La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 55

Testo di pubblico dominio

basci-bozuk così ammirabile. —Siete certo? disse l'almea sorridendo. —Ve lo giuro. Se io fossi Hicks pascià vi darei subito da comandare uno squadrone di cavalleria. —Burlone. —E sono sicuro che lo comanderebbe meglio di qualche ufficiale, aggiunse Omar, che terminava di abbigliarsi. —Siete certo che non riconosceranno in me una donna? chiese l'almea. —Certissimo. —Allora affrettiamoci a recarsi al campo. Mi preme d'interrogare
Hicks pascià.
—Volete proprio venire dal generale? —Certamente e voi mi presenterete per un vostro aiutante di campo o per qualche cosa di simile. —Mi mettete in un bell'impiccio. —Che c'è di nuovo? Avete paura che vi tradisca? —Non è questo, ma… —Che cosa allora? Dite su, voglio saperlo. —Se Hicks pascià… se vi dasse qualche notizia su Abd-el-Kerim…
Chissà, potrebbe darsi che questa notizia non fosse troppo buona…
—Sapete forse qualche cosa voi?… —No, non so niente, ve lo giuro. La faccia dell'almea si alterò orribilmente; stette per alcuni istanti muta colle mani strette sul cuore. —Sono forte, disse poi rizzandosi fieramente, e sono preparata a tutto. Conducetemi da Hicks pascià. —Quando mi dite di essere preparata a tutto possiamo andare. Si gettarono ad armacollo i remington e uscirono dal tugul inoltrandosi fra le tende delle compagnie accampate. Gli egiziani, vedendo uscire due ufficiali basci-bozuk invece di un uomo e di una donna si guardavan l'un l'altro sorpresi, non potendo credere ai loro occhi, ma O'Donovan non lasciò a loro tempo di osservare troppo. —Prendiamo questo sentiero, diss'egli. Questi soldati si sono accorti del travestimento. —Forse non ho il portamento d'un soldato, mormorò Fathma. —Non è questo. Si sono accorti perchè vi avevano visto entrare e sapevano che il tugul non alloggiava basci-bozuk. Del resto poco importa. Presero un sentieruzzo che scendeva, serpeggiando, il declivio di un colle ed in poco tempo giunsero sul limite estremo del bosco. Fathma e Omar s'arrestarono sorpresi dal grandioso spettacolo che si presentava dinanzi ai loro occhi. A duecento metri da loro, in una immensa pianura ondulata, cosparsa da gruppetti di palme, accampava l'esercito egiziano comandato da Hicks e da Aladin pascià, forte di undicimila e più uomini. Immaginatevi tre o quattro mila tende, disposte nel massimo disordine, secondo il capriccio di coloro che le abitavano, ritte o atterrate, lacerate o rattoppate, bianche o dipinte, alcune aggruppate strettamente, altre separate da centinaia e centinaia di piedi, arrampicantesi sulle colline sabbiose o sui pendii di aridissime rupi. Nel mezzo s'alzavano, e queste con un po' d'ordine, le tende più elevate degli ufficiali, dello stato maggiore e quelle dei generali sulle quali ondeggiavano lacere bandiere egiziane. Dappertutto si vedevano soldati, chi sdraiati per terra o aggomitolati come gatti al sole, chi seduti attorno ai fuochi a preparare il rancio, chi occupati a manovrare, chi a esercitarsi al tiro; vi erano egiziani, negri, turchi, basci-bozuk, europei, tutti in differenti costumi. Dappertutto vi erano fasci di fucili che rifulgevano ai torridi raggi del sole, cannoni, tamburi, barili di munizioni, e in mezzo a tuttociò cavalli, muli e cammelli che nitrivano, che ragliavano, che muggivano, formando colla voce degli uomini un baccano assordante, continuo, paragonabile al fragore del mare in tempesta. —Quanti uomini! esclamò Omar. Che baccano, che confusione, quante armi, quante tende, quanti animali!… —Tanti ma sempre pochi, disse O'Donovan con un sospiro. —Non vi pare che bastino tutti questi? —Pel Mahdi no, sono ancora pochi. —Lo credete? disse Fathma. —Sì mia cara, questi uomini non sono sufficienti per vincere il leone del Sudan. Orsù, andiamo da Hicks pascià. —Qual'è la sua tenda? —Quella che vedete là in mezzo. —E quella… —Di chi?… —Tiriamo innanzi, mormorò Fathma mordendosi le labbra. Entrarono nel campo, attraversando quel labirinto di tende, d'uomini e di animali e mezz'ora dopo si arrestavano presso la tenda d'Hicks pascià, dinanzi la quale vigilavano due sentinelle. —Vammi ad annunciare al generale, disse O'Donovan ad una di esse. —Ci accoglierà? chiese Fathma con voce visibilmente alterata. —Certamente, rispose il reporter. Siate forte. —Lo sono. —Rammentatevi che un sol gesto può tradirvi e forse perdervi. Il generale non tollererebbe nel suo campo una favorita del Mahdi. —Vi dissi già che sono pronta a tutto. Non abbiate paura. Due ufficiali uscirono in quell'istante dalla tenda, e salutarono rispettosamente il reporter che restituì a loro il saluto. —Chi sono? chiese Fathma. —Il capitano di stato maggiore Farquar e il barone Cettendorfs. Due uomini di ferro, specialmente il primo. La sentinella ritornò annunciando che erano aspettati. O'Donovan strinse fortemente le braccia de' suoi compagni, come per raccomandare a loro prudenza, e li condusse dentro. In mezzo alla tenda, seduto su di un tamburo, se ne stava il generale
Hicks con alcune carte topografiche spiegate sulle ginocchia.
Era questi un uomo di bell'aspetto, alto, robustissimo, non ostante che gli pesassero sulle spalle più che cinquant'anni, con una faccia alquanto dura, abbronzata dai raggi solari delle torride regioni e rugosa per le fatiche, ombreggiata da una barba piuttosto lunga, liscia e brizzolata da parecchi fili bianchi. Hicks pascià era un soldato nel vero senso della parola, che sorto dal nulla, mercè la sua rara intrepidezza, la sua energia e il suo talento, era riuscito, passo a passo, a guadagnarsi il grado di generale. Era entrato nell'esercito indiano l'anno 1848. Dopo aver combattuto in quasi tutte le battaglie della grande insurrezione indiana era corso in Abissinia a prendere parte alla guerra contro Re Teodoro, anzi entrava fra i primi in Magdala. Ritiratosi in Inghilterra col grado di maggiore e nominato più tardi colonnello, ripartiva i primi del 1883 per Suakim onde prendere parte alla spedizione del Sudan. Il 13 febbraio, nominato comandante supremo della spedizione, lasciava Suakim con uno stato maggiore composto di dodici ufficiali europei, dieci inglesi e due tedeschi. Giunto a Chartum organizzava l'esercito incorporandovi Arabi, Egiziani, Etiopi e Basci-Bozuk e il 9 settembre mettevasi in campagna con 6000 fantaccini, 4000 basci-bozuk, ventidue cannoni, alcune mitragliatrici, 590 cavalli e 5500 cammelli. Doveva avanzarsi lungo il fiume Bianco costruendo sei forti onde mantenere le relazioni e nell'ottobre o novembre dare battaglia alle orde del Mahdi. Al forte di Kawa batteva i ribelli e poche settimane dopo tornava a vincerli, ma a nulla erano giovate queste vittorie. Assalito continuamente, male organizzato, senza commissariato, senza mezzi di trasporto sufficienti, senza fondo di cassa, l'esercito s'era ben presto demoralizzato. Hicks pascià aveva però tenuto fermo, e sfidando imperterrito le lancie dei mahdisti, la fame, la sete e il caldo, era finalmente riuscito a raggiungere El-Dhuem. Riorganizzato alla meglio l'esercito erasi subito rimesso in campagna risoluto ad espugnare El-Obeid, la capitale del Mahdi, affrontando nuovamente altri ostacoli e altri pericoli senza nome. I soldati cadevano per la stanchezza, i pozzi erano pieni di cadaveri putrefatti appositamente gettativi dai ribelli, i cammelli insufficienti, i nemici sempre più accaniti. Nella prima sola giornata di marcia aveva perduto sette ufficiali, cinquanta soldati e altrettanti cammelli per l'insoffribile caldo! Il 10 ottobre, dopo un continuo scaramucciare, giungeva a Sange-Hamferid e agli ultimi di ottobre faceva accampare l'esercito sfinito, demoralizzato, a Kassegh, aspettando il momento opportuno per gettarsi su El-Obeid ed espugnarla. CAPITOLO XIII.—Lo schiavo di Elenka. Hicks pascià, appena vide entrare O'Donovan e i suoi compagni, mosse sollecitamente a loro incontro con un sorriso bonario sulle labbra. Salutati militarmente i due

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Argomenti: momento opportuno,    limite estremo,    grandioso spettacolo,    vero senso,    sorriso bonario

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