La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 54

Testo di pubblico dominio

destra e a sinistra per non offrire facile bersaglio alle palle. —Alla carriera! gridò il reporter, spronando vivamente il cavallo. Se non usciamo in fretta, corriamo rischio di venire rinchiusi qui da un migliaio di quei furfanti. Attenti alle imboscate! I tre cavalli si slanciarono nella gola che andava restringendosi a mo' d'imbuto, seminata qua e là da cadaveri di soldati egiziani o d'insorti, imputriditi, spesso mezzo divorati dalle fiere e che mandavano un odore nauseante. In meno di cinque minuti giunsero a duecento passi dall'uscita. Qui i tre cavalieri arrestarono di colpo i loro cavalli. —By-good! bestemmiò O'Donovan. Hanno chiusa la via! Infatti gli insorti si erano aggruppati dinanzi all'uscita riparandosi dietro i macigni e le macchie. Essi accolsero la comparsa dei cavalieri con indescrivibili urla, alzando le lancie e le scimitarre di ferro. —Torniamo indietro, disse Fathma. Forse non ci hanno ancora tagliata la ritirata. —È impossibile, rispose il reporter. Dietro a quei ladroni vi è il campo e se ritorniamo verremmo facilmente uccisi. —Che facciamo adunque? chiese Fathma. —Non trovo altro mezzo che quello di forzare il passo. Sono sei o sette ladroni e non mi sembrano molto coraggiosi. Tirate l'jatagan e prendete le pistole; piomberemo loro addosso come una valanga. I cavalli spronati a sangue ripartirono alla carriera. I ribelli, vedendoli venire addosso, saltarono in piedi colle lancie in aria. O'Donovan, che aveva tratto la scimitarra, ruinò in mezzo a loro spaccando nettamente la testa al primo che gli si parò dinanzi. Fathma e Omar scaricarono le loro pistole sugli altri, i quali, vista la mala parata, si affrettarono a lasciare il posto. I cavalieri uscirono in furia dalla gola dirigendosi verso una boscaglia di palme e di mimose che nascondeva il campo egiziano. —Avanti! avanti! gridò O'Donovan. Un urlo tremendo e alcune moschettate tennero dietro al suo comando. Dai burroni e dalle gole uscirono varii drappelli di arabi Abù-Rof e di Baggàra slanciandosi dietro ai fuggiaschi, agitando freneticamente le lancie, le scimitarre e gli scudi. —A briglia sciolta, Fathma, urlò il reporter. Sprona, perdio!
Sprona che siamo vicini al campo!
Dietro a loro s'udì lo scalpitìo precipitato di un cavallo. Omar volgendosi vide uno sceicco che si avvicinava rapidamente colla scimitarra alzata nella dritta e la bandiera del Mahdi nella sinistra. —Guardati, Omar! disse rapidamente Fathma, scaricando la sua pistola. Il negro si voltò e sparò il remington sullo sceicco, il quale lasciossi sfuggire di mano la bandiera. Cercò di rizzarsi sulle staffe e di brandire la scimitarra, ma le forze gli vennero meno e cadde pesantemente a terra colla testa inondata di sangue. I ribelli visto il loro capo a cadere, si arrestarono titubanti. Alcuni di essi s'avanzarono però, cercando di tagliare fuori Omar che era rimasto indietro, ma una scarica di remington che abbattè il più vicino e i sei colpi di revolver del reporter, li decisero a volgere le spalle e a rifugiatisi nella gola. —Avanti, Omar, che siamo vicini al campo! urlò O'Donovan caricando il revolver. I tre cavalli con un ultimo slancio guadagnarono il palmeto prendendo un largo sentiero sul quale scorgevansi, profondamente impresse, le traccie lasciate dalle ruote dei cannoni, e si arrestarono poco dopo dinanzi ad un gruppo di capanne attorno alle quali bivaccavano alcune compagnie di negri d'Etiopia. —Alto! comandò O'Donovan. Siamo giunti a Kassegh. I tre viaggiatori balzarono a terra. CAPITOLO XII.—L'esercito egiziano. Kassegh è un piccolo villaggio distante una sola giornata di cammino da El-Obeid, la capitale del Kordofan. Questo villaggio si compone di un gruppetto di miserabili tugul conici, circondati da pochi pozzi e abitati un tempo da un pugno di arabi. Hicks pascià, appena giuntovi, l'aveva fatto occupare da alcune compagnie di negri per tenere in rispetto i ribelli che scorazzavano i dintorni e farne, all'uopo, la base delle sue operazioni contro El-Obeid. O'Donovan, affidati i cavalli ad alcuni soldati si affrettò a condurre Fathma e Omar in una capanna, che fu subito sgombrata da coloro che l'occupavano e fece portare della birra merissak e una terrina di durah bollite. —Voi rimarrete qui, diss'egli, e mentre vuoterete questo fiasco di birra andrò a dire due parole al comandante della guarnigione, che è mio amico. —E al campo, quando ci andremo? chiese Fathma, che non dissimulava la sua impazienza. —Fra mezz'ora noi vi entreremo, e forse potrete vedere Hicks pascià senza correre rischio di essere riconosciuta. Il reporter se ne andò lestamente cacciandosi in mezzo alle tende degli Egiziani. Omar e Fathma, rimasti soli, si scambiarono uno sguardo. —Che ne dici di quell'uomo, Omar? chiese l'almea. —Dico che possiamo fidarci di lui, rispose il negro. —Credi tu che troveremo Abd-el-Kerim? —Lo spero. —Eppure O'Donovan non l'ha mai veduto e non ha mai udito pronunciare il suo nome. Non so, ma ho un funesto presentimento. —Io trovo naturalissimo che O'Donovan non lo abbia mai veduto.
Undicimila uomini non sono già un centinaio.
—Ma la greca l'ha pure veduta, disse Fathma con collera. —Una donna si fa presto a notarla, tanto più che Elenka si mostrava spesso nella tenda di Hicks pascià. —Ma non si mostrerà più, te lo giuro Omar. Appena sarò entrata nel campo mi metterò in cerca di lei e la pugnalerò in qualsiasi luogo la trovi. —Non lo farai, Fathma, disse il negro fermamente. —Perchè?… Chi me lo impedirà? chiese con impeto selvaggio l'almea. —Perchè correrai il rischio di farti prendere. —E che importa a me quando l'avrò uccisa? —Ma verrai scoperta, riconosciuta per la favorita del Mahdi e forse fucilata lì per lì. Questi inglesi non ischerzano, Fathma. —Sarò prudente, Omar. —Me lo prometti? —Te lo prometto. —Lascia fare a me. La prenderò, la trascinerò lungi dal campo e te la darò in mano legata. —Ah! esclamò l'almea con feroce accento. Quando penso che la vedrò ai miei piedi gelata dalla morte, sento il cuore balzarmi in petto e provo una gioia sino ad oggi mai provata. Ah! quanto è bella la vendetta. —Zitto, Fathma; ecco O'Donovan, disse Omar. O'Donovan entrò seguito da un negro che portava in ispalla un gran rotolo di vesti. —Che ci portate? chiese Fathma affettando una certa noncuranza. —L'occorrente per entrare nel campo senza destare sospetti, rispose
O'Donovan congedando il negro.
—Forse con quelle vesti sulle spalle? —Sedete e ascoltatemi. O'Donovan empì una tazza di birra e la tracannò in un sol fiato, poi sedendosi dinanzi a loro due: —Amici miei, diss'egli, in tempo di guerra, fare entrare in un campo degli sconosciuti, è sempre pericoloso. —È giusto, disse Fathma. —Ho fatto portare qui delle vesti di basci-bozuk, e mi pare che camuffati da soldati sia facile entrare ed uscire dal campo. —Ah! fe' Omar ridendo. Voi volete vestirci da basci-bozuk? —Sicuramente. —Anch'io? chiese Fathma. —Voi più del vostro compagno. —È ridicola. —Niente affatto, io la trovo una precauzione saggia. —Mi si conoscerà facilmente per una donna. —Non così facilmente come credete. Avete un bel portamento e una faccia ardita. Orsù, spicciamoci. O'Donovan sciolse il rotolo e levò sei o sette vestiti di ufficiali basci-bozuk coi turbanti e le scimitarre. Fathma non esitò a scegliere quello che meglio adattavasi al suo taglio. Si ritirò in una stanza attigua e cominciò a vestirsi, calzò le uose di pelle di capra, infilò i larghi calzoni rossi e la casacca ricamata d'argento, cinse la larga fascia nella quale passò un jatagan e le pistole e raccolse i capelli a chignon, nascondendoli interamente sotto un gran turbante verde. Appesasi la scimitarra, ritornò dai compagni, colla dritta posata fieramente sulla guardia dell'arma e la testa alta. —Ah! il bell'ufficiale! esclamò O'Donovan By-good! Non mi ricordo d'aver visto in Oriente un

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Argomenti: due parole,    duecento passi,    largo sentiero,    piccolo villaggio,    facile bersaglio

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