La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 51

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va bene, ripigliò con accento allegro la medesima voce di prima. Ohe! fatevi innanzi senza paura, che non siamo Abù-Ròf, noi. Fathma e Omar, ancora sorpresi da quell'inaspettato soccorso, si affrettarono a raggiungere i loro salvatori. Erano quindici uomini semi-nudi, d'alta statura, magri e ossuti. Riconobbero subito in quelli dei giallàba, trafficanti dongolesi che viaggiano tutto il tempo dell'anno pel Kordofan portando durah e maiz, infaticabili camminatori dotati di una frugalità eccessiva. Basta un pugno di grano ogni ventiquattr'ore per accontentare quei negri, che sanno però, quando si presenti loro l'occasione, divorarsi un montone intero in due o tre persone. Il loro capo aiutò galantemente Fathma a discendere da cavallo baciandole la mano. —Posso chiamarmi fortunato di aver salvato una così bella araba, diss'egli, sorridendo. M'immaginai subito che quei cani di ribelli ti dessero la caccia. Sei ferita? —Niente affatto, mio bravo giallàba, rispose Fathma. Lascia che io ti ringrazi d'avermi salvata. —Non corriamo troppo, tu non puoi chiamarti ancora salva. —Cosa intendi di dire? esclamò l'almea sorpresa. —Credi tu che i ribelli non tornino alla carica? Non sarei sorpreso se fra un paio d'ore ci vedessimo capitare addosso un due o trecento di loro. —E non ti fanno paura? —Altro che paura, io rabbrividisco al sol pensarlo. —E che intendi di fare? —Faccio montare i miei uomini e me la batto. Se vuoi venire con noi? —Dove vai? —Al campo di Hicks pascià per arruolarmi sotto la sua bandiera. —Ma anch'io vado al campo di Hicks! esclamò l'almea. —Meglio così; allora verrai con noi. —Credi che la via sia libera? —Uhm! fe' il giallàba crollando il capo. Ne dubito. —Credi che quei selvaggi abbiano tanto coraggio da ronzare attorno al campo Egiziano? Hicks pascià, se non erro, deve avere con sè un esercito di dieci od undicimila uomini. —E il Mahdi duecentomila. Sai che ho una paura maledetta che un dì o l'altro Hicks o Aladin pascià vengano sconfitti? Quel diavolo di Mohamed-Ahmed è un uomo di ferro e di gran coraggio che dirige le sue bande come noi dirigiamo i nostri mahari e fors'anche meglio. I suoi guerrieri non hanno paura della morte, perchè il furbo ha dato ad intendere che chi morrà combattendo per la santa causa andrà dritto in paradiso a trovare le urì. Con simile promessa anche i più vigliacchi diventano leoni. —Sai tu quali idee abbia Hicks pascià? —Di muovere su El-Obeid, a quanto potei udire. Pare che voglia dare il colpo di grazia al Mahdi privandolo della sua capitale che è anche il suo quartier generale. Bisogna raggiungerlo prima che dia battaglia. Orsù tutti in sella e avanti, prima che arrivino quei cani di Abù-Rof. I diciasette uomini ubbidirono e si cacciarono nella gola, sbucando in una seconda pianura sabbiosa ondulata, perfettamente deserta, limitata all'est e all'ovest da rocce colossali, dirupate, di una aridità spaventosa. I cavalli vennero spronati e si diressero al galoppo verso l'occidente sollevando ondate di finissima polvere bianca. Per quattro ore consecutive viaggiarono con celerità sorprendente, poi, essendo i cavalli stanchi, si arrestarono nelle vicinanze di un largo pozzo colmo di acqua sulle cui rive s'alzavano due grandi palmizi. Fathma additò al capo giallàba una gran zeribak che mostrava qua e là dei varchi. —Possiamo accamparci là dentro, diss'ella. Siamo abbastanza lontani dal luogo dello scontro. Gli insorti non ci raggiungeranno più. —Veramente il luogo non mi pare adatto, rispose il giallàba. Siamo troppo vicini a questo pozzo. —E che vuol dir ciò? —Che tutte le bestie feroci, essendo la pianura arida, verranno dissetarsi qui. Corriamo il rischio di passare il rimanente della notte assai malamente. —Abbiamo i nostri fucili, rispose Fathma. I giallàba si affrettarono a raggiungere la zeribak nella quale trovavasi abbondante raccolta di fieno, di sterpi e di sterco di cammello, usato dagli arabi per accendere il fuoco. I cavalli furono legati, i fuochi accesi e la magra cena di durah in un batter d'occhio fu preparata e divorata. Dopo di aver a lungo discusso sulla via da tenersi all'indomani, ciascuno s'accomodò alla meglio coi piedi rivolti al fuoco, acceso nel mezzo della zeribak. Erano le due quando Omar fu svegliato dal nitrire e dallo scalpitare disordinato dei cavalli. Si levò, prese la carabina e si spinse fuori della zeribak. La luna faceva capolino fra uno squarcio delle nubi e illuminava vagamente la pianura fino agli estremi limiti dell'orizzonte. Il negro s'arrestò sorpreso e spaventato alla vista di sei o sette leoni che s'avanzavano silenziosamente verso il recinto tenendosi dietro le collinette sabbiose. Alzò l'arma e tolse di mira uno di essi ma poi l'abbassò e andò a svegliare Fathma. —In piedi, padrona, diss'egli, con un tono di voce che non ammetteva replica. —Gli Abù-Ròf sono vicini forse? chiese l'almea alzandosi subito. —No, ma s'avvicinano dei nemici ancor più pericolosi di quei ladroni.
Vi sono dei leoni che vengono a questa volta.
Fathma non disse verbo. Armò la sua carabina e seguì il negro fuori della zeribak. Non erano più sei o sette leoni, ma una ventina. Alcuni strisciavano e altri saltellavano fra le sabbie colla criniera al vento emettendo bassi ruggiti. —Che facciamo? chiese Omar spaventato. —Or ti farò vedere, rispose tranquillamente l'almea. Appoggiò la carabina sulla biforcazione di una magra acacia che cresceva stentatamente fra le sabbie mirò attentamente il leone più vicino. —Fuoco! mormorò ella. La detonazione non era ancora cessata che il felino faceva un salto di quindici piedi ricadendo poi su un fianco. I giallàba al rumoroso scoppio saltarono in piedi colle armi in pugno, credendo d'aver a che fare cogli Abù-Ròf. —All'erta! gridò Fathma caricando prontamente l'arma. —Che accadde? chiesero i giallàba accorrendo presso di lei. —Tutti nella zeribak! comandò Omar. I cavalli nitrivano di spavento, scalpitavano e saltellavano cercando spezzare i legami e al di fuori i leoni ruggivano con furore e minacciavano di varcare le cadenti barriere del recinto. I giallàba, perduto il loro sangue freddo, si precipitarono confusamente nella zeribak cercando di salire sui cavalli per darsi alla fuga. Fathma si gettò in mezzo a loro colla carabina spianata. —Fermi tutti! gridò ella. Chi si muove è uomo morto! Nuovi leoni erano comparsi dietro alla zeribak e tagliavano la ritirata. La pianura s'empì di ruggiti formidabili, che crescevano ad ogni istante d'intensità e ai quali facevano eco le smodate e lugubri urla dei sciacalli. —Attenzione! gridò ad un tratto Omar, dominando colla tonante sua voce quello spaventevole baccano. Due leoni, i più grossi e forse i più affamati della banda, s'avanzavano verso la zeribak con salti giganteschi. I giallàba, dopo di aver esitato, si fecero animo e scaricarono le loro armi, mirando alla meno peggio. Uno degli assalitori cadde, ma l'altro continuò la corsa, varcò la palizzata e si precipitò proprio nel mezzo della zeribak rovesciando il capo dei negri e addentandolo furiosamente alla nuca. S'udì un grido straziante, terribile, supremo. I giallàba si gettarono verso i cavalli urlando disperatamente ma Fathma si slanciò addosso al felino che ruggiva spaventosamente dilaniando orrendamente la vittima e gli spaccò la testa con un colpo di jatagan. Non ebbe nemmeno il tempo di curvarsi sul povero negro ormai morto, perchè altri leoni assalivano il recinto. Omar alla testa dei più coraggiosi li accolse con un fuoco nutrito di carabine; tre o quattro furono fulminati, due ammazzati a colpi di scimitarra e gli altri s'allontanarono in furia, prendendo diverse direzioni. Non vi era un momento da perdere se volevano salvarsi. Omar si avvicinò a Fathma che caricava tranquillamente la carabina. —Padrona, le disse. Se non approfittiamo di questo momento di tregua per fuggire, prima di domani

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Argomenti: quattro ore,    tanto coraggio,    accento allegro,    montone intero,    simile promessa

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