La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 80

Testo di pubblico dominio

spalle. In quella sul tetto s'udì una voce che bestemmiava. Lo scièk e il suo compagno si guardarono in faccia tirando nel medesimo tempo le scimitarre. —Oh! oh! esclamò Abù-el-Nèmr. Lassù c'è qualcuno. Aspetta un po' canaglia che ti acconcierò io come si deve. —Afferralo pei piedi e gettalo giù. Bisogna che cada a qualunque costo nelle nostre mani per vedere con che razza di gente abbiamo da fare, disse il suo compagno, appoggiandosi alla parete della capanna, Per Allàh! Anche questa è bella! Uno, due…. Abù-el-Nèmr saltò sulle spalle del negro a si aggrappò alla sporgenza del tetto non ostante i torrenti d'acqua che gli cadevano addosso. Prima cosa che vide fu una pistola che lo toglieva di mira a un passo di distanza. Afferrò lestamente la mano che la stringeva e l'attirò violentemente a sè. Un corpo umano scivolò giù dal tetto e cadde pesantemente a terra rimanendo immobile. Il negro si precipitò sul greco e lo trascinò in fretta nella capanna lasciandolo cadere presso il fuoco. —L'abbiamo ucciso? chiese lo scièk. Mi dispiacerebbe. —Perdio! esclamò il negro che si era curvato su quel corpo inanimato.
Che vedo?… Sogno forse?… È impossibile!
—Che hai? disse Abù. Conosci, forse, questo mariuolo? Il negro non rispose. Curvo innanzi, colle pugna strette, gli occhi sbarrati, contemplava il greco. Pareva sorpreso e spaventato. —Di' su, lo conosci? ripetè lo scièk. —Ma sicuro, balbettò il negro. Non mi inganno no, è lui, proprio lui, il birbante, il rapitore, l'assassino… eh! mio caro non mi fuggirai più, te lo dico io. Perdio! Quale incontro! Non me lo aspettavo così presto! —Lui! Ma chi lui? —Il nostro mortale nemico, il rivale di Abd-el-Kerim, il greco Notis infine. —Eh! Sei sicuro di non prendere un granchio? Guardalo bene, amico mio, fissalo ancora. —Lo guardo, lo fisso, e più che lo guardo più mi assicuro che è lui. Abù, bisogna farlo rinvenire e farlo parlare. Abd-el-Kerim non può essere che in sua mano. —Ma… e parlerà? —Vedrai che canterà e molto alto. Abù-el-Nèmr staccò dal suo turbante una penna d'airone l'abbrustolò al fuoco poi la mise sotto il naso allo svenuto. Un trasalimento nervoso scosse il corpo del greco; distese le braccia, aprì le mani convulsivamente chiuse, emise un sospirone e sbarrò gli occhi arrestandoli sul volto del negro. Un «oh!» di sorpresa e di terrore gli uscì tosto dalle labbra. Si stropicciò gli occhi più volte, poi gli riaprì tornando a fissare il negro che era sempre curvo su di lui. Divenne pallido come uno spettro e portò le mani alla cintura come se cercasse qualche arma. —Omar! Omar! esclamò egli a più riprese. Lo schiavo di Abd-el-Kerim, poichè era proprio lui, proruppe in uno scroscio di risa. —Si vede, padron Notis, che avete buon occhio, diss'egli. Vi sorprende di trovarmi ancor vivo? Anch'io sono sorpreso di trovarvi qui. Eppure, sul Bar-el-Abiad Fathma vi aveva mandata una palla nelle reni… Perdio! Si vede che avete l'anima incavigliata, padron mio! Il greco si morse le labbra, e cercò, con un moto repentino, di levarsi in piedi, forse per gettarsi sui due uomini, ma la fredda canna di una pistola che lo scièk gli appoggiò alla fronte lo fece ricadere per terra. —Sono perduto, pensò il greco. —Padron mio, ripigliò Omar, col medesimo tono beffardo. Non tentate di fare resistenza se non volete che il mio amico Abù vi scarichi la sua pistola in faccia. State cheto e rispondete alle nostre domande. —Se speri che io parli, t'inganni di molto, Omar, rispose Notis col tono calmo d'un uomo che nulla teme. —In tal caso ricorreremo agli estremi espedienti. Che direste se il mio buon amico Abù vi pigliasse i piedi e ve li arrostisse sui carboni accesi. —Miserabile! —Potete fare a meno di dispensare dei titoli che non ci fanno nè caldo nè freddo. Orsù, padron Notis, carte in tavola: che avete fatto di Abd-el-Kerim? —Ah! tu vuoi sapere che feci del tuo padrone? Ebbene ti dirò che egli è morto. Le sue ossa spolpate dai denti delle jene e degli sciacalli, giacciono sulle ardenti sabbie di Kasseg. —Tu menti! urlò Omar. —Se non vuoi credermi fa di meno. —Notis, disse Abù-el-Nèmr. Giochi una partita pericolosissima. Ieri sera parlai con Ahmed, ed egli mi disse che Abd-el-Kerim era in mano tua ed ancor vivo. Come vedi, sappiamo qualche cosa. Il greco strinse i denti. —Maledetto Ahmed! esclamò egli. —Non insultare l'inviato di Dio, se ti è cara la vita. Parla: dove hai nascosto Abd-el-Kerim? —Non lo saprete nè oggi, nè domani, nè mai! —Sta bene, disse lo scièk. Afferrò il prigioniero per le braccia, e lo trascinò accanto al fuoco non ostante la sua disperata resistenza. Omar gli prese i piedi e li accostò alla fiamma. Notis cacciò fuori un urlo di dolore. La pelle delle piante, al contatto dei carboni accesi s'annerì e si screpolò mostrando la viva carne. —Basta!….. basta!….. ruggì il greco pazzo di dolore. —Parlerai? gli chiese le scièk. —Sì….. basta ira di Dio! Mille tuoni! Volete bruciarmi vivo? —Vi brucieremo se non sciogliete la lingua, disse Omar, tirandolo indietro. Il greco, col volto contraffatto per lo spasimo, rotolò al suolo bestemmiando, gemendo e contorcendosi come un serpente. —Parlate, padron Notis, riprese lo schiavo. —No, cane maledetto, rettile schifoso. No, e poi no! —Come vi piace. Abù, rimettiamolo sul fuoco. Gli consumeremo i piedi fino all'osso. A quell'atroce minaccia, il greco si sentì mancarsi le forze per resistere oltre. Con un gesto della mano arrestò i due tormentatori che si disponevano ad accostarlo al braciere. —Parlerò… parlerò, balbettò egli. Ma… ad una condizione… Ira di Dio! Mi avete rovinati i piedi! Sentite, ho una sorella… la mia povera Elenka… voi sapete ciò che è avvenuto di lei… non potete negarlo… Ah! cani di negri! —Avanti, disse Omar. —Se voi mi direte dove trovasi… Elenka, vi giuro che parlerò… che vi darò in mano… quel maledetto Abd-el-Kerim. —Ve lo dirò. —Giuralo. —Lo giuro sulla barba di mio padre, lo giuro su Allàh, lo giuro sull'Alcorano. —Parlate, ma non cercate d'ingannarci. Rimarrete qui prigioniero, e se ci avrete ingannati ve ne pentirete. Il greco per alcuni istanti rimase muto e pensieroso. Perdere Abd-el-Kerim che tanta fatica gli era costato, che tanti pericoli aveva sfidato per averlo in sua mano, e perderlo proprio nel momento in cui credeva di avere in mano anche Fathma, era per lui un terribilissimo colpo. Si vedeva completamente rovinato, vedeva sfasciarsi il progetto, con tanta arditezza e con tanta pazienza condotto quasi a termine. Nondimeno, vedendo che non vi era più scampo di sorta, che non era più possibile giuocare d'astuzia, e smanioso di sapere qualche cosa sulla sorte di sua sorella Elenka, che infine tanto e tanto amava, prese l'eroica risoluzione—se così può dirsi—di confessare ogni cosa, riservandosi a tempi più propizi di riparare al mal fatto e di vendicarsi. —Uditemi, diss'egli, facendo uno sforzo supremo, Abd-el-Kerim, da parecchi giorni si trova in mia mano. Lo tradii e Ahmed pagò il tradimento cedendomelo. Ieri sera, sospettando qualche cosa d'insolito, lasciai il campo e lo feci trasportare in una capanna che trovasi all'estremità meridionale del Mercato. Quattro uomini lo guardano e non ve lo cederanno che dopo essersi fatti uccidere…. e ora parlatemi di Elenka che più nulla ho da dirvi su Abd-El-Kerim. —Posso prestar fede alle vostre parole, disse Omar, che fremeva di gioia e d'impazienza. —A che pro ingannarvi? Non sono in vostra mano? —Avete ragione. Voi volete sapere che accadde a Elenka, adunque. Mi dispiace sinceramente, ma devo darvi una brutta notizia. Il greco si levò sulle ginocchia; una viva ansietà era dipinta sul suo volto. Egli guardò Omar con occhi supplichevoli e portò le mani al cuore che battevagli forte forte. Un terribile dubbio gli balenò in mente. —Oh! Dio…

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Argomenti: medesimo tempo,    corpo umano,    trasalimento nervoso,    medesimo tono,    tono calmo

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