Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 63

Testo di pubblico dominio

qualcuno che veramente non ha prudenza nel parlare. Bisogna compatire! Grazie a Dio, se sono stato anch'io così, adesso non lo sono più. Vedo che Lei è con lo Spirito Santo; dicano, dicano al signor Direttore come ragiono bene, e ch'è un delitto di tenermi ancora qui!" Il signor Direttore era poco lontano, udì, promise amorevolmente a colui di licenziarlo presto, gli consigliò di andare intanto a pigliar il suo caffè e latte. L'infelice obbedì silenziosamente, dominato, come un essere inferiore, da un senso, fra pauroso e sdegnoso, dell'autorità. Il Direttore si unì ai due, parlò allo smarrito Piero, con la sua filosofia serena, di Amleto, che stava leggendo, delle geniali divinazioni di Shakespeare nel rappresentare le frenosi, di quel curiosissimo Amleto che simula la pazzia e non si accorge di essere davvero non solamente un nevrastenico ma proprio un deficiente. Sulla piccola scala del quartierino abitato dalla inferma incontrarono la marchesa Nene, che accolse il genero con un sorriso tranquillo, con un che di risoluto nel viso e nella voce, non riuscendo però a reprimere e nascondere quella sovreccitazione nervosa che la teneva continuamente in moto. Gli accennò di affrettarsi. L'Elisa desiderava vederlo almeno un momento prima di essere visitata dal professore di Bologna. Presto! Si capiva che la marchesa non voleva parole affettuose nè lagrime, che resisteva eroicamente all'angoscia perchè intorno all'ammalata tutto fosse tranquillo, nessuno perdesse la testa. Aveva mandato il piagnoloso Zaneto a riposare. Resistette al genero che voleva abbracciarla. "Vieni, vieni!" diss'ella. "Sii forte, forte!" come se parlasse al più innamorato dei mariti. Ella lo precedette nella stanza sacra del dolore, calda, scura, silenziosa. Mormorò con tenerezza sorridente: "È qui Piero, sai; un momento, un momento solo!" e si fece da parte. Egli entrò, scorse appena, nell'ombra, il biancor fioco del letto, la figura fosca della suora infermiera, che si era levata in piedi, udì una debole voce dolce dire: "Apra un poco" e mentre la marchesa diceva piano: "un pochetto, sa suora, un pochetto solo" si appressò in punta di piedi al letto, la vide. Erano quasi tre anni che non la vedeva così da presso e gli parve trasfigurata. Il viso, da bianco e roseo ch'era stato, mostrava ora sotto le accensioni della febbre il pallore caldo dell'avorio, il naso si era venuto affilando, gli occhi parevan tanto più grandi, più scuri e più lucenti. Mai quel viso non era stato così bello, così penetrato d'anima. Gli tese le braccia, gli prese il capo, lo raccolse a sè, gli sussurrò sulla bocca "grazie" ed egli la baciò appena, quasi non osando. "Che ti veda!" diss'ella a stento, tanto il respiro era affannoso; e ravviandogli lentamente con la mano i capelli sulla fronte ch'egli aveva rialzata, lo guardò, lo guardò con i grandi occhi scuri fissi, dove scattavano, alternandosi, scintille di dolore, scintille di tenerezza, sorrisi di pace. "Basta, Elisa, basta" mormorò la mamma. L'inferma piegò il viso a destra, posò le labbra sul braccio del marito. "Addio!" diss'ella. "Dopo, vero, torni? Ho tante cose!" Piero si chinò a baciarle l'orecchio scoperto, vi mormorò: "Per sempre tuo, sai". Ella chiuse gli occhi, beata, e rispose: "Del Signore." III Nel corso della giornata si manifestò un lieve miglioramento. Il professore di Bologna aveva necessariamente stancata l'inferma con gl'interrogatori e le auscultazioni; le aveva quindi prescritto il più assoluto riposo. La diagnosi era stata conforme a quella dei due medici curanti, la prognosi meno pessimista. Il pericolo era che al cader della febbre l'ammalata si spegnesse per esaurimento, ma il professore confidava nelle risorse di un organismo giovane e anche nei mezzi dell'arte. Egli aveva tenuto il suo discorso nel salottino attiguo alla camera dell'ammalata, rivolgendosi particolarmente alla persona che gli era stata presentata come il marito. Riuscì duro a Piero di sostenere quello sguardo, di accettare quella preferenza immeritata. Avrebbe voluto dire: "Parli a sua madre, io non son degno". Neppure si credeva degno di mostrare la sua commozione vera; ne vergognava quasi come d'una ipocrisia. Il professore non intendeva ripartire prima di sera. In città si era subito saputo della sua venuta e tre o quattro richieste di consulti erano arrivate allo Stabilimento prima di lui. Piero desiderava che ritornasse da sua moglie, e uscì con esso dal salotto per dirglielo fuori, da solo a solo, con tutto quel fuoco d'affanno che sentiva in sè, che non avrebbe voluto mostrare agli altri. E lo supplicò di aprirgli la verità intera. Il professore l'aveva detta, non poteva che confermare le sue parole precedenti. "Speriamo, speriamo" diss'egli. "Vedo che lo meritano tanto tutti e due, poveretti." Piero strinse e scosse le mani, senza parlare, a quell'uomo buono che sempre più si persuase del proprio intuito, della diagnosi morale improvvisata così sui due piedi. Verso le quattro del pomeriggio l'inferma dormiva, vegliata da sua madre. Nel salottino don Giuseppe stava leggendo il breviario e Zaneto, molto confortato, parlava sottovoce a Piero, rimescolava certi suoi vecchi ricordi del luogo, d'una sua zia che vi era stata curata in gioventù. Egli mise poi il discorso sull'asilo campestre che sua moglie era venuta disponendo per la figliuola, sulla opportunità di passarvi l'autunno, sul soggiorno da scegliere per l'inverno. Quando ebbe sparse tutte queste rose sull'entrata d'un discorso spinoso, si arrischiò a mettervi un piede. "Mi è stato parlato" diss'egli "di dubbi che avresti circa la provenienza della tua sostanza, dubbi che ti impedirebbero un atto di assoluta proprietà. Non lo dico per niente, sai! Non lo dico per niente! Te ne parlo per il puro tuo interesse. Si tratta di una questione che conosco. Ne ho udito discorrere in casa mia da giovinetto, più volte, e anche poi, da uomo. È una questione che non è questione. Si tratta di un testamento annullato per non so quale difetto, se di data, se di forma, se d'altro. Ora questo considerar poco i difetti di forma sarà generoso ma non è giusto. Il difetto di forma riflette sempre un dubbio sulla sostanza! Domanda a qualunque direttore di coscienza..." "Nessuno di costoro farà mai per me" pensò Piero; notò in pari tempo che l'ascetico suocero e la scettica Jeanne venivano per vie diverse a incontrarsi con l'egoismo sulla stessa cattedra di consiglio. La marchesa Nene porse il capo dall'uscio e chiamò Piero. L'Elisa si era svegliata, lo voleva. Mentre il genero entrava ella uscì, gli disse sorridendo con un'aria di compiacenza quasi affettata che l'Elisa la cacciava di camera. E soggiunse piano: "Poco, poco, poco!". La suora era uscita prima. L'inferma accennò al marito di sedere presso il letto, dal lato opposto alla finestra, gli sorrise, gli stese la mano. Egli baciò la piccola mano di avorio, arida, calda, e la tenne fra le sue. "Meglio, non è vero, cara?" Ella porse le labbra nel disegno di un bacio e mormorò come se non avesse udito: "Mi rincresce tanto, adesso, di non avere avuto un bambino." Piero protestò. Perchè parlava così? Non sapeva che guarirebbe? Che i medici n'erano sicuri? L'inferma non rispose, gli accarezzò le mani, guardandole, e dopo un momento disse con voce appena intelligibile: "Domani sera..." "Cosa, domani sera?" "Fra le sette e le nove" diss'ella. Piero ebbe una stretta al cuore. Forse la mente di lei si oscurava da capo? La richiamò: "Elisa!" Allora ella lo guardò un momento in viso e gli ridiscese quindi con gli occhi alle mani continuando l'amoroso moto delle sue, aperse le labbra. Piero non intese, si chinò, raccolse, durando ella sempre, grave in viso, a guardargli e accarezzargli le mani, questo alito: "Domani sera, fra le sette e le nove, vi lascio." Egli si sentì gelare il sangue, pensò alla divinazione dei morenti, non seppe lì per lì articolar parola. Poi la contraddisse

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Argomenti: pari tempo,    voce dolce,    debole voce,    pallore caldo,    organismo giovane

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