La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 83

Testo di pubblico dominio

El-Mactud lo congedò con un gesto e prosentossi risolutamente all'almea. —Fathma, le disse, devo parlarti. Vieni con me. L'almea, udendosi chiamare per nome da quello sconosciuto trasalì e fissò i suoi grandi e neri occhi su di lui con sorpresa e diffidenza. Pareva che le balenasse un sospetto, nondimeno lo seguì con passo abbastanza fermo. El-Mactud la condusse nell'angolo più remoto della zeribak, ma stette parecchi minuti senza aprir bocca. Era imbarazzatissimo e non sapeva in qual modo cominciare. Comprendeva che una parola sospetta, forse un semplice cenno, poteva tradirlo ed allarmare l'almea. —Fathma, disse finalmente, facendosi animo. Non sei tu la favorita del Mahdi? L'almea tremò dal capo alle piante e si guardò d'attorno con viva ansietà. —Imprudente, diss'ella con un filo di voce. —Perdono, mi dimenticavo che… —Zitto, non nominarmi più. Dimmi come tu sai ciò, chi sei e chi ti mandò da me. —Mi chiamo Dullak e sono amico di un uomo che si chiama… —Chi?… Chi?… —Abd-el-Kerim, le soffiò all'orecchio lo sceicco. Fathma si portò una mano alle labbra per soffocare un grido che stava per uscirle. Indietreggiò, poi si slanciò verso lo sceicco e stringendogli le braccia in modo da stritolargli quasi le ossa, gli disse con voce soffocata: —Ripetimi quel nome, ripetilo! Ho paura di aver compreso male. —Sono l'amico di Abd-el-Kerim, rispose lo sceicco senza esitare. —È impossibile, io sogno! —No, sei sveglia, Fathma. —Non m'inganni tu? —No, ti dico la verità. Non aver paura, povera donna. Un profondo sospiro uscì dalle labbra dell'almea, un sospiro che pareva un grido di gioia soffocato. —Dov'è, dov'è Abd-el-Kerim? chiese ella. Io voglio vederlo, bisogna che io lo veda a qualsiasi costo. Ti prego, ti supplico, mio buon amico, accompagnami da lui. —Calmati, andremo subito da lui. —Dimmi, dove trovasi? Come sta? È vivo, è ammalato, è libero, è prigioniero? —Si trova in una capanna, a due miglia da qui, vivo e libero. —Che posso fare per te? chiese ella estremamente commossa. —Nulla, rispose lo sceicco. —Ma perchè arrischiarti a venire da me? Tu corri un gran pericolo. —Le disgrazie di Abd-el-Kerim mi toccarono il cuore e giurai di aiutarlo a riguadagnare la perduta felicità. Ecco perché sfidai, senza tremare e senza esitare, il pericolo. —Ah! quanto sei buono, mio nobile amico! esclamò Fathma, mettendo le sue mani in quelle callose del traditore. Se un giorno tu avrai bisogno d'un aiuto, pensa a me e ad Abd-el-Kerim. Faremo per te quanto tu avrai fatto per noi. —Me ne ricorderò, disse lo sceicco con ironia. Usciamo, Fathma. Attraversarono la zeribak ed uscirono. Medinek li attendeva con un vigoroso cammello sostenente sulle gobbe una specie di baldacchino circolare chiuso da tende bianche. El-Mactud aiutò Fathma a salire, poi si volse verso Medinek e gli disse rapidamente: —Corri subito dal Mahdi. Gli dirai che gli porto la sua ex-favorita, ma che in cambio mi conceda una grazia. Pregò poi un guerriero di guidare l'animale alla capanna del Profeta ed entrò sotto il baldacchino dando il segnale della partenza col solito «ich! ich!» aspirato. L'intelligente animale si mise in cammino con un dondolamento di lupo di mare. Uscito da El-Obeid prese la via che menava al campo di Mohammed Ahmed. —Fathma, disse ad un tratto El-Mactud, traendo di tasca una pezzuola.
Lasciati bendare gli occhi.
L'almea non potè trattenere un gesto di sorpresa a quello strano comando. —Perchè? chiese ella. —Dispensami dal rispondere alla tua domanda. —E se rifiutassi di ubbidire? —In tal caso ti ricondurrò alla zeribak. Corro dei grandissimi pericoli; è giusto che io prenda delle precauzioni. Fathma esitava. Quell'ordine le sembrava tanto strano, che non sapeva decidersi. Nondimeno la paura di dover ritornare senza vedere colui che tanto amava, fece sì che si arrese. Ella presentò la testa ad El-Mactud che gliela bendò strettamente togliendole la vista. Quasi subito in lontananza s'udirono rullare le darabùke e squillare le trombe. —Dove andiamo? chiese l'almea con ispavento. Ho paura che tu mi perda. —Non temere Fathma, rispose lo sceicco cercando di raddolcire il suo aspro accento. Attraversiamo il campo per abbreviare la via. Fathma portò le mani alla benda. Ella si sentiva assalire da sinistre inquietudini e cercava di vedere quanto succedeva a lei d'intorno. Lo sceicco, che non istaccava mai gli occhi da lei, fu pronto ad afferrarla pei polsi. —Non muoverti, le disse minacciosamente. Se mi perdi, ti dò nelle mani di Ahmed. Quella terribile minaccia irrigidì Fathma; non osò più muoversi, tanta paura aveva di cadere nelle ugne dell'antico suo signore. Il cammello s'avanzò per altri quindici minuti, aprendosi a gran pena il passo fra i guerrieri del Mahdi che ingombravano il campo, poi si arrestò. El-Mactud aprì la tenda e balzò lestamente a terra. A pochi passi da lui vi era la capanna del Mahdi, sulla cui porta chiacchieravano i tre vizir dell'esercito, Ibrahim, Juban e Ahmed, il primo comandante delle truppe regolari, il secondo le irregolari ed il terzo l'artiglieria. Presso di loro era seduto Medinek, il quale, appena scorto le sceicco, affrettossi a corrergli incontro dicendogli: —Ahmed aspetta Fathma. Egli accorda a te qualsiasi grazia. Non avrai che d'aprire la bocca per salvare il greco. El-Mactud non potè frenare un moto di gioia. Allungò le braccia verso Fathma, la sollevò in aria, e prima che ella potesse opporre la menoma resistenza la trasse nella capanna di Ahmed, lasciandola sola per terra. Fathma, atterrita, in preda a maggiori inquietudini, balzò in piedi strappandosi la benda. Un terribile grido le uscì dalle labbra. Barcollò, le forze le vennero meno, e cadde in ginocchio nascondendosi il volto fra le mani. —Perdono!… Perdono!… balbettò ella con voce strozzata. Dinanzi a lei, pallido, fremente, stava Mohammed Ahmed, l'antico suo signore. Nella capanna regnò per qualche tempo un cupo silenzio. Ahmed, inchiodato al suolo, non era capace di muoversi. Il suo volto era spaventevolmente contraffatto, cinereo, anzi nero, rigato da grosse goccie di sudore e il suo petto sollevavasi straordinariamente. Dalle labbra increspate, strette, uscivagli un rauco ruggito che incuteva spavento. Una terribile burrasca imperversava nel cuore di lui e riflettevasi chiaramente sul suo viso. Si leggeva ne' suoi occhi una smania feroce di vendetta temprata, anzi frenata dalla passione che ancor nutriva per quella donna e che in quel momento scatenavasi più ardente che mai. Egli rimase uno, due, forse tre minuti immobile irrigidito, quasi direi, istupidito. D'un tratto precipitossi verso Fathma prostrata ai suoi piedi, la sollevò e se la strinse furiosamente al petto. —Ti amo e ti odio!… le ruggì agli orecchi. Le rovesciò all'indietro il capo, appoggiò le sue labbra sulla fronte di lei e vi stampò un ardente bacio ripetendo con una voce che i singhiozzi soffocavano: —Ti amo e ti odio!… Fathma, che ti aveva fatto io per tradirmi, per rendermi infelice, per piombarmi nella disperazione? Mai tu avesti a lagnarti di me, in quei tempi in cui tu eri la mia favorita? Io ti trassi dal fango dove tu ti avvoltolavi, ti strappai dagli amplessi dei soldati, dagli amplessi della canaglia, dagli amplessi di vili schiavi per innalzarti sino a me, per innalzarti fino all'inviato di Dio; e tu, mentre io ti aveva colmata di favori e di onori, mi ingannasti, mi lacerasti il cuore per ritornare nelle braccia di un vile soldato, di un traditore, di un maledetto da Dio! E tu, spregevole donna, invochi ancora il perdono. No, Fathma, non v'è perdono. Un singulto lacerò il petto di Ahmed. Egli portò le mani agli occhi e quell'uomo fu visto a piangere. Nella capanna, per parecchi minuti tornò a regnare un penoso silenzio, rotto solo dai singhiozzi che sollevavano il petto del Mahdi e dal respirare affannoso di Fathma. Tre o quattro volte, Ahmed,

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Argomenti: profondo sospiro,    terribile grido,    smania feroce,    vigoroso cammello,    baldacchino circolare

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