L'amore che torna di Guido da Verona pagina 45

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invece il bisogno. — Sì, va bene... tu mi hai già ripetute molte volte queste bellissime cose!... Ma un uomo che ama davvero non può ragionare a questo modo. — Mi vuoi bene ancora? — ella fece, afferrandomi le due mani, un po' ansante. — Non so. — Rispondimi! — Vorrei non volertene più. Tu non comprendi nemmeno la dolcezza della confidenza, il più soave abbandono che vi sia nell'amore. Quale fiducia posso avere in te? — Senti, Germano; quando io t'ho conosciuto, c'era nella mia vita ormai tutto un passato di avvenimenti, che ad ogni modo non si possono mutare. Ma tu per il primo e per il solo mi hai avuta come un'amante vera... Cosa t'importa il resto? Poi, credi forse che io stessa, per un solo momento, abbia riposto qualche fiducia in te? — Che vuoi dire con questo, Elena? — La stessa domanda che tu mi fai, la stessa ti faccio. Non sono che la tua amante, e come tale, cosa puoi rimproverarmi? Forse mi hai voluto anche bene, ma come puoi amarmi tu, che sei stato sempre un uomo felice. Io ti conosco troppo, Germano; il tuo non è che l'amore degli uomini avventurosi ed eleganti, l'amore che consiste nel veder piangere. Tu non hai desiderato altro che di vedere me innamorata... Ed è vero, lo fui, lo sono ancora lo sarò sempre. Ora dimmi: ti ho mai domandato qualcosa io? Ti ho mai domandato, per esempio, cosa farai del nostro amore quando non avrai più denaro, nè alcun mezzo per trovarne? Io sono preparata a tutto, appunto perchè non ho fiducia nel tuo amore, e perchè mi piaci così come sei. Ed ecco, ella tornava ad essere la donna perpetuamente oscura, non afferrabile da nessun potere, in continua discordia con sè stessa, o forse padrona della sua volontà in un modo stupefacente. — Elena, — le dissi, — tu trovi un modo molto abile per ritorcere contro di me le mie stesse parole, ma il rimedio pur troppo non serve. Mi chiudi in faccia la porta del tuo passato con una ostinatezza irritante e non comprendi come la gelosia del passato sia quella che un amante non perdona mai. — Ebbene, senti: se fino dal primo giorno tu non mi avessi tanto affaticata con questa indagine qualche volta umiliante per me, forse t'avrei raccontato spontaneamente ogni cosa, perchè nessuna ragione in fondo — e lo sai bene! — m'induce a fartene un mistero. Ma ti ho nascosta una parte della verità quasi per vendicarmi della tua crudele insistenza, ed anche perchè il mio passato era la sola cosa che potessi non abbandonarti. — E come non hai pensato che un giorno l'avrei potuto scoprire? — Sì, forse l'ho pensato; ma questo mi era indifferente. Nè ora mi conoscerai meglio. Potrai forse immaginare che t'abbia mentito in ogni cosa e che mi proponga di mentirti ancora, quindi non val la pena di parlarne: dimentica e perdonami, se puoi. — Perdonare è facile, dimenticare lo è meno. Vi sono troppe figure che mi si affollano alla mente quando penso a te: la tua bocca, ora, sa di troppi baci. — Questo, Germano, è ingiusto! Devi per lo meno aver compreso che i primi baci veri li ho dati a te. Si alzò, mi venne a sedere su le ginocchia, mi nascose la faccia contro una spalla, si mise a piangere. Le sue lacrime erano la sola cosa al mondo che non potessi vedere senza commuovermi. — Ora non mi vuoi più bene... — mormorava pianamente, sorridendo fra i singhiozzi. — Taci, taci.... Almeno fosse così! — Lo desideri proprio? — mi domandò, stringendomi le tempie fra le sue mani calde, mentre le nostre bocche si congiunsero. — No, — risposi — questo no! Ella sorrise fra le lacrime, in una pausa di silenzio. — Dove sei stato questa sera? — Te l'ho detto. — È vero? — Sì. — Hai voluto essere veramente un uomo senza cuore. Mi hai lasciata sola. Ho tanto sofferto io, tu nulla. E t'aspettavo, e non giungevi mai! — Dimmi, — la interruppi subitamente: — perchè sei stata l'amante di quell'uomo? Ti piaceva? — Non parliamone più, sii buono... — Ti piaceva? Rispondimi! — feci, un po' ruvidamente. — M'era indifferentissimo. Lui, come un altro qualsiasi... — E allora? — Allora, lo sai, volevo essere attrice, cominciare una vita libera, pensavo che un giorno o l'altro sarebbe accaduto lo stesso... Quindi, poco m'importava. Ma chi te lo ha detto? Lui stesso? Certo, certo, non può essere stato che lui. — No. — Guardami in faccia! — Ebbene, sì, è stato lui. Lo sono andato a cercare apposta per sapere la verità. Sai come ho fatto?... E presi a raccontar l'accaduto. Ella con i denti si prese il labbro inferiore e rimase ad ascoltarmi, tenendo gli occhi fissi ne' miei, tranquilla, immobile. Dopo averle tutto narrato, soggiunsi: — Una sola frase mi ha fatto veramente male. Quando gli domandai, quasi per ischerzo: «Ebbene ditemi, che donna è come amante?» egli davvero ti ha dipinta con una frase incisiva. — Ah? — Sì, mi ha detto: «Una ungherese, caro conte; crudele e triste, lasciva ed ingenua... Quel sangue magiaro insomma, pieno di contraddizioni e d'ardori!» Ella si mise a ridere, d'un riso nervoso, alzando le spalle. — Oh, questo poi!... — esclamò con disprezzo; — è una vigliaccheria maggiore delle altre. No, ti giuro, quel tuo amico ha una grande fantasia!... oppure una grande presunzione!... Io l'ho semplicemente subìto, credendo fosse necessario, e nulla più. Ma gli uomini, questo, non lo confessano mai. — Come posso crederti, Elena? Tanto più che la sua definizione... è così vera! — Sì, è proprio vera?... Ebbene, ti ripeto, avrà forse una grande fantasia! E ridendo mi dette un lungo bacio. — Poi, senti, — prosegui; — ho ancora, se non isbaglio, alcune lettere sue, nelle quali appunto mi rimprovera la mia grande insensibilità. — Non le hai bruciate quelle? — chiesi con ironia. — Perchè me lo domandi? — So che ne hai bruciate molte altre... — Forse; ma non tutte. Ho ancora quelle di Mathias, alcune di mio marito, e ce ne devono essere anche altre. — Vuoi che andiamo a vedere? — Sì, — ella fece con un poco d'esitazione. Andammo nella sua camera; da un baule chiuso ella trasse una scatola di pelle a rilievi, ch'era piena di lettere e di fotografie. — Non toccare tu... non voglio! mi disse. Cercò fra le lettere, ne scorse alcune rapidamente. Ve n'era un pacchetto ingiallito, stretto da una cordicella sfilacciata. — Di chi sono queste? — Di Miller, — rispose, corrugando la fronte. Lasciale stare. — E queste? — Di Mathias; ma non leggere, ti prego. Ecco leggi questa; l'ho trovata! Era straordinariamente pallida, tremava un poco. Rinchiuse in fretta la scatola e mi trasse per un braccio. — Perchè sei così agitata? — Vieni via, vieni via. Mi fa sempre male ripensare a quei due morti. — E si strinse al mio braccio quasi con paura. — Torniamo di là, — disse. La lettera infatti confermava le sue parole. — Mi credi ora, Germano? — ella chiese, offrendomi la bocca. Io mi strinsi nelle spalle irresoluto e non volli rispondere; ma sentivo come per incanto la gelosia placarsi, finire. Dietro le imposte chiuse nasceva l'alba, il fumo azzurro di una bella giornata; i carri degli erbivendoli, passando, empivano di strepito la contrada. Impallidita per la veglia, con gli occhi cerchiati di nero, i capelli un po' disfatti, ella mi stava presso, innamorata e bella, portando su le labbra umide la promessa di un torbido amore. Sentii che nonostante ogni tortura il mio mondo incominciava e finiva con lei. — Mi credi ora? — domandò un'altra volta, quando già le mie braccia la serravano. — Ti amo! ti amo!... non domandare altro... La sua gola riversa palpitava come un seno gonfio di piacere; tutte le tentazioni più ardenti traboccavano dalla sua calda persona. — Voglio che tu mi creda! — esclamò imperiosamente con ira. — Ebbene sì! Dopo tutto non puoi, non devi, essere stata d'altri che mia! — Lo senti, lo senti ora? Come un soffio, su la bocca, le risposi di sì. — Mi perdoni dunque? — Sì, ti perdono; ma

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Argomenti: soave abbandono,    sangue magiaro,    vigliaccheria maggiore,    fumo azzurro,    seno gonfio

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