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L'amore che torna di Guido da Verona pagina 66folto degli aranceti, pendere i bei frutti d'oro! V'era poca gente ancora; gli alberghi, aprendosi ad uno ad uno, cominciavano a lustrar gli specchi per la stagione prossima, i giardinieri a rifar l'aiole, i verniciatori a rinfrescar le insegne. Quegli amici che mi avevano condotto, ripartirono, stanchi della mala sorte; io, per pigrizia, rimasi. Cominciai con perdere, lentamente, ogni giorno. Ma una sera che tornavo da una gita in automobile, verso l'ora del pranzo, entrai svogliatamente nelle sale da giuoco, non sapendo che fare. Le tavole quasi eran deserte; ancora faceva caldo; gli impiegati sonnacchiosi, oppressi dal tedio, sbadigliavan o mormoravano tra loro. Una signorina bionda e anemica, la quale soleva spesso darmi consigli, mi disse, venendomi vicino e facendo sonare la sua borsetta piena d'oro: — È la giornata del 26: giocatelo! In quel momento, ad una «roulette» poco discosta, capitò che annunziassero proprio il numero 26. — Vedete? — ella fece ridendo, e uscì. Avevo poco denaro in tasca; m'accostai ad un'altra tavola, presi un gruzzolo d'oro e lo misi al 26. Uscì proprio questo numero, ed io lasciai tutto il guadagno su le varie combinazioni del 26. Ripeterono lo stesso numero, ed in capo d'un'ora, facendo lo stesso gioco su varie tavole, ero giunto a vincere oltre cinquantamila lire. La signorina bionda e anemica bevve quella sera molto Sciampagna, disse molte corbellerie e volle che l'accompagnassi a casa — per slacciarle il busto. Da quella sera in poi non feci che vincere ogni giorno, senza interruzione, con una facilità che stupiva me stesso. Dopo varie settimane mi trovai possessore di una somma notevole, e, non volendo riperderla, mi recai a Parigi per attendere il ritorno di Elena. In quei giorni appunto ell'aveva scritto da Ginevra al direttore del suo teatro, dicendosi malata e chiedendogli ancora un mese o due di riposo. Corsi a Ginevra, ed all'albergo dal quale aveva scritto mi risposero ch'era partita pochi giorni prima, non sapevano per dove. Solo, triste, torturato da mille dubbi, roso dall'impazienza, tornai a Parigi, dove tutte le sere andavo al suo teatro, quasi per essere più vicino a lei. Elia — mi dissero — dall'Egitto era andato in America. S'avvicinava l'inverno; pioveva quasi ogni giorno; tutto mi pareva lugubre, tedioso. Accarezzavo intanto il mio sogno con gelosia; pensavo che saremmo tornati a vivere insieme, per sempre questa volta; con il denaro vinto mi sarei messo a trafficare in Borsa prudentemente; si avrebbe insieme guadagnato abbastanza da essere felici. Poi, quando fossi tornato ricco, l'avrei indotta a lasciare il teatro, avrei forse comprata una villetta nei dintorni di Parigi, un'automobile per venire in città; forse, col tempo, l'avrei sposata. L'estate si sarebbe andati a Torre Guelfa, o si avrebbe viaggiato, secondo la sua preferenza: dal nostro amore sarebbe nato qualche bimbo ed avrei conosciuta io pure la gioia della famiglia, la tranquilla poesia del focolare. Immaginavo di raccontarle queste cose, vincendo a poco a poco la sua riluttanza, facendomi perdonare il passato, con la dolcezza delle mie parole. Per ingannare il tempo, andavo alle agenzie domandando quali case vi fossero da affittare; sceglievo questa o quella nel mio pensiero, dicendo che presto mi sarei risoluto. Le comperavo molti piccoli regali, curavo la mia persona, cercavo di rammentarmi i suoi più piccoli desiderii. Finalmente giunse. Me lo dissero al suo teatro, una sera, dopo lo spettacolo. Il cuore mi tremò; avrei voluto correre da lei sùbito, senza tardare un attimo. Era scesa nella «Rue Castiglione», all'albergo dello stesso nome, poichè aveva lasciata la sua casa. Uscii dal teatro con le vene che mi battevano forte, la mente smarrita, un po' ebro. Era una notte freddissima; nevicava. Il vento faceva turbinare i fiocchi larghi e fitti intorno alle chiostre dei lampioni, che ad intervalli uguali accendevano di chiarori abbacinanti la neve uniforme. Presi una vettura e mi feci condurre in Piazza Vendôme; là scési. Al sommo, il grande monumento napoleonico era coperto d'una cappa candida, come un solitario pino; la piazza quadrata biancheggiava in tutta la sua vastità, traversata nel mezzo dalle vetture opposte, che parevano affondarvi senza strepito. Gli spazzatori, curvi e pigri, ammucchiavano inutilmente la neve. Mi cacciai sotto il portico della «Rue Castiglione», giunsi fin rimpetto all'albergo e mi fermai sotto un'arcata. Il vento invernale, a raffiche, m'investiva, picchiettandomi co' suoi pulviscoli di neve ghiacciata, pungenti come grandine; ma un desiderio invincibile mi tratteneva lì, fermo, a guardare le finestre illuminate dell'albergo, forse per indovinare quale, fra tante, fosse la sua. Vedevo talvolta sui chiari vetri delinearsi qualche rapida ombra, e sparire, ma in nessuna potevo riconoscere la sua; v'erano anche molte finestre chiuse. Dopo aver esitato a lungo, traversai la strada, entrai nell'albergo. Un custode notturno vigilava nell'atrio; si levò, mi venne a domandare che volessi. Risposi che mi premeva di sapere se la signora Elena de W. fosse giunta in quel giorno all'albergo. L'uomo, di malumore, dopo avermi squadrato, mi rispose che non sapeva. Lo indussi ad una maggiore cortesia, dissipando con il rumore di qualche moneta il sonno che l'opprimeva. — Com'è il nome? — mi domandò allora. Lo ripetei. — Ora guardo, signore. — Andò ad una scrivania e si mise a scartabellare un registro. — Di fatti, — rispose. — È arrivata oggi nel pomeriggio. Adesso mi ricordo. È una signora alta, bionda, non è vero? — Appunto. E sapete se sia già rincasata? — Non dev'essere nemmeno uscita, credo. Però, scusi un momento... Andò verso un assito dal quale pendevano le chiavi delle camere, guardò all'uncino che portava il numero 17, e vedendolo vuoto rispose: — La chiave non c'è; deve dormire. Se crede, salgo ad accertarmene. — Grazie, non importa. Domattina le darete questo mio biglietto da visita. E sotto il nome scrissi alcune parole a matita, per dirle che sarei venuto il domani verso l'ora della colazione. — Ecco, — dissi all'uomo, consegnando il biglietto. — Ma non scordatelo, vi prego. — Non dubiti; buona notte, signore. — Buona notte. E giocondo, impaziente, uscii per la strada, mandandole baci dal cuore. Il domani, pochi minuti prima del mezzogiorno, giungevo dinanzi al portone dell'albergo. Mai nella mia vita m'ero sentito così commosso; entrando nell'atrio ebbi quasi paura di vedermela venire incontro. Il portiere s'avanzò cortesemente: — Chi desidera il signore? — La signora Elena de W. — È uscita, — mi disse con una irritante urbanità. — Uscita verso le dieci. — E non ha lasciato detto nulla? — Nulla. Rimasi un momento perplesso. — Non sapete se le abbiano consegnato stamane un biglietto che ieri sera ho lasciato per lei? — Sì, difatti; me lo diede il portiere di notte, e lo mandai. — Bene: aspetterò. — Prego, s'accomodi. Tolsi da un tavolino un giornale, e sedetti in fondo all'atrio in guisa da sorvegliar l'entrata. Ma trepidavo; mille dubbi mi stringevano; ad ogni persona che vedevo sopraggiungere il cuore mi dava un sobbalzo. E le sfere d'un orologio a muro, che mi stava di fronte, camminavano sul quadrante con una lentezza mortale. Segnarono il quarto, la mezza, i tre quarti... Allora sorsi, mi pareva d'esser ridicolo, non potevo più contenermi. Andai verso il portone spingendo lo sguardo fra la gente, nelle due direzioni del portico; uscii nella strada, spiando le vetture; mi detti a camminare, avanti, indietro, nervosamente. Facevo col pensiero le più disparate ipotesi, risolvevo di andarmene, immaginavo di scriverle una lunga lettera, ed in tutte le signore che apparivano ancor lontane, mi pareva d'averla riconosciuta. Quando fu trascorsa un'altra mezz'ora, entrai di nuovo nell'albergo e lasciai un altro biglietto, scrivendole semplicemente che sarei tornato verso l'ora del pranzo, alle Tag: teatro sera notte sarei poco signore dopo numero biglietto Argomenti: desiderio invincibile, grande monumento, monumento napoleonico, custode notturno, grande monumento napoleonico Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Diario del primo amore di Giacomo Leopardi La divina commedia di Dante Alighieri Il benefattore di Luigi Capuana Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerte Capodanno Monaco di Baviera Consigli per una dieta veloce ed efficace Venezia: alcune tradizioni e misteri leggendari Offerta capodanno a Lisbona Offerta capodanno a Zurigo
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