La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 74

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senza che il paziente desse segno di provare il menomo dolore. Il sangue colava, ma l'operatore continuava a tagliare imperturbabilmente. Due minuti dopo s'arrestava. Depose il coltello aprì colle dita il tumore e trasse, con grande precauzione, un verme bianco, rotondo, grosso tutt'al più come uno spago forzino e non più lungo di sessanta centimetri. —Cos'è? chiese Ahmed che seguiva attentamente quella strana operazione. —Un filare di Medina, rispose il carnefice. Ruppe in due lo schifoso animaletto che contorcevasi disperatamente, facendo uscire un liquido biancastro, spesso, granuloso, attaccaticcio. Egli lo raccolse in un guscio d'uovo di struzzo. —Vedi, disse volgendosi verso Ahmed, questo liquido è formato da piccolissimi vermicelli, i quali non chiedono altro che di essere introdotti nel corpo di un uomo per ingrandire. —Ebbene? —Io verso questo liquido sulle ferite del prigioniero. I piccini troveranno alimento nel sangue, ingrandiranno e si costruiranno una specie di nicchia fra la pelle e la carne. Fra qualche mese quel povero diavolo diverrà spaventevole come il negro che tu hai dinanzi. —E guarirà? —No, deperirà lentamente, lentamente, a meno che non trovi un uomo tanto abile che gli estragga questi terribili succhiatori di sangue, il che non è probabile. Sarai ampiamente vendicato. —È orribile. —Dici spaventevole. —Non monta, termina. Il gigante si avvicinò ad Abd-el-Kerim, gli sollevò la pelle lacerata in diversi luoghi, e lasciò cadere goccia a goccia il liquido fatale che doveva ucciderlo. —Ora, diss'egli, puoi darlo all'uomo che lo aspetta. Ahmed con un gesto gli intimò di ritirarsi insieme al negro, poi tornò a battere le mani. La porta d'entrata si aprì e apparve il beduino ammantellato fino agli occhi. Scorgendo Abd-el-Kerim a terra e in quello stato, la sua faccia si illuminò e un sorriso diabolico, un sorriso di feroce gioia, apparve sulle sue labbra. —Mi sono vendicato, gli disse Ahmed con voce cupa. Ti abbandono il prigioniero e ricordati che se lo ammazzi te ne sarò grato. —Grazie, Ahmed, rispose il beduino. So cosa devo fare di quest'uomo che odio con tutte le forze dell'anima mia. Quattro guerrieri entrarono nel tugul, gettarono una tela sul corpo dell'infelice arabo e lo portarono via. CAPITOLO VI.—Lo scièk Abù-el-Nèmr. Era il dopo pranzo dell'ultimo giorno di luglio. Pel cielo correvano disordinatamente densi nuvoloni di una tinta lattea, spinti da un vento impetuosissimo e caldissimo. Alcuni goccioloni di pioggia tiepida cadevano pesantemente sulle tende e sui tugul del campo sudanese, e in lontananza lampeggiava e brontolava di tratto in tratto il tuono. Le innumerevoli orde del Mahdi, secondo il solito, erano tutte in movimento, occupate ad esercitarsi coi cannoni, colle mitragliatrici e coi remington, tolti agli egiziani a Kasghill, od a destreggiarsi con finte scaramuccie, o a marciare per colonne o in quadrato o a operare ritirate e tentare assalti, o a costruire fortini, trincee, terrapieni o bastioni sotto la condotta dei loro sceicchi. In mezzo al campo, sulla cima di una collinetta, se ne stava tutto solo un individuo che pareva non si occupasse affatto di quanto succedeva a lui d'intorno. Questo individuo era un beduino, quello stesso che aveva tradito Abd-el-Kerim. Ammantellato accuratamente, egli passeggiava innanzi e indietro, colla testa china sul petto, la fronte aggrottata e gli occhi accesi da una cupa fiamma. Di tratto in tratto arrestavasi, volgeva uno sguardo di fuoco verso le tempestose nubi e colla faccia alterata si chiedeva: —Verrà?… Aveva di già compiuto più di cento volte il giro della collina ripetendo altrettante volte quella interrogazione che facevalo diventare sempre più cupo, quando un fischio stridulo, vibrato, bizzarro, pervenne al suo orecchio. Alzò vivamente le braccia e girò intorno un rapido sguardo; le rughe della sua fronte si spianarono e le sue labbra si contrassero ad un sorriso. Un negro, lo sceicco El-Mactud, era sbucato improvvisamente da una macchia e saliva rapidamente la collina. Il beduino s'affrettò a muovergli incontro. —Ebbene? gli domandò con ansietà che invano cercava di nascondere. —La va male, rispose lo sceicco asciuttamente. —Ira di Dio!… È morto? —Tutt'altro, è vivo. Le ferite si sono rinchiuse. —E allora?…. —Siedi ed ascoltami attentamente. Il beduino e lo sceicco si sdraiarono per terra. —L'ho visitato or ora assieme ad un mio amico che se ne intende di medicina, ripigliò El-Mactud, il povero diavolo è fuori di pericolo, ma abbiamo scorto sul suo corpo lo traccie di un terribile male che lo condurrà alla tomba. Un trasalimento nervoso scompose per alcuni secondi il viso del beduino. —Qual male? chiese egli con maggior ansietà. —Il corpo dell'arabo è tutto coperto di tumori grossi quanto i tuoi pugni e che sembrano lì per lì per iscoppiare. Io ho paura che sotto quei tumori vi sieno dei vermi, dei filari di Medina. —Dei vermi?…. —Sì, dei vermi che a poco a poco ridurranno in uno stato compassionevole Abd-el-Kerim. Lo faranno diventare uno scheletro. —Ma chi mai introdusse questi terribili filari nel suo corpo? —Probabilmente un uomo. —Chi? —Il vendicativo Ahmed. Un ruggito irruppe dal petto del beduino. —Ah! cane! esclamò egli con trasporto furioso. —Non offendere l'inviato di Dio, disse gravemente El-Mactud. —Ma questo inviato di Dio ha mancato alla sua parola, mi capisci
El-Mactud. Mi aveva giurato di darmi nelle mani quell'uomo vivo.
—E non te lo ha dato vivo? —Ma colla morte nel sangue. —Ahmed è più furbo di noi, ecco tutto. —È più birbante. —Zitto, non offendere. —Sia pure, giacché lo vuoi. Dimmi non vi è alcuna medicina che possa guarire l'arabo? Mi narrarono che parecchi uomini colpiti dall'identico male furono salvati. —Lo narrarono anche a me, ma ci vuole un medico esperto per far uscire i filari, e nel campo non ve n'è che uno. —Chi è? —Ahmed, credo. —Ma non vorrà mai fare una tale operazione. —Certamente, poichè fu lui ad introdurre i filari nel corpo dell'arabo. —E allora? —Potresti parlargli. Non perderai nulla a tentarlo. —Quanto potrà vivere Abd-el-Kerim? —Non saprei dirtelo, ma probabilmente parecchi mesi, forse anche qualche anno. —Andrò subito a parlare ad Ahmed. Bisogna che lo salvi. Lo sceicco lo guardò con stupore. —Non capisco più nulla, disse. Lo tormenti e vuoi salvarlo. —Ho le mie buone ragioni per agire così, rispose il beduino. —Così deve essere. —Dov'è Ahmed? —L'ho visto or ora entrare nella capanna dei missionari. —Se va a trovare i prigionieri dev'essere di buon umore. Andrò alla capanna. —Ed io, che cosa devo fare? —Ritornerai al baobab. Questa sera ti raggiungerò e probabilmente parlerò col prigioniero. —Ti riconoscerà? —Non dubitarne. —Il beduino tornò ad ammantellarsi e discese la collina inoltrandosi fra le tende. Cinque minuti dopo giungeva in mezzo all'accampamento e precisamente dinanzi ad una capanna semi-cadente, costruita con rami e coperta di foglie. Attorno v'erano numerosi guerrieri e parecchi dervis. —Dov'è Ahmed-Mohammed? chiese il beduino, facendosi largo. —Nella capanna, rispose un guerriero d'atletica statura. Là dentro si muore. —Chi è che muore? —Una delle prigioniere. —Brigante di Ahmed, borbottò il beduino. Si avvicinò alla porta e guardò nell'interno con viva curiosità. Là, nel mezzo, sulla nuda terra, giaceva una donna orribilmente pallida smunta, ischeletrita, in preda agli ultimi aneliti. Attorno ad essa v'erano undici persone dalla tinta bianca, ischeletrite dalla fame, dalle sofferenze, dall'angoscia, dai terribili calori del sole equatoriale, coi capelli arruffati e le scarne membra appena coperte da cenciose camicie pullulanti di schifosi insetti. Quei miseri, condannati a soffocare là entro, colla scimitarra sempre sospesa sopra la loro testa, erano i missionari veronesi don Luigi Bonomi,

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Argomenti: povero diavolo,    uomo tanto,    trasalimento nervoso

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