La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 37

Testo di pubblico dominio

fino all'ultimo respiro. I due equipaggi ci presteranno man forte. —Siamo intesi. Tu Ibrahim ti rechi a Quetêna a giuocare un brutto tiro al greco. Alla sera noi assaliremo l'abitazione e libereremo Fathma. Orsù, a bordo, che ho una fame da lupo. —Andiamo Daùd, disse allegramente Omar. Se riusciamo dò duecento talleri a ciascuno di voi. Ah! mio caro Notis, non sai ancora quanto possono fare Abd-el-Kerim ed il suo schiavo. I due reis ed il negro, alcuni minuti dopo mettevano piede sul ponte del gran battello. CAPITOLO IV.—Omar e Fathma. All'indomani, due ore dopo il mezzodì, Ibrahim lasciava il gran battello di Daùd colla ferma idea di allontanare e ridurre a completa impotenza il greco Notis. Imbarcatosi sul suo canotto con pochi colpi di remo prese il largo e venti minuti dopo sbarcava su molo di Quetêna ingombro di Sennaresi e di Arabi che caricavano e scaricavano la lunga fila di barche ancorate sotto la sponda. Girando lo sguardo all'intorno vide subito che uno dei suoi barcaiuoli lo aspettava seduto su di una balla di mercanzia. Gli si avvicinò sollecitamente: —Che abbiamo di nuovo Saba? gli chiese, battendogli sulle spalle. —Stavo a vedere quando tu ritornavi, rispose il battelliere. Questa mane venne a bordo un beduino chiedendo di te. —Si trova ancora sulla dahabiad quest'uomo? —No, ma mi disse che appena tu giungessi ti mandassi da lui. —Non ho tempo per recarmi da quell'uomo, disse Ibrahim. Ascoltami ora, Saba. —Sono tutt'orecchi. —Farai armare tutti i battellieri di buoni moschetti e di jatagan e vi terrete pronti ad entrare in campagna al mio comando. —Oh!… che c'è in aria? —Dobbiamo assalire quella villa che tu vedi là, sulla riva sinistra, e salvare una donna che si trova rinchiusa. Hai capito, state pronti a tutto e basta. Recati a bordo ora, portami quella scatola d'oppio che trovasi nella mia cabina, e vieni a raggiungermi al caffè. —Io corro. —Va dunque e spicciati. Il battelliere non se lo fece dire due volte e se ne andò di corsa. Ibrahim si stropicciò allegramente le mani ed entrò nel caffè che trovavasi pochi passi lontano. Non vi era che il wadgi (caffettiere) che faceva fuoco al fornello alzandosi e abbassandosi per soffiarvi sopra. —Meglio così, borbottò il reis. Si addormenterà senza testimoni. Chiamò il wadgi, si fece portare una tazza di moka fumante e due scibouk. Aveva appena cominciato a sorseggiare la deliziosa bevanda che entrava Saba. —L'oppio? chiese brevemente Ibrahim. —Eccolo, padrone, rispose il battelliere porgendogli una scatoletta. Il reis l'aprì con precauzione; conteneva una dozzina di pallottoline d'oppio. Ne prese quattro e le mise in uno dei scibouk coprendolo con un fitto strato di tabacco. —Le fumi? chiese Saba, sorpreso. Ti ubriacherai terribilmente. —Zitto, giovanotto, disse Ibrahim con aria misteriosa. Ora ti recherai alla villa che poco fa ti additai, e chiederai del greco Notis, tieni bene in mente questo nome. Gli dirai che venga subito qui che devo parlargli su cose assai interessanti. Va! Il battelliere uscì di corsa dirigendosi verso il molo, e Ibrahim, empito l'altro scibouk di tabacco l'accese mettendosi a fumare colla maggior calma del mondo. Mezz'ora dopo entrava in furia il greco Notis. —Ah! Siete qui, padrone! esclamò Ibrahim con mal celata gioia.
Abbiamo delle grandi novità.
—Narra, Ibrahim, disse Notis sedendosi di fronte a lui. —Accendete il scibouk ed ascoltatemi, disse il reis spingendo verso di lui la pipa carica d'oppio. Il greco prese il scibouk e vedendo che era di già carico l'accese avvolgendosi fra dense nubi di fumo. —Ditemi, innanzi tutto, come sta quella donna che voi tenete prigioniera. Essa mi interessa qualche poco. —Non mi curerò di lei per tre giorni, rispose Notis stizzito. Ma dopo, oh la vedremo chi di noi due la vincerà. Raccontami ora, queste novità. Il reis vuotò il fingiam (vasetto) di caffè e rovesciandosi indolentemente sull'angareb, gli disse a bruciapelo: —Padrone, lo schiavo di Abd-el-Kerim è arrivato a Quetêna. Il greco fece un soprassalto sul sedile emettendo un gran oh! di sorpresa. —Da quando? chiese con ansia. L'hai veduto tu? —Sono due giorni che è giunto e sa già che Fathma trovasi nelle vostre mani. —È solo? —Solo e in miseria per soprappiù. —Non è da temersi adunque! esclamò Notis che respirò. —Non c'è da darsene pensiero. Il povero diavolo l'ho veduto ieri sera che rosicchiava una pannocchia di durah sotto una rekuba. Mi pareva assai malandato. —Come facesti a sapere che era Omar? —Perchè gli ho parlato assieme. —Tu!… Scherzi forse? —Niente affatto. —E… ti ha conosciuto? —Non sa nemmeno chi sia. —Potevi dargli un colpo di coltello e freddarlo. —Ma parve una fatica inutile. Che ne dite? Il greco rispose con una risata da ebete. Appoggiò la testa sulle mani e continuò a fumare con maggior furia cogli occhi vitrei fissi dinanzi a sè. Egli provava allora una voglia irresistibile di fumare, un senso di benessere strano, nuovo, una calma inesprimibile, un alleviamento di testa unico e una leggerezza tale che credeva di galleggiare in mezzo all'aria. Il reis lo guardò attentamente e sorrise. La faccia del fumatore era smorta smorta, attorno agli occhi cominciavano a disegnarsi due cerchi azzurrognoli e muoveva le mani convulsivamente. —L'oppio opera, pensò il barcaiuolo. Fra poco cadrà nel mondo dei sogni. —Dunque tu dicevi?… ripigliò Notis, dopo qualche minuto di silenzio. —Che freddarlo con una coltellata mi pareva fatica inutile. —Chi?… —Lo schiavo di Abd-el-Kerim. —Abd-el-Kerim, balbettò il greco come non avesse ben compreso. Dov'è quest'uomo? —A Gez Hagiba. —Non mi ricordo più nulla… ho come della nebbia dinanzi agli occhi… mi pare di galleggiare… di sognare…. Ibrahim non aprì bocca. Il greco continuava a fumare rabbiosamente e tuffavasi, per così dire, fra le ondate del fumo oleoso e pesante. Passarono cinque minuti. Notis cambiò tre o quattro volte posizione e cercò di riappiccare il discorso, ma dalle labbra tremanti non gli uscivano che frasi interrotte e senza senso. Ad un tratto si rovesciò sull'angareb, chiuse a poco a poco gli occhi e lasciò sfuggire il scibouk che cadde a terra spezzandosi. Cercò ancora di rialzarsi, agitò le braccia quasicchè cercasse d'abbracciare qualche cosa che danzavagli dinanzi, poi restò immobile. Il reis si alzò e mirò per qualche tempo l'addormentato, il quale era così pallidissimo da scambiarlo per un cadavere. Un sorriso di viva soddisfazione e anche di commiserazione apparve sulle labbra di Ibrahim. —Ecco un uomo terribile ridotto inoffensivo quanto un fanciullo, mormorò egli. Quando si sveglierà io avrò pagato il sacro debito con Dàud ed egli si troverà senza amante. Povero Notis! S'avvicinò al wadgi e gli mise in mano un tallero. —Quell'uomo là dorme profondamente, gli disse. Dormirà tutto oggi e probabilmente tutto domani. Portalo in qualche stanza senza fargli male alcuno e se dei beduini vengono a cercarlo, rispondi a loro che tu non l'hai nemmeno visto. Se tutto va bene avrai cinque talleri in regalo. —Non temere di nulla, vecchio Ibrahim, rispose il wadgi. Il reis uscì dal caffè nel momento che il sole precipitava dietro i monti di Semin e di Lao Lao. Respirò una boccata d'aria, poi si diresse verso il molo sul quale passeggiavano impazientemente Dàud e Omar. —Eccomi a voi, amici miei, disse avvicinandosi. —Il greco? chiesero al un tempo il negro e il sennarese. —Dorme come un serpente, nè si sveglierà prima di quarantott'ore. Gli ho fatto fumare una forte dose di oppio. —Bravo Ibrahim, disse Dàud, stringendogli energicamente la mano.
Andiamo ora alla villa a liberare quella cara amante di Abd-el-Kerim.
—E come si entrerà? interrogò Omar. —Ci arrampicheremo su per una delle finestre, rispose Ibrahim. Le tenebre calano in furia; noi approderemo senza essere visti ed entreremo nella stanza

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Argomenti: due ore,    povero diavolo,    brutto tiro,    deliziosa bevanda,    voglia irresistibile

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