleno non Le chiederei se la dovrei bere." Piero la guardò, attonito. Appena ella ebbe detto amaramente, come parlando a se stessa, "Neppure si ricorda!" gli venne in mente Praglia, il bicchier d'acqua sparso. "Sì" diss'egli, commosso. "Mi ricordo. Neppure oggi Le direi di bere." Ella sospirò: "Per pietà, forse". "Oh no!" Jeanne ebbe un sussulto di speranza, ma poi ripetè malinconicamente: "Sì, sì, per pietà". Parole calde parvero salire alle labbra di lui e arrestarsi. Non ne uscirono che queste: "Non lo dica!". Jeanne si voltò sul fianco e con la punta dell'indice tracciò sull'acqua la parola: pietà. "Lei" disse con una tranquillità nuova, guardando lo specchio dell'acqua ricomposta "ha perduto la poesia dell'amore, ricadrà nelle tentazioni di prima, si cercherà delle amanti o piuttosto se ne compererà." "Non ho perduto la poesia dell'amore." Ricominciò un silenzio eterno. Piero guardò l'orologio, osservò sommessamente ch'erano quasi le tre e mezzo. Aveva ordinato che la vettura fosse pronta per le quattro, volendo prendere a Villascura il treno delle sei. Jeanne non lo sapeva, trasalì, ma si chetò subito. Però non si mosse e siccome egli pareva stare in attesa, disse: "Vada, io resto qui." A lui quella tranquillità parve sospetta. Aveva udito parlare di precipizi vicini, vaghe apprensioni gli salirono in cuore. Insistette perchè Jeanne si alzasse, perchè scendesse all'albergo. Jeanne ripeteva: "Vada! vada!" senza muoversi. "Ma non posso" diss'egli "lasciarla così!" E soggiunse teneramente: "Vieni, vieni, forse un giorno...". "Forse un giorno...?" diss'ella in un lampo di dolcezza e di amore. "Forse un giorno ci sarà fra noi quella concordia di anime che può giustificare una unione stretta." Esprimeva egli il proprio intimo pensiero oppure lo avevano quelle apprensioni vaghe tratto più in là? Jeanne tornò a oscurarsi, mormorò scuotendo incredula il capo: "Pietà." Egli si guardò attorno, si chinò, le pose sui capelli un bacio e sussurrò: "No, cara, speranza." Ella piegò la testa per prendere quanto poteva del bacio, un fugace lume di beatitudine le si diffuse sul viso. "Se è vero" disse "che lo speri, resta fino a domani. Altrimenti penserò che non è vero." Egli aveva respirato i soffici, morbidi, fragranti capelli, la dolce offerta, e gliene tremava il cuore. Rispose con voce malferma: "Resterò." Jeanne si alzò in piedi, fece "grazie!", mise un lungo sospiro, guardò Piero come talora una madre guarda scherzando il suo bambino, con un tenero, gioioso viso infantile; perchè a lui piaceva, in passato, di farsi guardare da lei così. Gli piaceva ancora! Ella rise un breve sommesso riso, un riso inconsciamente voluttuoso che pareva dire: "Riconosco la fiamma degli occhi tuoi, un giorno a me sgradita, adesso mi dài un bacio, lo so, e non sui capelli". Infatti, lentamente lentamente, il viso del giovane si accostò al suo che lentamente lentamente si disponeva, si porgeva grave all'incontro. Allora le due anime salite sulle labbra si dissero tale una cosa che poi, quando le labbra si disgiunsero, gli occhi non sostennero di guardarsi. Altre volte Jeanne e Piero si erano incontrati senza parole in quel pensiero segreto, ma ostilmente. Ora non fu così. Ora la donna sentiva che vi era un ripugnante modo di trattenere il suo amore per sempre; l'uomo sentiva che vi era un dolce modo d'incatenarsi per sempre e che lei non era più tanto ferma nella sua resistenza. Ambedue, attratti e respinti, trepidavano. Intanto si era levato un vento molesto che soffiava loro la nebbia in viso. Campani di mucche scendenti all'abbeveratoio suonaron vicino. Jeanne e Piero si avviarono verso Rio Freddo, la prima breve passeggiata di tutti i visitatori di Vena, lei camminando avanti, in silenzio, col senso dello sguardo fisso di lui, volgendosi con un sorriso quando lo sentiva tanto forte da soffrirne. Poco a poco la nebbia si aperse, apparve a destra, nero, imminente, il tragico Picco Astore, apparvero in un chiarore di sole pallido pendenti grembi e molli dorsi di pascoli, alture nere gremite di abeti, profili grandi delle creste di Val Posina. E presto intorno ai due silenziosi ruppe il sereno da ogni parte, l'erbe imperlate brillarono, lo smeraldo dei pascoli si ravvivò, le cervici calve di Picco Astore diventaron fulve, gli umidi aromi della montagna odorarono. Jeanne sedette sur un muricciuolo diroccato che troncava il sentiero dove si gitta dal prato in una macchia. Pallida, spossata dall'ultima ripida salita, non poteva parlare, sorrideva guardando lui. Lì presso era un cespuglio di nascenti faggi misti ad abeti. Jeanne sospirò, guardandolo: "Che piacere vivere uniti qui, sempre, sempre, dimenticare il mondo basso! Ah! che gioia, che gioia!". Attese invano una parola di Piero, mormorò ancora, con gli occhi bassi: "Non dici niente?". Piero non parlò. Neppure parve udirla. Pareva guardasse l'ombra del proprio capo sull'erba. Ella si alzò, si fece aiutare a scavalcare il muricciuolo, si mise risolutamente, seguita da lui, nella macchia. Pochi passi per intricati rami, su pietroni affondati nei muschi, sconnessi dalle radici degli abeti e dei rododendri ed ecco, a destra e a sinistra, l'orribile Profondo, la mostruosa cintura di scogli, lunata e rientrante sotto le creste coronate di abeti, come una colossale onda che frangendo si rovescia all'indietro; ecco Rio Freddo, il pauroso confine del paradiso verde di Vena, la valle dell'Ombra della Morte. Jeanne mise il piede sopra un lastrone sporgente fra gli abissi. Piero l'afferrò alla vita ed ella si rovesciò indietro alle sue braccia, chiudendo gli occhi. La strinse a sè, la coperse, tacendo sempre, di carezze così violente, che Jeanne, atterrita, supplicò: "No, no, no!" Allora il giovine, di botto, lottando con se stesso, ristette; ella gli sguisciò dalle braccia e scavalcato il muricciuolo, saltò dalla macchia sul prato aperto. Qualcuno saliva verso di lei e le domandò da lontano del "signor conte". Era il vetturale piantato in asso da Piero. Il signor conte, partiva o non partiva? Perchè lui doveva partire a ogni modo. Piero cercò inutilmente di persuaderlo a restare fino all'indomani mattina. Quegli, regolato il suo conto, se ne andò. Maironi guardò Jeanne. "Dovevo partire stasera!" diss'egli. Ella chinò gli occhi e non rispose. Discesero in silenzio, ella seria, egli triste. Ripassando presso la fontana dei noci Jeanne lo guardò alla sfuggita come per dire: "Il principio è stato qui". Poi non lo guardò più. Raggiunto il posto dove, per andare al Covile del Cinghiale, conveniva prendere a sinistra, esitò un momento. Prese invece il sentiero che sale verso il villino dei Faggi e di là conduce all'albergo. Non una sola parola fu scambiata fra loro fin presso al villino. Allora Piero domandò alla sua compagna se fosse proprio in collera con lui. "Non lo so" diss'ella, e lo guardò teneramente, dubitando di averlo offeso. Lo vide così turbato che si smentì subito, affannosamente: "No no, caro, non sono in collera, ti amo troppo!". Nel villino si faceva musica. Jeanne si fermò al cancello, ascoltando. Era un pezzo per violino e piano. L'arco, impugnato da una mano potente, strappava dallo strumento, alternandole a un fine cinguettìo di sussurri, apostrofi grandiose che parvero a Jeanne di tragico rimprovero e di scongiuro. 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