La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 16

Testo di pubblico dominio

s'allontanò. Poco dopo si udì il sonaglio del suo mahari che indicava che erasi già messo in viaggio. —E ora che facciamo? chiese Notis allo sceicco. —Il sole è ancora alto per dirigerci al campo e io ho una fame da lupo. Pranzeremo allegramente. Fece distendere dinanzi un tappeto nuovissimo e gettò un leggiero fischio. Un beduino entrò portando sulle spalle, appeso ad una pertica, un agnello intero arrostito e lo depose su di una specie di sporta piatta di foglie di palma. —Bismillah! (in nome di Dio) disse Fit Debbeud, frase abituale che pronunziano sia per cominciare a mangiare, sia per scannare o torturare il loro nemico. Lo sceicco divise l'agnello colle dita, essendo sconosciuta la forchetta presso i beduini, tagliò la pelle brunastra, lucida e croccante, in lunghe striscie e servì Notis, che le assalì vigorosamente inaffiandole con latte di cammella fermentato nella pelle di una capra, che sapeva orribilmente di muschio. Lo sceicco, ogni qualvolta che il greco accostava la tazza alle labbra non mancava mai di dire: saa (alla salute) alla quale frase rispondeva Notis: Allàh y selmek (Dio ti salvi). Dopo la prima portata, un altro beduino recò un gran vaso di terra, una specie di garahs, vecchio di cent'anni, nel quale trovavasi un pasticcio di riso nuotante in una salsa giallognola, pepata in modo orribile, con un miscuglio di datteri secchi pestati e di albicocche. Seguì l'hamis, composto di pezzetti di carne di pollo e di montone fatti dapprima cuocere in istufato con burro e di poi bagnati con acqua calda e conditi con pepe in gran quantità, sale, datteri e cipolle fatte bollire fino a ridurle a completo discioglimento. Il pasto finì col kus-kussu, o cibo nazionale, preparato con pallottoline di farina piccole come pallini da caccia, condite con una salsa piccante e con una sorsata di bilbel. In quel frattempo densi nuvoloni s'erano accavallati nella profondità del cielo e un vento caldissimo s'era messo a soffiare, scuotendo fortemente le cime degli alberi e piegando le tende. L'oscurità cominciava a farsi rapidamente e prometteva di essere tanto fitta da non poterci vedere a due passi di distanza. Notis ne fece parola allo sceicco, che finito il pasto, s'era rovesciato sui tappeti, fumando flemmaticamente. —Tanto meglio, rispose il beduino. L'uragano favorirà la spedizione, e le tenebre proteggeranno la nostra ritirata. Credo anzi che sarà ora di metterci in cammino, e di andar a raccontare all'arabo che la sua bella ha fatto un colpo. —Non vi è pericolo che tu, recandoti al campo, abbia a venire scoperto? —Nessuno mi conosce, eppoi, a uno sceicco è permesso di andare dove gli pare e piace senza render conto a chicchessia. Non aver timore che io possa venire preso da quella gente vigliacca. E avutolo in nostre mani, dove lo nasconderemo questo rivale? —A pochi passi da qui vi è un corridoio che mette capo ad una spelonca orribile, umida quanto mai. Ve lo caccieremo dentro e ve lo rinchiuderemo per bene. Lo sceicco s'alzò, si gettò a bandoliera il suo lungo moschetto a pietra, imbracciò il suo scudo di pelle di elefante e uscì assieme al greco. I beduini s'erano raccolti di già attorno ai mahari, in completo arnese di guerra; ad un suo cenno si posero in sella. Una parola ancora, prima di separarci, disse lo sceicco. Se il tuo rivale mi chiedesse chi m'incaricò di rapirlo, che devo rispondergli? —Rimarrai muto come una tomba. Le vendette circuite dal mistero sono le più spaventevoli. —Sta bene, che Allàh ti guardi! —Che Allàh t'aiuti, rispose Notis, Lo sceicco salì sul mahari e diede il segnale della partenza. La banda partì alla carriera in direzione d'Hossanieh. CAPITOLO VIII.—Il prigioniero. Dal sud soffiava un vento impetuosissimo, caldo come se uscisse da un forno acceso, il quale curvava e scuoteva fortemente le palme isolate e le piantagioni di durah e sollevava colonne di fine sabbia che s'innalzavano roteando e correndo per la pianura fino a spezzarsi contro le colline o contro i tugul di Hossanieh. Tratto tratto un lampo abbagliante livido, tremulo, rompeva la fitta tenebrosità, seguito poco dopo da un lungo e lontano stridio, paragonabile al rumore che fa un carico di lamine di latta trascinato a corsa per le vie. I beduini, col taub tirato in sulla bocca per non avere le fauci riempite dalla sabbia, e l'jatagan e le hàrbas (lancie) in mano, per essere pronti a diffendersi, caso mai venissero assaliti, marciando nel più profondo silenzio, in capo ad un'ora giunsero a un duecento passi d'Hossanieh, dove fecero alto fra due colline abbastanza elevate per nasconderli. Fit Debbeud fece legare i mahari in cerchio obbligandoli a inginocchiarsi, pose due uomini di guardia accanto ad essi, e col rimanente della banda si spinse fino nei dintorni del campo egiziano e precisamente dietro ad un macchione d'acacie gommifere, dove potevansi imboscare e saltare addosso ad Abd-el-Kerim appena che fosse vicino. —Silenzio, disse lo sceicco, chiamando attorno a sè i suoi uomini, e state ad ascoltare quanto vi dico. Io mi reco al campo egiziano, poichè occorre un uomo astuto e coraggioso per tentare l'impresa e saperla condurre a buon fine senza destare sospetti. Vado a prendere l'arabo, lo conduco fuori del campo e mi dirigo da questa parte; al primo fischio che io mando, tutti adosso e poi via di trotto verso i mahari, Ricordatevi che qui si giuoca la pelle. —Sta bene, risposero in coro i banditi. —E gli Egiziani? chiese uno di essi. Sono distanti appena ottocento passi. Fit Debbeud alzò le spalle e un sorriso sprezzante sfiorò le sue labbra. —Gli Egiziani non si muoveranno, ve lo dico io, diss'egli. Urleranno come cani, ma non ardiranno inseguire Fit Debbeud e i suoi beduini. Si sbarazzò del coftan e dell'archibuso, armò le pistole che si passò nella cintola, si assicurò se l'jatagan scorreva nella guaina e marciò dritto verso gli avamposti egiziani che bivaccavano al chiarore dei fuochi a gran pena tenuti accesi. —Chi va là? gridò una sentinella prendendolo di mira. —Getta abbasso il tuo fucile che mi reco dal tenente Abd-el-Kerim, rispose il bandito. Anzi conducimi alla sua tenda se non vuoi che Dhafar pascià ti faccia accarezzare le spalle col corbach (staffile di pelle d'ippopotamo). Ad un fischio della sentinella un soldato accorse e il bandito fu fatto entrare nel campo e accompagnato verso la tenda dell'arabo. —Se tu sai, Abd-el-Kerim, trovasi solo nella sua tenda? chiese
Debbeud al soldato che lo precedeva.
—Credo che sia col capitano Hassarn. —Chi è questo capitano? —L'amico del tenente Abd-el-Kerim. Il bandito aggrottò la fronte o fece un gesto dispettoso. La faccenda comincia a diventare imbrogliata, mormorò egli. Se questo Hassarn seguisse l'amico? B'Allai! (Perdio!) Sarà difficile rapirli tutti e due e poi, per che farne dell'altro? Se ci secca gli passeremo una scimitarra attraverso il corpo e lo manderemo diritto in paradiso a tener compagnia al Profeta. Fermati, disse il soldato, arrestandosi dinanzi ad una tenda. —Spicciati, rispose il bandito. Digli che io vengo da Hossanieh e che mi manda una bella donna che si chiama… alto là, amico mio. Il soldato entrò nella tenda e poco dopo uscì. Il tenente ti aspetta, entra, gli disse. —È solo? —No, col capitano Hassarn. Lo sceicco cacciò fuori una bestemmia, ma non si smarrì. Colla testa alta e colle mani sui calci delle pistole si fece innanzi e si fermò dinanzi all'arabo che stava sdraiato su di un tappeto, vicino ad Hassarn. I tre uomini si esaminarono con curiosità e quasi con diffidenza. —Tu hai detto di venire da Hossanieh, non è vero? chiese
Abd-el-Kerim.
—Sì, e mi mandò una donna che tu conosci, rispose Debbeud, sbirciando di traverso i due uomini. Abd-el-Kerim si scosse e s'alzò come spinto da una molla. —Chi è quella donna? chiese egli, avvicinandoglisi. —Credo che si chiami Fathma. —Ed essa ti mandò da me? È impossibile! Fit Debbeud, quantunque

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Argomenti: due passi,    duecento passi,    campo egiziano,    tanto fitta,    uomo astuto

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