La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 21

Testo di pubblico dominio

silenzio. —Ebbene sì, continuò la greca, fui io a rinchiuderti in questa prigione, ma non ti torturai; fu il bandito Fit Debbeud. Avevo paura che tu mi fuggissi, la gelosia, mi acciecò e ti volli in mia mano prima che nel tuo cuore si spegnesse l'ultima scintilla di amore che ardeva per me. Fui colpevole, lo so, fui miserabile, fui terribile nella mia vendetta, ma tu mi avevi fatta diventare una iena assetata di sangue Abd-el-Kerim, perdonami in memoria di quell'amore che…. —Quell'amore s'è spento nel mio cuore, l'interruppe l'arabo sordamente. —Oh! non è possibile, non lo voglio credere, tu mi ami ancora. —No!… No!… —Ma che ti feci mai io, perchè tu avessi a dimenticarti di me? Non ti ricordi adunque, di quelle notti serene e beate, quando io stava seduta sulle sponde del Bahr-el-Abied sotto la misteriosa ombra dei palmizi e che tu sdraiato ai miei piedi mi giuravi eterno amore, mi promettevi felicità sconfinate? Non ti rammenti più adunque di quei felici momenti, quando tu suonavi la rabâda e mi cantavi le canzoni del tuo paese frammischiandovi dolci parole d'amore? Tu allora mi ammiravi, tu allora adoravi la superba Elenka che avevi vinta e domata colla potenza dei tuoi profondi sguardi, del tuo immenso bene, del tuo coraggio. Sono adunque diventata sì orribile al tuo sguardo? —Non parlarmi di giuramenti che io li ho infranti. —Non ti parlo di giuramenti, ma solo di memorie. —Le ho estirpate dal mio cuore. —Sei proprio inesorabile con me, colla donna che tu un tempo idolatravi? Tu, che m'hai assassinato il fratello, l'unico uomo che mi proteggesse, l'unico che mi rimaneva al mondo della mia famiglia, vuoi per di più far impazzir me, vuoi far morire anche me! Ah! Abd-el-Kerim sei un miserabile! —Taci… taci Elenka, balbettò l'arabo con voce arrangolata. —Dimmi che tu mi ami ancora, dimmi che tu tornerai ad essere mio e io ti perdonerò l'assassinio di mio fratello. Sono sola Abd-el-Kerim, sola al mondo… m'affido a te e ti giuro che ti amerò fino alla morte. —Non lo posso… non lo posso… ho tutto infranto… ho scavato un abisso impossibile a varcarsi. Lasciami così, fammi morire se vuoi, vendicati della morte di tuo fratello che pur uccisi in leale combattimento, ma vattene, vattene… L'arabo si nascose il volto fra le mani, barcollò, si sedette su di una pietra poi si alzò e si mise a passeggiare pel sotterraneo. Frequenti sospiri uscivano dalle sue labbra contratte, straziate e insanguinate dai denti. —Abd-el-Kerim, continuò Elenka con voce affascinante. Non respingermi, non lasciarmi sola al mondo, non tradirmi. Che ti feci mai io per essere trattata così crudelmente? Forse che sono colpevole di averti troppo amata? Non è vero che tu mi ami ancora? Non è vero che il tuo cuore palpita ancora per me? Dimmi di sì, dimmelo Abd-el-Kerim, oh! dimmelo, fammi ancora una volta felice. —No, impossibile, impossibile ti dico. Ti odio, lo capisci, che ti odio ora!… —Sei proprio inesorabile? —Inesorabile. —Guarda, io, un dì tanto superba, sono ai tuoi piedi supplicante. Fa di me quello che vuoi, sarò tua schiava, e subirò i tuoi più strani capricci senza un lamento, senza un sospiro. La faccia dell'arabo s'alterò visibilmente e girò il capo verso Elenka che tendevagli le mani supplicanti. Scosse il capo come un forsennato e s'allontanò vieppiù con un gesto d'orrore. —Vattene, le disse. Ho spezzato e dimenticato tutto. La greca si raddrizzò come una verga di ferro fino allora piegata. I suoi occhi s'infiammarono d'ira e di vergogna. —Per chi è che tu m'hai dimenticata? chiese ella con voce stridente. —Per Fathma! —Ah! traditore! Si scagliò innanzi come una belva; aveva in mano un pugnale che alzò. —Abd-el-Kerim; noi siamo soli e tu sei in mia mano!… —Uccidimi se ti piace; io morrò più presto. —No, sarebbe una morte troppo dolce. A me occorre una vendetta raffinata, una vendetta lenta, una vendetta terribile. Ah!.. continuò la greca con ira, tu credevi di tradire così la superba Elenka? Ebbene, t'inganni. Ho una rivale, questa rivale si trova al campo d'Hossanieh, io la raggiungerò e le farò uscire il sangue goccia a goccia!… Vi era un tale accento d'odio, un tale accento selvaggio e guizzava un baleno così feroce negli occhi della greca, che l'arabo indietreggiò sino al muro inorridito, spaventato. Comprese subito che era finita tanto per lui quanto per Fathma e che non vi era da sperare nessuna pietà da quella superba creatura divorata dalla gelosia a assetata di vendetta. I capelli gli si rizzarono sulla fronte. —Elenka, diss'egli con voce angosciata, nella quale sentivasi la preghiera e la minaccia. Straziami il cuore se vuoi, ma non toccare l'almea. Guai se tu le torci un sol capello, guai a te! Un riso stridulo e beffardo uscì dalle labbra contratte della greca. —Vi schiaccerò tutti e due sotto i miei piedi! —Taci, miserabile, taci! La greca camminò fino alla porta, poi volgendosi verso di lui colle mani tese: —Abd-el-Kerim, diss'ella, cupamente. Trema!… Trema! CAPITOLO X.—Le due rivali. Quando uscì dal sotterraneo, dopo di aver chiusa la porta, non era più la stessa donna che abbiamo veduta entrare. La sua faccia bella, fiera sì, ma niente affatto truce, era stravolta in modo da far paura; la tinta pallida era scomparsa per dar luogo a una tinta bronzina che una collera illimitata rendeva sempre più cupa fino a diventare mattone; gli occhi profondi, scintillanti, che magnetizzavano, eransi ingranditi in modo strano e vi si vedevano dentro certi guizzi feroci da credere talvolta che gettassero fiamme; le labbra di solito sorridenti, erano increspate che lasciavan vedere i candidi denti convulsivamente serrati e sulla fronte spiccava una vena azzurra che ingrossavasi a tratti. Una sete inestinguibile di vendetta ardeva quella donna veramente terribile nelle sue sfrenate passioni, una smania feroce l'agitava, una smania di schiacciare l'arabo prima e la sua rivale dopo, che l'avevano offesa nel suo orgoglio e che le avevano straziato il cuore. Ella percorse l'oscuro corridoio come un lampo e s'arrestò dinanzi ai due dongolesi. —Il prigioniero? chiesero. —Silenzio, disse Elenka, raucamente. Chiamatemi Notis. Uno di essi si mise a urlare per tre volte imitando il lamentevole urlìo dello sciacallo; il canto melodioso dello sberegrig (merops) vi rispose subito. Tosto i cespugli gommiferi s'aprirono e Notis apparve seguito a corta distanza dallo sceicco Fit Debbeud e da tutta la banda. Egli s'affrettò a raggiungere Elenka che spezzava nervosamente i robusti steli di alcuni ingiorò dai fiori caliciformi, di un bel colore roseo. —Ebbene, sorella? chiese Notis ansiosamente. —Nulla, rispose Elenka con un amaro sorriso. —Come? Non ti capisco. —Il traditore è irremovibile come una roccia. —Tuoni e fulmini!… Sì, m'ha disprezzata e rifiutata. Tutto ho tentato per affascinarlo, ho pregato, ho supplicato, ho minacciato, ma tutto fu inutile. Non so poi il come, seppe che fu cacciato nel sotterraneo per vendetta che egli attribuì a me invece che a Fit Debbeud. —È impossibile! esclamò il greco. Da chi lo seppe? —L'ignoro, il fatto è che m'ha udito arrivare. —E tu che gli hai detto? —Era impossibile negarlo e gli confessai tutto, attribuendo la colpa a me. Il greco respirò come gli si fosse levato un gran peso che gravitavagli sul petto. L'idea di essere scoperto lo sgomentava. —Ignora adunque che io sia vivo? chiese egli con ansietà. —Perfettamente. —E adunque, che fai ora? —Che faccio? E tu me lo chiedi? Vado al campo e pugnalo la mia rivale. —Alto là, sorella. Fathma io l'amo, è impossibile quindi che io ti dia il permesso di ammazzarmela. —Ma io la esecro questa miserabile che mi rubò Abd-el-Kerim. —Ed io esecro Abd-el-Kerim che mi cacciò un pollice di lama nel petto e che mi rubò Fathma, disse il greco con ira mal frenata. —E allora?… Notis, fratello mio, io ti darò tutto ciò che

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Argomenti: smania feroce,    sete inestinguibile,    abisso impossibile,    morte troppo,    accento selvaggio

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