La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 35

Testo di pubblico dominio

orribilmente. —Tu non sai adunque fino a qual punto io ti ami? ripigliò il greco con passione furiosa. Tu non sai adunque quanto io soffersi per te, da quel giorno che tu mi apparisti a Machmudiech? Quel giorno tu mi affascinasti, quel giorno tu avvelenasti il mio sangue, mi straziasti il cuore. Ho provato torture indicibili, gelosie tremende, a segno che io mi domando come possa ancora amarti invece di esecrarti. Mi sembra di essere pazzo, ma un pazzo furioso che vive solamente per te!… Mi hai udito, o Fathma? —Ti ho udito, rispose l'almea cupamente. —E dunque?… —Ti disprezzo, e più oggi che quindici giorni fa! Il greco emise un urlo di furore e la scagliò addosso a un divano. —Sciagurata, tu mi schianti il cuore! esclamò con straziante accento. Si mise a girare per la stanza col volto nascosto fra le mani e i capelli irti, poi ritornò verso Fathma che si era raccolta su sè stessa come una tigre, risoluta a difendersi contro gli attacchi di quel miserabile. —È tutto finito adunque fra noi? le chiese con voce cavernosa. —Lasciami sola, che la tua presenza mi fa male, disse Fathma. È impossibile che io ti ami, perchè sento per te un odio così profondo che non si estinguerà che colla mia morte. Comprendi, Notis? —Ma dimmi che ti feci io, terribile donna, dimmelo?… —Chi fu a infrangere la mia felicità? Chi fu a condurmi qui a morire lentamente, fra mille angoscie? Chi mi spinse a pugnalarmi? Chi fu quel vigliacco che mi denunciò a Dhafar pascià per una spia del Mahdi? Come posso io dimenticare tante cose! —Si, fui io, ma ti amava e fu solo l'amore che fece di me una spia. —Hai scavato un abisso, questo abisso è insuperabile. Vattene adunque e ridonami la libertà, lascia che io ritorni nel Sudan. Solo a questo patto potrei dimenticare quelle azioni codarde che mi usasti e forse col tempo a provare per te, se non dell'amore, almeno della compassione. —Ridonarti la libertà?… Lasciarti ritornare nel Sudan?… E perchè? —Per raggiungere colui che io amo sopra tutti, disse l'almea con slancio appassionato. —Ira di Dio! esclamò il greco. Tu pensi ancora a quell'arabo adunque? Il tuo cuore batte ancora per Abd-el-Kerim? Ma io non lo permetterò mai, capisci Fathma, mai, mai, mai!… —Sarai tu che impedirai al mio cuore di palpitare per Abd-el-Kerim? —Si, io, perchè te lo schianterò di nuovo quel cuore. Voglio strapparti quella passione che ti uccide e insediarvi la mia!… Sei in mia mano, Fathma, proseguì Notis con accento pieno di fiele e di minaccia. L'almea fe' un gesto come avesse intenzione di gettarsi fuori dalla stanza, ma s'avvide che la porta era chiusa e s'arrestò fremendo. —Non sperare nella fuga, disse Notis che s'era accorto della mossa. Quand'anche tu riuscissi a oltrepassare quella soglia, ti troveresti di fronte ai beduini dello sceicco Debbeud. —Vuoi adunque ridurmi una seconda volta alla disperata risoluzione di uccidermi? Sta in guardia, vigliacco, perchè sarei capace di ritentare la prova. Ma oggi i pugnali sono spuntati. —Vi sono delle pareti per spezzarsi la testa. —Fathma! esclamò Notis. Se tu ti uccidi, uccidi nel medesimo tempo… —Chi?… chi?… —L'arabo Abd-el-Kerim. —Abd-el-Kerim! esclamò l'almea portandosi le mani al seno che tumultuava angosciosamente. Allàh!… Allàh!… Girò su sè stessa chiudendo gli occhi e piombò sul divano; due lagrime le irrigavano le abbronzate guancie. Il greco spaventato accorse a lei, ma non giunse nemmeno a toccarla. —Indietro! gridò ella risollevandosi. Non toccarmi. —Fathma, disse Notis furente, non disprezzarmi oltre, o che io… S'era gettato innanzi per afferrarla, ma si era subito arrestato, sorpreso e quasi spaventato. Il ramo gigantesco che ombreggiava le finestre aveva mandato un legger crepitìo e s'era udita una sorda bestemmia. —Chi è là? chiese egli sguainando la scimitarra. Nessuno rispose. S'avvicinò ad una delle finestre, ma non vide o almeno credette di non vedere alcuno. —Chi può essere stato? si chiese egli. Guardò Fathma che si teneva ancora ritta presso il divano in atteggiamento fiero e sprezzante. —Fathma, disse, fa quello che tu vuoi, ma fra tre giorni tornerò a vederti. Se non avrai cangiato parere, se ricuserai di diventare mia, guai a te. Ti farò versare fiumi di lagrime e ti strazierò il cuore come giammai un carnefice fu capace di straziarlo! L'almea non rispose. Notis la guardò trucemente, poi le volse le spalle sbarrando dietro di sè la porta. La sventurata Fathma, rimase ritta per qualche istante poi ripiombò sul divano piegandosi su sè stessa. —Dio!…. Dio!…. ripetè ella. Tutto è perduto, tutto è finito! Potessi almeno veder un'ultima volta colui che tanto amo, e poi morire. Ella si nascose la faccia fra le mani e il suo volto si inondò di lagrime. Il fragore di un vaso di fiori che si infrangeva la fece saltar in piedi. Si guardò attorno e scorse a terra un grosso ciottolo appeso al quale eravi qualche cosa di bianco. Lo prese, continuando a guardarsi attorno per la tema di venire scoperta, e s'accorse che quel bianco era un pezzetto di carta scritta. Lo spiegò e lesse in arabo: «Ho visto e udito tutto. Ho disertato per ordine di Abd-el-Kerim e non ho altra missione che quella di salvarti. Non temere nulla: prima dei tre giorni sarai libera. «Omar». L'almea rattenne a malapena un grido di gioia che stava per sfuggirle e corse alla finestra. Ella vi giunse nel momento che un negro semi-nudo, uscito dalle acque del Nilo, saliva la sponda opposta. —È lui! Omar: esclamò con voce tremante. Allàh, fa che egli mi salvi! CAPITOLO III.—Il reis Ibrahim Il vecchio reis Ibrahim, lasciato che fu da Notis, non aveva perduto il tempo. Sedutosi per terra, s'era fatto portare due grandi vasi di merissak e si era messo a bere sbocconcellando un enorme pezzo di ebrèk, sorta di pane fatto con maiz agro, e che mangiasi usualmente bagnato con brodo o con latte zuccherato. Lo sceicco Fit Debbeud, entrando allora allora, si era bravamente seduto di fronte a lui e lo aiutava efficacemente a vuotare i vasi di birra, intavolando una viva conversazione. —Dunque, tu narravi al padrone, diceva lo sceicco, che hai veduta
Elenka a Gez Hagida.
—Sicuro, rispondeva il reis, vuotando l'una dietro l'altra parecchie tazze. L'ho veduta e le ho parlato più di una volta. —E ti raccontò tutta la faccenda? —Già, mi narrò gli amori di Abd-el-Kerim con un'almea, che, se non erro, chiamasi Fathma e tutto quello che ne seguì. —E ti avvisò che lo schiavo dell'arabo aveva disertato? Il reis fece col capo un cenno affermativo, tracannando la dodicesima tazza di birra. —L'hai incontrato tu, questo schiavo? —No, rispose Ibrahim. Eppure domandai di lui in tutti i villaggi che toccai. —Lo conosci forse? —Niente affatto. Quando conobbi l'arabo Abd-el-Kerim, questo schiavo non era con lui. —Credi tu che noi dobbiam preoccuparci di questo negro? —Se è solo non è da temerlo molto. Eppoi si fa presto a spedirlo nell'altro mondo. Una pistolettata o quattro dita di jatagan e tutto è finito. —Parli bene come l'Alcorano, disse lo sceicco, sorridendo. D'altronde staremo in guardia e se dormiremo procureremo di chiudere un solo occhio. La conversazione fu tagliata dalla comparsa di Notis, che scendeva dalla stanza di Fathma. Era cupo e si vedeva nei suoi occhi la tremenda ira che ardevagli in petto. —Abbiamo perduto? chiese Debbeud, alzandosi. —Sì, rispose il greco. Quella donna è una fortezza inespugnabile. —Per mille saette! esclamò il beduino. Non siete stato capace di piegare quella femminuccia! Ma come è possibile? —È una leonessa, non una femminuccia. Ella mi derise e rispose alle mie proteste d'amore coi più sanguinosi disprezzi. —Quando una donna è così irremovibile la si tortura colla fame e col bastone. —No, disse Notis con stizza. Quell'almea io l'amo e non mi sento l'animo di farla soffrire. —E allora? —Aspetterò ancora tre

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Argomenti: accento pieno,    ramo gigantesco,    atteggiamento fiero,    grosso ciottolo,    enorme pezzo

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