L'amore che torna di Guido da Verona pagina 78

Testo di pubblico dominio

dove talvolta fan ridere o fremere ancora. I nostri, oggi, lo sanno qualche volta, ma non sorprendono quasi mai. Un po' di paura è tuttavia necessaria. Non si fa tutto questo per amarsi tremando? Il pericolo non è forse un delicato piacere? La prima volta che una signora viene ad un appuntamento d'amore, porta l'abito che le avete ammirato, il cappello che vi piace di più: ha paura, si sente male, ha fretta, deve andar via. Gira, si siede irrequieta su tutte le poltrone; tocca ogni cosa, guarda i quadri, la mobilia, le fotografie, se ve ne sono, poi vi dice: «Dio!... Chissà quante sono venute qui!» Naturalmente le assicurate ch'ella è la prima, però in modo da lasciarle credere che ve ne furon altre, molte altre, assai più che non sia vero... Allora le date un bacio su la bocca, traverso il velo; d'inverno la veletta è umida; quell'umidore vi piace, sa di fresco e di buon profumo. È il primo bacio su la bocca nella casa del peccato, il primo sapore della colpa, dopo quel bacio casto e compunto che le fu dato quando mise il piede oltre la soglia, in segno di rispettosa ospitalità. Bisogna conoscere le gradazioni. E sùbito ella se ne schermisce; tutto le sembra nuovo e pericoloso; quel bacio la fa timida, quantunque molti altri ve n'abbia già dati, nelle sale ove l'incontraste, ne' corridoi, tra due porte, fra due siepi, ai balli od in campagna, al mare o dovunque potè. Ma quel giorno ha paura, sta male, ha fretta, deve andar via. Intanto vi osserva: le pare strano di vedervi lì, nella casa vostra o non vostra, diverso dagli altri giorni, svestito di quelle apparenze che imponeva la mondanità; vi osserva con occhi attenti, senza dirvi nulla, e quello è spesso il momento in cui si decide la simpatia o la diffidenza d'una donna, la quale, sino a quel punto, non ebbe di voi che una semplice curiosità. Non bisogna allora essere nè troppo timidi nè troppo audaci. Credo che in quell'istante i sensi della donna si fascino quasi d'una vigile inerzia, urtati da quel tanto di comune o di fittizio che non manca mai ne' primi convegni d'amore. Poichè, nonostante l'esperienza, ci si trova sempre un po' comici l'uno di fronte all'altra, ed il pensiero di tutti quelli che hanno fatto e faranno la stessa cosa, in un appartamentino press'a poco simile, ed alla medesima ora, con le stesse precauzioni, con le stesse parole, riesce a smorzare d'improvviso la trepida impazienza che ci ha condotti fino a quel punto. È, talvolta, una cosa futilissima che salva, che piace, che dà un'improvvisa freschezza, ed in ogni modo bisogna saper vincere quel torpore, ma dolcemente, con persuasione. Se può, ella vi dice allora una piccola sgarberia, con gioia, ridendo. Ma è lo stato dell'animo suo che lo richiede; un poco forse la vergogna, un poco il timore di piacervi meno che non vorrebbe. Intanto, con l'ansia più distratta e più naturale del mondo, s'è lasciata prendere il manicotto e l'ombrellino, il boa od il mantello, i guanti, la borsetta, la veletta, ed affinchè voi possiate levarle quest'ultima difesa del suo onore senza strapparle i capelli, (oh, gli uomini, quanto sono maldestri!...) si va togliendo ad uno ad uno gli spilloni dal cappello. Poi siede in un angolo, ed ha una immensa vergogna subitanea, come se fosse in camicia. Allora l'amante consumato e scaltro le s'inginocchia ai piedi per dirle con voce commossa una frase dolce, persuadente, quasi lasciva... per slacciarle una scarpina senza che se n'avveda o insinuar le dita fra gli uncini della camicetta, che vela, senza nasconderla, una soave nudità... Poi, quando per forza se ne deve accorgere, ecco vi dice: «Ma... che fate?» oppure: «Che fai?» secondo i casi. E se, tra gli uncini ed i pizzi v'impacciate un poco, allora esclama sorridendo: «Oh! come non sai far nulla!» E li sgancia da sè. Ad un certo punto finge di veder il pericolo e si alza bruscamente. Cammina, apre un libro, vi domanda una sigaretta, carezza un fiore, si dà una pettinata, o, se c'è il fuoco, va davanti al camino e si riscalda le mani. Voi la prendete allora per le spalle, con un po' di veemenza, costringendola a lasciarsi baciare... Ella ride, rovescia il capo all'indietro ed offre la bocca. C'è uno specchio, là di fronte, ove si guarda. Ci si guarda entrambi; ella dice: «Dio, come sono rossa!...». Fate, o cauti amanti, che le specchiere nella vostra casa d'amore siano benevole, poichè la donna in quel momento ha bisogno di sentirsi bella. Poi, fra le mille carezze, fra le insidie lente, si parla di cose lontane; si dice: «Pensa, amore mio, quando ci siamo conosciuti la prima sera... ed io ti facevo già la corte, con gli occhi, da molti mesi... avresti mai pensato che un giorno ci troveremmo qui, soli, nelle braccia l'una dell'altro... del tutto soli... come ora?...» Ed ella risponderà: «Oh, Dio buono... che pazzie che mi fai fare! Dimmi... non è forse vero?... non è questa una pazzia?» «Forse... ma così dolce!» «No... sta fermo...» «Làsciami fare. Voglio baciarti su la gola... solamente su la gola... Oh, come hai la pelle bianca!» La prima volta che una signora viene ad un appuntamento d'amore, viene per lo più perchè s'annoia della sua vita giornaliera, e l'adulterio la tenta; o per curiosità momentanea della vostra persona, o perchè potrete giovarle in qualcosa, o perchè i sensi le fanno sperare da voi gioie che non conosce ancora. Qualche volta viene per la buona ragione che le avete fatta la corte, qualche volta per poterlo raccontare ad un'amica, o perchè lo dicano ad un vostro predecessore, o perchè da voi non venga un'altra in sua vece: per capriccio insomma, per calcolo, per istinto, per gelosia, per frivolezza, e talora, infine, benchè assai di rado, perchè vi ama. Pure v'è una donna che a nessuna di queste assomiglia, che nessuno di tali sentimenti a voi conduce: ed è la donna che torna dopo avervi amato, quando fra voi passarono la lontananza e l'oblìo; la donna che torna per ricominciare l'amore. Queste cose pensavo confusamente, aspettando Edoarda in un appartamentino situato nei quartieri eccentrici di Roma, durante un pomeriggio del mese d'Aprile. Le finestre erano aperte, un'aria tepida e profumata gonfiava le tende, muovendo riverberi su gli specchi e suscitando qua e là un crepitìo sommesso dai vecchi mobili gonfi di sole. Vedevo le sfere d'una pendola di bronzo camminar lente sul quadrante acceso; il sole, picchiando sul terso metallo, tutta la inquadrava d'un'aureola multicolore. Mi sentivo un poco stordito; nell'allucinazione del mio sogno vedevo passare continuamente sorrisi e fisionomie di donne che avevo altre volte aspettate in una camera come quella, contando i minuti lenti e sobbalzando ad improvvisi rumori. Poi due grandi occhi m'apparvero, da tutti gli altri dissimili che nella vita guardai, limpidi e pure incomprensibili, che avevano l'irrealità delle cose lontane, e, leggeri come farfalle, mutando luogo, da tutt'intorno mi guardavano, venivano fin vicino alla mia bocca, socchiudendo le oscure palpebre, per lasciarsi baciare. E colei che mi seguiva invisibile, dovunque andassi, quella ch'era nell'aria del mio respiro e nel pane di cui mi nutrivo, quella ch'era chiusa nel mio cuore come in un sepolcro suggellato, si venne a distendere in silenzio sul vasto letto ricoperto, e disfece i suoi capelli color dell'oro e del bronzo, mi guardò e mi sorrise, chiamandomi con la sua voce d'una volta, la sua voce piena d'incanto, che suonava da una distanza irrevocabile. Poi vicino mi passò la bionda immagine di una piccola creatura dal capo ricciuto, con le innocenti labbra color de' bòccioli, ma gli occhi già profondi e consapevoli... Evelyn si chiamava la bimba: io sapevo il suo nome, non ella il mio. Allora, per cacciare que' fantasmi, sorsi in piedi, feci nervosamente il giro della camera, m'affacciai alla finestra, guardando fuori. Di là dalla strada, dietro un muro alto di pochi metri, v'era un piccolo giardino, tutto in fiore. Una bimba

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Argomenti: bacio casto,    vasto letto,    muro alto

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