La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 63

Testo di pubblico dominio

fare un passo, un terzo si arrestava più lontano, un quarto, si sbandava cercando invano una goccia d'acqua. I cavalli, i cammelli ed i muli, abbandonati a sè stessi dai cammellieri, accrescevano ad ogni istante la confusione, rimanendo indietro, avanzando od andando a traverso a urtare le ali dell'esercito. Invano Hicks pascià sagrava, invano gli ufficiali si spolmonavano, invano lo Stato Maggiore galoppava a dritta, a sinistra, dinanzi e di dietro radunando le disperse compagnie. Verso mezzogiorno l'esercito entrava nei boschi di Kasghill colla speranza di trovare delle sorgenti ed estinguere l'ardente sete. Era appena entrato che urla terribili scoppiarono in coda al quadrato del colonnello Farquhard. Migliaia e migliaia d'insorti, difesi da grandi scudi e armati di coltellacci, di fucili, di lancie, di scimitarre e baionette, erano improvvisamente usciti dai circostanti boschi caricando furiosamente gli egiziani. L'urto fu sanguinosissimo. Gl'insorti, niente atterriti dal fuoco del quadrato, si avventavano sulle punte delle baionette emettendo urla acute, tentando di sfondare quella muraglia umana. Ma fulminati dinanzi e sciabolati a tergo dai basci-bozuk, si ritirarono confusamente gettandosi in mezzo alle fitte boscaglie dove l'inseguimento diventava impossibile. Hicks pascià fece suonare il segnale della fermata e si fece porre in batteria le mitragliatrici e i cannoni. Era tempo. Nuove torme di insorti sbucavano dai boschi con impeto disperato sfidando impavidi il vivissimo fuoco della moschetteria e l'uragano di piombo delle mitragliatrici. Alla loro testa marciavano i dervis[1] incoraggiandoli colla voce e coll'esempio e recitando le terribili parole dei Khuatsar che suonano così: [1] Dervis, uomini che hanno una fama di santoni. Il Mahdi, ne aveva molti. —Colpisci senza tema, giacchè colui che tu odi ha meritato la morte. I sei quadrati avevano un gran da fare a tenere testa a quei furibondi che sprezzavano la morte e non chiedevano altro che di colpire. Ne uccidevano cento e ne sorgevano duecento, ne ammazzavano di più e ne sorgevano mille, duemila, cinquemila, ventimila. La strage durò tre ore senza interruzione poi vi fu un po' di sosta. Gli insorti, respinti su tutta la linea, sventrati e mutilati dal fuoco delle mitragliatrici, si ritirarono ma senza abbandonare i boschi di Kasghill. Hicks pascià, premuroso di giungere a El-Obeid, fece riordinare i quadrati e diede il segnale di rimettersi in marcia. Non aveva, l'esercito, percorso duecento passi, che nuovi insorti apparvero dinanzi e di dietro, a destra e a sinistra, saettando colle loro lunghe lancie i basci-bozuk e massacrando orribilmente i disgraziati che feriti o affranti o colpiti dalle insolazioni rimanevano indietro. Ogni mezz'ora Hicks pascià era costretto a far suonare l'alt, far mettere in batteria le mitragliatrici e comandare il fuoco. Alle sette di sera fu giocoforza accampare. L'esercito, sfinito, assetato, arrostito dal sole, acciecato dalla polvere, non era capace di fare due passi innanzi. I cammelli e i cavalli dei convogli vennero legati gli uni agli altri in modo da formare un'ampio cerchio e attorno a essi i sei quadrati si accamparono. La notte era oscurissima. Dense nubi, nerissime come se fossero di pece, si erano accavallate in cielo e correvano come cavalli sbrigliati. Colpi di vento umido, di quando in quando scendevano facendo curvare gli alberi della foresta. Al sud lampeggiava e il tuono brontolava. O'Donovan, Fathma e Omar, divorato in furia il magro pasto, si diressero verso gli avamposti per vedere coi loro occhi come stavano le cose. I soldati erano tutti in piedi e i cannonieri erano ritti accanto ai loro pezzi. Tutti aspettavano il nemico che aveva silenziosamente circondata la boscaglia e che aspettava il momento propizio per gettarsi sopra i quadrati. —Che brutta notte che si prepara, disse O'Donovan. —Verremo attaccati? chiese l'almea. —Senza dubbio. —Con questa oscurità? —Gl'insorti s'accosteranno più facilmente. —Vinceremo? —Non credo, Fathma. I nostri soldati hanno paura e non possono tenersi in piedi tanto sono stanchi. In quel momento la luna apparve sull'orizzonte facendo capolino fra due gigantesche nubi. O'Donovan impallidì. —Ecco la luna che vendicherà l'Islam! esclamò. Non aveva ancora finito che alcuni spari rimbombavano agli avamposti. —All'armi! s'udirono gridare le sentinelle. —Il nemico! gridò Omar. La sua voce fu coperta da urla feroci, da urla di guerra e di morte. —Colpisci senza tema, gridavano quelle voci. Colpisci senza tema giacchè colui che tu odi ha meritato la morte. I dervis s'avanzavano colla scimitarra in pugno rovesciando sull'esercito egiziano migliaia e migliaia di fanatici. Una terribile grandinata di palle cadde sugli egiziani, molti dei quali stramazzarono a terra mandando urla dolorose. I sei quadrati vacillarono da un capo all'altro e le linee si ruppero in varii luoghi. Alcune compagnie, côlte da invincibile panico, presero la fuga gettando armi e zaini. —Si salvi chi può! urlarono alcuni vigliacchi. —Fuoco! s'udì tuonare Hicks pascià. —Fuoco! ripeterono i comandanti. Le trombe diedero il segnale di cominciare il fuoco e il combattimento accanito, terribile, sanguinosissimo, cominciò. Il fracasso diventò ben presto spaventevole. Gli egiziani, assaliti da tutte le parti da migliaia e migliaia di guerrieri, tiravano furiosamente, all'impazzata e assaltavano colla baionetta; i cannoni tuonavano, ruggivano, vomitando veri torrenti di ferro e le mitragliatrici stridevano sui fianchi dei reggimenti tempestando i cespugli, fracassando i tronchi degli alberi, sollevando per ogni dove il terreno, sventrando i cavalli, i cammelli e gli uomini. Dalle negre boscaglie, avvolte da giganteschi vortici di fumo che il vento sbatteva e lacerava, uscivano senza posa correndo e urlando, drappelli di nudi guerrieri i quali si precipitavano contro le baionette a corpo perduto, sfondando i battaglioni e diradando con ispaventevole rapidità le file. Gli uomini cadevano a dozzine, a cinquantine, a centinaia, dinanzi, a destra, a sinistra, senza quasi sapere da qual lato venivano colpiti, chi colle braccia tronche, chi colle gambe fracassate, chi colla testa nettamente portata via, chi forato da cento colpi. Era una carneficina, un mostruoso massacro. Fathma, Omar e O'Donovan, riparati dietro i loro cavalli sventrati dalla mitraglia, guardavano con angoscia l'assottigliarsi di quelle schiere. Mai avevano assistito ad un macello simile; mai avevano visto tanti morti e tanti feriti; mai avevano udito tuonare assieme tanti fucili e tanti cannoni; mai avevano visto tanta rabbia e tanta ostinazione. Alle undici, quando maggiore era la mischia, l'uragano che da alcune ore minacciava di scoppiare, venne ad accrescere l'orrore di quella notte di sangue. Le cateratte del cielo improvvisamente s'aprirono e una pioggia furiosa si rovesciò sui combattenti mescolandosi ai torrenti di sangue che correvano pei boschi. Il vento cominciò a ruggire, la folgore a scrosciare, i lampi guizzarono illuminando d'una luce livida, infernale, l'orribile macello. Anche il cielo era contro i disgraziati che Hicks pascià conduceva contro il profeta del Sudan. A mezzanotte urla strazianti s'udirono a destra del quadrato di Hicks e poco dopo un'onda di soldati sfondava uno dei reggimenti precipitandosi all'impazzata verso i muli, i cammelli e cavalli. O'Donovan arrestò uno di quegli uomini. —Che succede? gli chiese. —Il quadrato del colonnello Farquhard è stato distrutto. —Maledizione! ruggì il reporter. La situazione diventava spaventevole. I mahdisti, ebbri di sangue e di carneficina, raddoppiavano gli assalti, sfondando una dopo l'altra le linee di battaglia. Di quando in quando si udivano, mescolati agli scrosci delle folgori, al rombo dei cannoni e alle fucilate, le urla strazianti degli egiziani che venivano spietatamente macellati. Alla una del mattino un altro quadrato veniva sfondato e

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Argomenti: tre ore,    due passi,    momento propizio,    terribile grandinata

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