La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 46

Testo di pubblico dominio

costruendo persino dei tugul. Essi calcolano di pigliarci colla fame, ne sono sicuro. —E allora? —Allora bisogna abbandonare il rottame più presto che sia possibile. La luna sta per nascondersi dietro a quella fascia di nubi, l'incendio sta per scemare e le stelle sono offuscate dalla nebbia della notte. Fra una mezz'ora vi sarà oscurità perfetta e potremo prendere il largo senza essere scorti. —Quando è così fabbrichiamo la zattera. Allàh e il Profeta ci aiuteranno. Essi ritornarono a poppa. Omar, salito sul capo di banda si lasciò discendere adagio adagio nel fiume tenendosi aggrappato ad una fune. Ben presto si trovò sul banco subacqueo coll'acqua fino alle ginocchia. —Ci sei? chiese Fathma con un filo di voce. —Sì, rispose il negro che tastava coi piedi la sabbia. Non vi è che mezzo metro d'acqua e il terreno mi pare sodo. Calami abbasso quanto legname puoi e quante fune trovi. Non fare rumore, sopratutto e non perdere di vista i ribelli. —E i coccodrilli? —Non ne vedo attorno al banco, eppoi ho la scimitarra. Il primo che vedo uscire dall'acqua e avvicinarsi a me gli rompo la testa. Orsù, affrettiamoci prima che l'oscurità sia perfetta. I rottami non mancavano. Il tetto della rekùba costruito in legno, come già dicemmo, al momento dell'urto era in gran parte caduto e questo era sufficiente per costruire una zattera capace di sostenere due persone. Di più il ponte era ingombro di pezzi d'albero e di antenne fornite ancora di numerose corde. Fathma data un'occhiata ai ribelli che bivaccavano parte sulla riva e parte sulle isole senza più darsi pensiero della darnas, si mise alacremente all'opera. Afferrò un pezzo di tetto e radunando tutte le sue forze lo trascinò a poppa e lo gettò sul basso fondo. Omar fu lesto ad afferrarlo e a montarvi sopra. —Là, così va bene, mormorò il negro stropicciandosi allegramente le mani. Animo, Fathma, getta giù dei pezzi d'albero o d'antenna che formi lo scheletro della nostra imbarcazione. Giù, giù! La speranza di scampare all'immenso pericolo che la minacciava, triplicava le forze dell'almea. Ella gettò a Omar sei o sette tronconi d'albero, tavoli, pezzi di murata, pezzi di rekùba e cordami in grande quantità. Il negro valendosi delle zacchie che ancora ardevano, tenendosi sempre riparato dietro poppa della darnas per non essere scoperto dai ribelli, in capo a mezz'ora costruì la zattera, lunga quattro o cinque metri e larga appena due, ma solidissima. Egli vi imbarcò due remi, due fucili, munizioni, due scimitarre, alcuni vasi di merissak del kèsra, (sorta di pane di durah cotto su di una lastra di pietra) e parecchie libbre di carne fritto nel burro che si conserva lungamente. Aveva appena terminato che sulla riva opposta, si udirono degli schianti seguiti da fischi sonori. L'oscurità diventò profonda. —Bene, mormorò il negro. Le zacchie hanno finito di ardere e i rottami sono capitombolati nel fiume. Presto, padrona, discendi. Fathma non se lo fece dire due volte. Salì sul bordo, si aggrappò ad una fune e si calò lentamente sulla zattera che minacciava di rompere l'ormeggio sotto la spinta della corrente. I due fuggiaschi si sdraiarono sul ponte colla scimitarra dinanzi e i remi in mano. —Coraggio, Fathma, disse Omar. Giuochiamo la nostra vita. —Passeremo inosservati? —Lo spero. —Quale via terremo? —Scenderemo il fiume fino a domani mattina. Sta attenta a respingere i coccodrilli che non mancheranno di assalirci. —E perchè non approdiamo all'isola di Turà-el-Chadra? Siamo lontani appena duecento metri e si potrebbe, in dieci o dodici ore, giungere a Duên. —Temo che i ribelli siano accampati nelle foreste e forse il borgo di Duên è caduto in loro mani. Lascia fare a me e vedrai che noi giungeremo più presto che lo credi nelle vicinanze di El-Obeid. Hicks e Dhafar devono accampare a poche miglia dalla capitale del Mahdi. Attenzione, padrona. Il negro tagliò d'un colpo solo l'ormeggio. La zattera girò per alcuni istanti su se stessa, poi discese silenziosamente la corrente sfiorando a tribordo una larga zona di piante di loto. L'oscurità era diventata allora profonda. Appena appena si scorgevano le due rive coperte di tenebrosi boschi ai cui piedi urlavano e ridevano atrocemente sciacalli e iene occupate a dissetarsi. I ribelli si distinguevano assai vagamente sdraiati sulle isole, quantunque qua e là ardessero dei fuochi a gran pena tenuti accesi sulle umide sabbie. I due naviganti si misero a remigare nel più profondo silenzio guardandosi attentamente attorno; i loro cuori battevano di speranza e di timore, e non ardivano quasi quasi di respirare per paura di attirare l'attenzione dei loro nemici. Avevano di già percorso quasi duecento passi quando la zattera urtò contro qualche cosa arrestandosi bruscamente. Nè l'uno nè l'altra ardirono muoversi. —Che c'è, chiese sottovoce Fathma dopo qualche minuto d'angosciosa aspettativa. Ci siamo arenati? —Zitto, disse Omar. Ora andrò a vedere. Tu non muoverti qualunque cosa accada. Egli strisciò silenziosamente a prua e immerse un braccio nell'acqua. Egli sentì sotto mano un agglomeramento fitto fitto di piante acquatiche che impediva il passaggio. —Bene, siamo dinanzi ad una barra, mormorò il negro. Queste barre altro non sono che vaste distese di piante palustri che si formano sui fiumi africani e segnatamente sul Nilo cagionando lo stagnamento delle acque e quindi miasmi mortali. Non di rado queste barre si estendono per tre quattro e anche cinque chilometri, impedendo il transito persino ai battelli a vapore che solcano il Bahr-el-Abiad e il fiume delle Gazzelle. Omar, appena si fu assicurato che non vi era mezzo di passare sopra quella barra, ritornò presso Fathma che non si era mossa. —Padrona, diss'egli, bisogna deviare verso la riva sinistra. Abbiamo una barra che fiancheggia la riva destra. —Deviare sulla riva sinistra! esclamò Fathma, Ma allora ci avviciniamo agli insorti e verremo scoperti. —Potrebbe darsi, ma non vi è altra via da prendere. Chissà forse passeremo ancora inosservati; la notte è sempre oscura. —Tutto congiura contro di noi; maledetta sorte! —Allàh così vuole. Orsù, deviamo e cerchiamo di non far rumore. È carico il tuo fucile? —Sì. —Quando è così, andiamo avanti e che il Profeta ci protegga. La zattera sotto la spinta dei due remi comincia a deviare lentamente radendo la barra, sulla quale alzavasi una nebbiolina carica di esalazioni pestifere. I due naviganti, curvi, taciti, in dieci minuti raggiunsero l'estremità di quel colossale agglomeramento di piante. Già stavano per virare di bordo ed entrare nella libera corrente quando sei o sette coccodrilli uscirono dalle piante avvicinandosi alla zattera. Il più ardito allungò le mascelle spalancate verso di loro cercando, con un formidabile colpo di coda, di issarsi sul ponte. —Omar! mormorò Fathma che sentiva la zattera inclinarsi spaventosamente a tribordo. —Sta zitta. Ci sono. Il negro aveva afferrata la scimitarra. Egli scagliò una tremenda botta fra i due occhi del mostro che si inabissò rumorosamente sollevando una nube di spuma. Quasi subito una voce partì dall'isolotto più vicino, sul quale bivaccavano alcuni insorti. —Ehi! gridò un arabo. Guarda laggiù in mezzo alla corrente! —Che vedi? chiese un'altra voce. —Che Allàh e il Mahdi mi puniscano se quella là non è una zattera. —Ne sei sicuro? mi pare un rottame. —Ho veduto qualcuno alzarsi, anzi mi parve di aver visto una scimitarra in aria. Non hai udito una botta e un tonfo? —Infatti ho udito. Che siano gli uomini della darnas? —È quello che noi vedremo; prendi il moschetto.. Fathma e Omar avevano distintamente udita la conversazione dei due ribelli. Spaventati avevano abbandonati i remi e si erano sdraiati sul ponte colle mani convulsivamente strette attorno ai fucili. —Non muoverti, padrona, bisbigliò con voce tremante Omar. —Non mi muoverò nemmeno se vengo ferita, rispose

Tag: due    zattera    negro    riva    barra    voce    corrente    ponte    scimitarra    

Argomenti: profondo silenzio,    duecento passi,    mezzo metro,    banco subacqueo,    zattera capace

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