L'amore che torna di Guido da Verona pagina 9

Testo di pubblico dominio

fatti insieme, in questa piccola stanza nostra, quando mi amavi ancora? — Perchè dici così? Nulla è mutato. — No, tu non rispondere... Taci, taci! Vedi bene che cerco di non piangere... Ah! non voglio piangere!... E scosse la testa. Una lacrima le cadde dalle ciglia, pianamente, senza il desiderio d'essere asciugata. — Ti ricordi? — ella ricominciò. — Dopo il pranzo tu mi dicevi: Non verrà nessuno? — Nessuno. — Dormirà la zia? — Dormirà. — E allora mi prendevi su le ginocchia, proprio qui, su questo medesimo divano, e mi dicevi tante parole così dolci, così dolci... Qualche volta io ti leggevo un libro, ma tutti i libri erano troppo noiosi e ci voleva un'eternità prima di giungere alla fine. Verso le undici Pietro portava il tè, con due tazze, ma noi se ne adoperava sempre una sola... ti ricordi? — Sciocchezze! — io dissi mentalmente. Ma ebbi quasi paura di averlo pronunziato in modo intelligibile. Invece risposi, con la voce più mite che potei: — Sì, mi ricordo. Ma, vedi: non si può continuare tutta la vita a bere il tè nella medesima tazza. Queste piccole cose hanno il loro pregio appunto perchè si fanno una volta sola; continuandole diverrebbero comuni. — E come le piccole cose, anche le grandi, — ella rispose. — Tutto è comune quello che non piace più. Vedi, Germano, anch'io darei non so cosa per trovar sciocco e vuoto il migliore fra i nostri ricordi; ma, che vuoi? è più forte di me, non posso! C'è qualcosa nel mio spirito che mi fa trovare continuamente nuovo tutto quello che appartenne ad un momento del nostro amore. Poi, d'improvviso, dilatando gli occhi con una specie di smarrimento, arrendendosi alla suprema evidenza di un pensiero: — Dimmi, — esclamò, — come potremo continuare a vivere in questo modo? E prima che potessi rispondere: — Pensa ch'io t'amo ancora terribilmente! Non ho dimenticato, io!... Vedi, mi consumo tutta, perchè ti perdo, e lo so! — Senti, senti, non parlare così... — la supplicai. — Tu soffri per colpa della tua immaginazione; sei fuori di strada, sei malata. Non è come tu credi. Solamente, il carattere di un uomo subisce talvolta una crisi... Allora le infantilità dell'amore passano, com'è naturale, mentre il sentimento rimane. Che hai? Su, dimmi, che hai? Ella scuoteva la testa con maggiore insistenza. — No, non cercare d'illudermi: l'amore non è una cosa che si finge. Meglio allora, mille volte meglio che tu non abbia questa inutile compassione di me! Credi forse che io non lo sappia? Finora non mi avevi mai fatto così male come oggi. Da che sei venuto qui, ogni tua parola, ogni tuo movimento, è stato per me come una ferita più profonda, più diritta nel cuore. Lo vedo: il tuo pensiero è altrove; io ti dò noia; non aspetti che l'ora di potermi lasciare, perchè, oltre a non amarmi più, adesso ne ami un'altra, lo so! lo so... e, guarda... Di scatto sorse in piedi, con gli occhi un po' folli; una sua mano fece l'atto di volermi ghermire, ma invece, col braccio teso, ella descrisse un piccolo cerchio su sè stessa, girando sui talloni, e ricadde sopra il divano, sprofondandovi la faccia, balbettando: — Ecco, mi farai morire! — Ti esalti, Edoarda, ti esalti — le dissi, vinto da una dolorosa commozione. — Per carità, non farmi queste scene terribili! Sai pure quanto mi disperano! Ed esagerando la mia sovraeccitazione, mi diedi a camminare per il salottino senza contenere qualche gesto violento. In silenzio, come intimorita, Edoarda si ritrasse contro la piccola scrivania, facendo uno sforzo per nascondere le sue lagrime. Allora le andai vicino, con dolcezza: — Tu, purtroppo, rimarrai eternamente una bimba! Non puoi convincerti che un uomo, il quale ha tanti pensieri fastidiosi per il capo, senta qualche volta un altro desiderio che non sia quello di prendere la sua donna fra le braccia e ripeterle quelle frasi appassionate che si dicono a vent'anni, quando non si ha nulla di più serio nè di più grave nella vita. — Non avevi però vent'anni alcuni mesi or sono, — ella mi disse, lasciandosi carezzare i capelli. — È vero; ma sono mutato. È una cosa recente. Non so, non lo comprendo neppur io. — Dimmi, — ella fece, posandomi le due mani su le spalle, con un sorriso in cui tremava il dolore del suo martirio; — dimmi, chi è questa donna per la quale ti sei battuto? — Ma non c'è! non esiste! — affermai, assolutamente incapace di farla più oltre soffrire. — Sì, che c'è! Raccòntami! — E dagli occhi fermi le scendevan lacrime su la bocca sorridente. — Cosa ti hanno detto, mio povero amore? — le domandai. — Mi hanno detto... Ma no! voglio saperlo dalla tua bocca. Orribile! orribile! Tutto era indegno, la finzione come la verità. — Ebbene, vuoi sapere? Ecco: è un'antica amante, una forestiera conosciuta in viaggio, prima di te. L'ho ritrovata qui a Roma, per istrada; mi ha fermato, mi ha detto che l'andassi a trovare... Vi andai. Ecco, già che vuoi sapere, ti dico la verità. Improvvisavo le parole ad una ad una, prendendo fiato per cercarne altre. — Ma perchè vi sei andato? Le volevi bene ancora? — Nemmeno per sogno! Vi sono andato, così, per capriccio, per fare qualcosa... Tu non crederai, ma quando un uomo sta per ammogliarsi e deve chiudere la sua vita galante, prova talora una specie di ritorno sentimentale, o stupido, come vuoi, verso le amiche di una volta, ma indistintamente verso tutte, per la semplice ragione che dopo non si avranno più. Mi capisci? — Sì, forse posso capire, fino qui... Ma poi? — Poi, non c'è altro. Il resto, che so io, è stato un semplice caso... — Eppure ti sei battuto per lei. — Per lei? Ma chi te l'ha detto? Ci siamo battuti per una sciocchezza. Intanto, quell'Albanese, non l'ho mai potuto soffrire. È un vanesio antipatico e m'irrita. Poi forse credeva che quella donna fosse la mia amante... — Ma come poteva crederlo, se non era? — Oh, Dio, si raccontano tante fiabe! Del resto mi aveva un giorno incontrato per istrada mentre parlavo con lei. Dunque, lasciami continuare... Venne al Circolo, e, seccatissimo di perdere, cominciò a stuzzicarmi dicendo una quantità di scempiaggini, cioè che avevo fortuna con le carte ma non con le donne, perchè lui conosceva questa signora, le mandava fiori, la fermava ogni giorno... insomma che credeva di potermela togliere quando volesse. Io gli ho risposto, per puntiglio, che la sua pretesa era un po' avventata, ma che gli stava bene il soprannome di «Assillo», poichè infatti, con quelle sue millanterie, si rendeva ridicolo. Insomma da una parola vivace all'altra, si venne ad un battibecco. Naturalmente raccontarono poi che la causa ne fosse quella donna... Vedi che dopo tutto la mia colpa non è tanto grave! — Ed è così?... — fece, incredula. — È così, Edoarda. Perchè ti dovrei mentire? Il suo volto era passato per un'alternativa continua di sentimenti; ora mi fissava, quasi per scrutarmi nel più recondito pensiero. E intanto, come spesso avviene, mentre si elabora un'idea, dietro, nei recessi della mente, un'altra nasce, luminosa, imprevista, per risolvere la difficoltà contro la quale ci dibattiamo. Parlando, il mio pensiero andò, non so come, verso le mie campagne di Terracina, su cui scadeva di lì a poco una certa ipoteca dei Rossengo di laggiù; rimedio gravoso e miserevole frapposto all'imminenza della mia rovina. Avrei dovuto recarmi colà, in cerca di un ripiego qualsiasi, poichè non avevo il denaro per estinguerla. Orbene, perchè non valermi di un tal pretesto per abbandonar Roma con Elena, e di laggiù forse avere il coraggio supremo che non avrei mai trovato davanti al suo dolore? Ecco: l'idea mi parve semplice, piana, gioconda. Stupii di non averla immaginata prima, e con tutte le mie forze m'apparecchiai a dimostrarle man mano questa necessità. — Non mi credi? — ripresi. — Non mi credi ancora? Ebbene, domandalo a Fabio Capuano. Egli era presente. Credi a lui? — Vorrei

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Argomenti: due mani,    piccolo cerchio,    coraggio supremo,    inutile compassione,    semplice ragione

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