La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 18

Testo di pubblico dominio

tormenti. —E mia sorella?… Elenka lo ama, e forse più di prima. —La faccenda diventa imbarazzante. E che vuoi fare adunque? —Fra due o tre giorni Elenka sarà qui e bisogna che prima del suo arrivo schiacci o meglio svelga dal cuore dell'arabo l'amore che ha per Fathma. —Non trovo altro mezzo che quello di strappargli addirittura il cuore, disse tranquillamente il bandito. —Ti ripeto che non deve morire. —Aspetta un momento. E se io mi spacciassi per un amante di Fathma? —Ebbene? —Lascia pensare a me o tu vedrai che gli farò perdere ogni speranza di rivedere Fathma e gli farò comparire Elenka come una salvatrice. Il Profeta stesso non potrebbe fare di più. —Se vi riesci compero da te Fathma a peso di talleri. —Non chiedo di più. Ora andiamo a trovare il mio rivale e poniamo in opera i nostri progetti. Lo sceicco s'inumidì le labbra con una tazza di merissak, accese un ramo d'albero resinoso, uscì dalla tenda e guadagnò l'entrata di un corridoio che aprivasi sotto una specie di piramide smussata e che si sprofondava tortuosamente sotto terra. Vi entrò camminando con precauzione fra rottami d'ogni sorta e s'arrestò, pochi minuti, dopo dinanzi ad una porticina ferrata e bassa. Tese l'orecchio: al di fuori s'udiva brontolare il tuono e ruggire il vento sotto le grandi foreste e nel sotterraneo s'udivano le bestemmie e i lamenti del prigioniero. Un satanico sorriso apparve sulle labbra dello sceicco. —Il mio prigioniero si trova a disagio nel sotterraneo, mormorò egli beffardamente. Lo faremo diventare idrofobo. Aprì la porticina ed entrò in una specie di cantina umidissima e tanto fredda da gelare le membra. In un canto scorse subito Abd-el-Kerim, addossato alla parete, coi pugni chiusi, la faccia contratta dalla collera e dal dolore e gli occhi fuori dalle orbite che schizzavano fiamme. Fit Debbeud emise un grande scroscio di risa che l'eco ripetè più volte. —Che fate, giovanotto mio? chiese egli, sghignazzando. L'arabo scattò in piedi come una belva e lo guardò torvamente. —Miserabile! urlò con voce strozzata, facendoglisi addosso colle braccia tese. Lo sceicco trasse flemmaticamente un pistolone e puntandolo verso di lui, disse duramente: —Se tu alzi una mano verso di me, ti faccio scoppiar la testa. —Sei un brigante! urlò l'arabo furibondo. —Si vede che tu conosci bene gli uomini. Non ti sei ingannato qualificandomi per un bandito. Abd-el-Kerim lo guardò sorpreso. —Ma che vuoi fare di me? Perchè mi hai rapito? Che ti ho fatto io per cacciarmi in quest'inferno? Chi te l'ordinò? Chiese con ira concentrata. —Non credeva che un uomo par tuo si sentisse in vena di parlar tanto.
Meglio così; noi discorreremo come vecchi amici.
Impiantò la torcia in terra, si sedette su di un mucchio di rottami, trasse di saccoccia il suo scibouk, lo riempì e accesolo aspirò tre o quattro boccate di fumo con una flemma che avrebbe fatto invidia ad un Inglese. —Tu mi chiedevi il perchè ti seppellii in quest'inferno, diss'egli, calcando su ogni parola. Se vuoi che te lo dica schiettamente, una donna è la causa di tutte le tue disgrazie. Abd-el-Kerim indietreggiò fino al muro e sentì un freddo sudore imperlargli la fronte. Un timore, un presentimento sinistro l'assalì. —Una donna!… balbettò. Una donna! —Conosci tu un'almea che si chiama Fathma? —Fathma! Fathma tu hai detto? Che vuol dire? Per Allàh, tu mi schianti l'anima!… —È proprio per schiantarti l'anima che io sono sceso in quest'inferno, disse beffardamente lo sceicco. —Ah! sciagurato! urlò il povero arabo facendo atto di saltargli addosso. —Non muoverti, per mille saette! gli intimò lo sceicco ripigliando il pistolone con gesto minaccioso. Sta in guardia, ti ripeto. Abd-el-Kerim si cacciò disperatamente le mani nei capelli e mugghiò come un toro. —Ma che ti feci io, assassino? che vuoi da me? chiese. —Odimi, ma non muoverti, se vuoi che ci lasciamo da buoni amici. Io sono lo sceicco Fit Debbeud ed amo alla follìa la donna che tu ami. —Chi?… Fathma?… —Sì, amo Fathma, ma l'amo, come ti dissi, alla follìa. Io seppi che tu l'amavi e che ella ti corrispondeva, e giurai in cuor mio di togliere l'ostacolo che mi sbarrava il cammino. Ebbi la fortuna di pigliarti e ti seppellii quaggiù per farti crepar di gelosia e sopratutto di fame. —Non è possibile!… Non è possibile!… urlò Abd-el-Kerim. Fathma non ama che me, mi ha giurato che sarà mia, e mia sarà. —È ben perchè ha giurato che sarà tua, che io ti spedisco all'altro mondo. Morto te, mi amerà voglia o non voglia. —Ah! Cane!… —Zitto, giovanotto mio. Se vuoi vi è un mezzo per riscattare la libertà. —Quale? chiese l'arabo che ebbe un raggio di speranza. —Quello di recarti da Fathma e di sputarle in volto in segno di supremo disprezzo. —Taci, miserabile, taci!… Io ti sbrano co' miei denti! —Addio, giovanotto, disse il beduino alzandosi. Oggi stesso partirò per Chartum con Fathma e tu rimarrai seppellito in questa tana che sarà anche la tua tomba. L'arabo cacciò un urlo disperato e si gettò sul bandito, ma questi stava in guardia. Si trasse prontamente da un lato e gli scagliò su un fianco un sì terribile pugno che il prigioniero cadde come morto. —Addio, giovanotto, ripetè lo sceicco sogghignando. Lasciò cadere una manata di datteri, spense la torcia e se ne andò tranquillamente, sbarrando la porta dietro alle spalle. Per dieci minuti lo sventurato Abd-el-Kerim non fu capace di muoversi tanto era stato forte il pugno scagliatogli dal bandito, poi con uno sforzo disperato si rizzò in piedi e si precipitò innanzi, colla speranza d'arrivare alla porta. Ma le tenebre erano profonde ed andò ad urtare contro un muro umido viscido al quale contatto rabbrividì. —Aiuto!… Aiuto! urlò egli con voce semi-spenta. L'eco del sotterraneo solo rispose alla disperata invocazione. Egli si mise a correre all'intorno come un pazzo, urlando e bestemmiando, chiamando Fathma che ormai credeva perduta, incespicando ad ogni istante, cadendo e risollevandosi. Trovò la porta, vi cozzò furiosamente contro cercando di scassinarla, ma non riuscì nemmeno a scuoterla. I capelli gli si rizzarono sulla fronte, la disperazione lo prese e per un istante gli balenò in mente l'idea d'infrangersi il capo contro le pareti. —Aiuto! Aiuto, Fathma! urlò ancora lo sventurato. Retrocesse barcollando come un ubbriaco e tese gli orecchi. Al di fuori tuoneggiava fortemente e s'udiva il vento urlare nel corridoio; un tuffo impetuoso d'aria umida giunse fino a lui. —Dove sono? si chiese egli con una voce che più nulla aveva d'umano. Che è successo? Perchè mi han rapito? Dov'è Fathma, la mia povera fidanzata, la mia disgraziata almea? Sono in preda forse ad un terribile incubo?… Si stropicciò gli occhi, e si persuase d'essere proprio sveglio e prigioniero in quell'orrido sotterraneo. Allora si risovvenne delle parole dettegli dallo sceicco Fit Debbeud. —Dio!… Dio!… esclamò egli con profondo terrore. Sarebbe mai possibile che quell'uomo fosse mio rivale? Sarebbe mai possibile che egli avesse a rapirla deludendo la sorveglianza di Hassarn?… Fathma! Fathma!… che farò io abbandonato in questa spaventevole prigione, senza speranza d'aprirmi un varco, senza un'arme per tentare la fuga, solo, isolato nel mezzo delle foreste del Bahr-el-Abiad?… Ho paura, ho paura, io divento pazzo!… Due lagrime gli solcarono le brune gote; si lasciò cadere a terra, nascose la faccia fra le mani e pianse. Le ore passarono lente, lente, ma nessun uomo scese nel sotterraneo, nè alcun rumore s'udì fuorchè gli urli della tempesta che continuava a imperversare. Quanto tempo passò? Egli non lo seppe mai, ma probabilmente più giorni scorsero. Aveva già perduta ogni speranza e s'era accoccolato in un angolo della prigione, fiaccato dalla fame e dalle angoscie, rassegnato a morire, quando un fischio repentino lo tolse dalla sua disperazione. Si alzò dopo

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Argomenti: freddo sudore,    grande scroscio,    satanico sorriso,    presentimento sinistro,    terribile pugno

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