La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 86

Testo di pubblico dominio

rovesciando e storpiando più di dieci persone, passò come un uragano sotto la porta che dava nella campagna fugando la sentinella che aveva tentato di fermarlo e in quindici minuti giunse dinanzi alla capanna di Ahmed. Con una violenta strappata arrestò lo sbuffante corsiero che stava per passare sul corpo di Medinek. —Dov'è Fathma? chiese rabbiosamente al guerriero. —Il carnefice l'ha portata via, rispose l'interpellato. —Maledizione!… Dove? —Al lago. —Quando? —Venti minuti fa. Notis s'allontanò, lanciando il cavallo ventre a terra. —Padrone! gli gridò dietro Medinek. State in guardia! Avete
Abù-el-Nèmr dinanzi!
—Ira di Dio! tuonò il greco. È uomo morto!… L'animale, col petto spruzzato di spuma, il ventre insanguinato dai colpi d'jatagan del furente cavaliere, andava rapido come una freccia, colla criniera al vento, le nari fumanti, gli occhi dilatati, gettando di quando in quando un sordo nitrito. Vi era da temere che soffocasse. In venti minuti l'immenso campo del Mahdi fu attraversato, poi il cavallo slanciossi attraverso le pianure del sud-est sollevando nembi d'impalpabile sabbia. —Vola! vola! gli urlava incessantemente il greco, tempestandolo di pugni. Bisogna che giunga in tempo di salvarla! La via era diventata deserta. Qua e là si scorgevano qualche solitario palmizio e dei tumuli ornati di lapilli a svariati colori che formavano bellissimi disegni, e di armi, come lancie, archi, vecchi moschetti irruginiti e scudi. Il greco trasalì nel riconoscere delle tombe. Erano le sette circa quando udì in distanza lo scalpitìo di parecchi cavalli. —Eccoli! mormorò egli con intraducibile accento. Il cavallo eccitato colla briglia e colla punta dell'jatagan raddoppiò la velocità ansimando furiosamente e raggiunse i piedi di una catena di colline che piegava verso il sud-est, dividendo per metà la deserta e sabbiosa pianura. Il greco cacciò fuori una spaventevole bestemmia ed arrestò di colpo l'animale. —Ira di Dio! Eccoli! Dinanzi a lui, a un seicento metri di distanza, galoppavano dei guerrieri guidati da uno sceicco. In quest'ultimo Notis aveva riconosciuto Abù-el-Nèmr. —Ah! cane! ruggì egli allungando le mani verso le fonde della sella dalle quali uscivano i calci di due pistole. Per un istante ebbe la pazza idea di inseguire quei guerrieri e d'impegnare con essi una disperata pugna, ma la paura di avere la peggio lo trattenne. Gettò all'intorno uno sguardo crucciato e l'arrestò su di un negro che erasi levato dietro una montagnola di sabbia. —Dove mena questa via? gli chiese. —Al lago Tscherkela. —E quella delle colline? —Egualmente. —Quale è la più corta? —Quella delle colline. —Fathma è salva! Tornò rapidamente indietro e si cacciò in una stretta gola rinserrata da colline tagliate a picco. Il cavallo la percorse tutta d'un fiato, poi entrò in una valle ingombra di cespugli gommiferi e di tamarindi colossali. Il lago, se lo sentiva, era ormai vicinissimo. L'aria era più fresca e volavano per l'aria stormi di pellicani e di fenicotteri, volatili che mai si allontanano dalle acque. Ad un tratto il cavallo si arrestò. Tremava, rantolava, e aveva chinata la testa sul petto. Notis comprese che era agli estremi. Lo percosse coll'impugnatura dell'jatagan, ma l'animale non si mosse. —Ira di Dio! bestemmiò egli furibondo. Bisogna che tu cammini! Accese un po' d'esca e lasciò cadere una bricciola in un orecchio della povera bestia. A quel contatto si diede subito a precipitosa fuga scuotendo disperatamente la testa. Era giunto quasi all'uscita della valle quando tornò ad arrestarsi. Cacciò fuori un ultimo nitrito, poi rotolò pesantemente al suolo; uno sprazzo di sangue gli uscì dalle nari e rimase immobile, irrigidito dalla morte. Il greco non si perdette ancora d'animo. Strappò dalle fonde della sella le pistole e si mise a correre come un pazzo. Appena uscito dalla valle il lago Tscherkela gli si svolse dinanzi tutto d'un tratto, racchiuso fra ridenti rive. Un mahari era legato al tronco di un palmizio, e sulla cima di una piccola roccia che cadeva a picco sulle acque, stava un negro di colossale statura, tenendo alzato al disopra della sua testa un gran sacco di pelle che pareva racchiudesse un corpo umano. —Ferma! Ferma!… gridò il greco con accento disperato. Il muggito delle onde, che sollevate da una fresca brezza, si frangevano contro le roccie, impedì al carnefice di udirlo. Il momento era terribile. Fathma stava per essere precipitata nel lago. Un momento ancora e tutto sarebbe finito. Un'improvvisa idea balenò nella mente del greco. Puntò una delle due pistole; s'udì una strepitosa detonazione seguita da un urlo di dolore e da un tonfo. Yokara e la sua vittima erano capitombolati nel lago. Il greco, fuori di sè, si precipitò verso la costa e scagliate via le pistole balzò nelle onde. Passò un minuto lungo quanto un secolo, poi riapparve. Con una mano nuotava e coll'altra sosteneva il sacco contenente la povera Fathma. Nuotò vigorosamente verso la riva, scalò agilmente le roccie, depose l'almea sulla sabbia e con un rapido colpo di jatagan squarciò il grosso tessuto. Si chinò ansiosamente su quel bel corpo che non dava più segno di vita e appoggiò una mano sul cuore. Sentì che batteva leggermente. —Viva! Viva!… tuonò egli. Ah! sei alfine mia! Le sue labbra sfiorarono dieci volte di seguito quelle scolorite dell'almea; egli rideva e piangeva dalla gioia. Il galoppo di parecchi cavalli, che rapidamente si avvicinava, gli richiamò alla mente Abù-el-Nèmr. Gettò uno sguardo verso il lago, nel quale dibattevasi ancora il carnefice Yokara colla testa fracassata dalla palla della pistola, afferrò strettamente fra le braccia Fathma, scattò in piedi e si diede a precipitosa fuga senza sapere dove andasse nè che cosa avesse in mente di fare. Aveva percorso duecento passi, quando udì una voce gridare: —Ehi, alt! Se non t'arresti sei morto! Il greco a quell'intimazione si volse digrignando i denti. A cinquanta passi da lui stava Abù-el-Nèmr col fucile spianato, circondato dai suoi guerrieri. —Maledizione! gridò il greco che comprese d'essere irremissibilmente perduto. Con un rapido gesto sguainò l'jatagan e lo puntò sul seno dell'almea gridando ad Abù: —Se non ti fermi la uccido! Nell'istesso istante Omar sbucava da una macchia di bauinie slanciandosi verso il miserabile. Cinque negri lo seguivano armati fino ai denti. —Ah! cane! gridò lo schiavo tendendo la dritta armata di revolver. Quattro detonazioni scoppiarono l'una dietro l'altra. Il greco girò due volte su sè stesso, stravolse gli occhi, un getto di sangue gli sgorgò dalle labbra e piombò a terra bestemmiando. —È morto! esclamarono i guerrieri accorrendo. Omar in pochi salti lo raggiunse. Il morente si agitava ancora stringendosi furiosamente al petto Fathma e macchiandola di sangue. —Mi riconosci? gli chiese il negro. —Sii… maledet…to! mormorò Notis. Il negro gli appoggiò la canna del revolver alla fronte e con un quinto colpo gli fece saltare le cervella. —Ora sono vendicato! esclamò. Gli strappò dalle braccia la sua padrona, l'adagiò sulla fine sabbia, e le si inginocchiò accanto esaminandola attentamente. —Vive? chiese Abù-el-Nèmr con profonda emozione. —È viva, rispose Omar. Fra pochi minuti ritornerà in sè. Abù-el-Nèmr respirò e si terse un freddo sudore che grondavagli dalla fronte. —Povera donna, mormorò egli. Che tu possa essere alfine felice. Una nube oscurò la sua fronte e i suoi sguardi s'intenerirono. Quell'abbronzato volto, di solito così aperto e fiero divenne triste, cupo. —Che hai? gli chiese Omar che s'era accorto di quell'improvviso cambiamento. —Nulla, Omar, nulla, balbettò con voce soffocata lo sceicco. Dov'è
Abd-el-Kerim?
—Eccolo, disse un guerriero. Infatti l'arabo era improvvisamente apparso all'uscita della gola e s'avvicinava a spron battuto. Ma non era più lo spaventevole agonizzante di

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Argomenti: cinquanta passi,    freddo sudore,    rapido gesto,    solitario palmizio,    spaventevole bestemmia

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