L'amore che torna di Guido da Verona pagina 42

Testo di pubblico dominio

tornerò a casa fra poco. — Venite con me allora; vedo che avete la fronte buia; forse vi divertirete. La curiosità ed il desiderio d'inasprir Elena col mio contegno, m'indussero ad accettare. — Bene, — risposi, — vi accompagno. Questa Contessa di Clairval era una donna d'aspetto assai attraente, benchè ormai dovesse avere oltrepassata la soglia dei quarant'anni. Ma col tempo lottava utilmente, come con tutte le cose difficili della vita, e forse doveva molto alla sua figura snella ed agile se in istrada, quand'usciva con la figlia, la contessina Amelia, la deliziosa contessina Amy, molti potevano ancora ingannarsi e prenderle per due sorelle. Aveva un po' quel tipo di creola che tanto piacque ai francesi del Primo Impero in Giuseppina di Beauharnais, e, forse perchè le avevano fatto questo complimento, ella si compiaceva spesso di affettarne le maniere. Solo, nell'espressione del viso, nel guardare, nel sorridere, non era più giovine; qualcosa di estremamente vissuto, di estremamente corrotto, le traspariva da ogni linea, direi quasi da ogni gesto. Si narrava che avesse un tempo frequentata la migliore società, vivendovi con molto brio e con molte avventure, senza però infastidirne il signore di Clairval, assorto com'egli fu sino alla vigilia della sua morte in altri facili amori e clandestine lussurie. Avevo già dubitato ch'Elia fosse l'amante della Contessa, e più che l'amante il complice, ma non tardai quella sera, per molte osservazioni, ad acquistarne la certezza. Nella casa egli agiva da padrone, pur non facendone le viste; usava con tutti una dimestichezza cortese ma imperativa, e con alcuni un sorriso fuggevole di acquiescenza. Mi fecero conoscere molte persone, mi parlarono di varie cose, in modo superficiale; persone e cose che nulla avevano di ragguardevole, tranne una comune, indefinibile aria di ambiguità. — Ebbene, — mi domandò Elia passandomi vicino, — cosa ne dite? In quel momento l'uomo, le sue parole, i suoi gesti, mi parvero singolarmente odiosi ed ebbi la tentazione di rispondergli con una sgarberia. Gli dissi: — Vi ringrazio di avermi fatta conoscere una casa dove potrei divertirmi se fossi un uomo di spirito. Egli rimase un attimo perplesso, come per studiar il valore della mia risposta, poi si mise a ridere. — Belle donne! — esclamò. — Non è vero? — Alcune anzi bellissime, — risposi. — Quale v'è maggiormente piaciuta? — Oh, Dio... nessuna e tutte. Ho passata ormai quell'età nella quale si preferisce una donna... oltre la propria, beninteso. Tutte quelle mi piacciono che possono ancora serbarmi un'attitudine od un capriccio nuovo. — Olà, mio caro, lo snobismo italiano è di una raffinatezza incredibile! Ma in tal caso non siete caduto male. Qui si trovano i frutti proibiti, le rarità, i valori che non sono quotati nel commercio parigino. — Ed è qui allora che si mettono all'incanto? — Oh, no! vi assicuro di no! — egli rispose con un certo risentimento. Poi, tornando salace: — Non è che una mostra, — soggiunse. — Già: di articoli fuori concorso. — Benissimo! E cosa ne dite, per esempio, di Suzanne Bondy, quella che sta mescendo lo Sciampagna? o della deliziosa Yvonne Tellier, colei che parla ora, presso il cembalo, con quella pergamena logora che si chiama il Marchese Chasnay? — È fine, molto fine; le fui presentato poco dianzi ed il mio nome la divertì sommamente. Non poteva riuscire a pronunziarlo bene: Germano Guelfo di Materdomini... le pareva un logogrifo! Mi disse: — Alla buon'ora! per essere imparentato con la madre di Nostro Signore, non avete l'aria abbastanza venerabile, mio caro conte! — Non c'è male! Una donna di mondo, interessante a conoscersi, vi assicuro. Posso offrirvi un sigaro? — Grazie. Egli mi accese il sigaro, poi mi domandò sottovoce: — Siete stato di là, dove si gioca? — Si. — Avete giocato? — Non ancora; ho l'intenzione di andarmene presto. — Bene, un consiglio; ma rimanga fra noi. Vi sono alcuni banchieri contro i quali è meglio non tentare la sorte... Guardatemi sempre con la coda dell'occhio, ed al caso vi farò un piccolo segno. Ma, vi prego: silenzio. — Va bene, — risposi, — e grazie. — D'altronde me l'ero immaginato, e ricordavo, passeggiando per queste sale, quel vostro famoso apologo su le pecore e sui leoni... Egli si mise a ridere di un buon riso contento, e stropicciandosi le mani soggiunse: — Ricordatevi sempre quello che vi dico io. Mi piacerebbe fare di voi un gran leone! — Perchè? — esclamai, arrossendo a mio malgrado. — Perchè forse, come pecora, non valete più nulla! E se ne andò, continuando a ridere allegramente. Fui certo allora che questo avventuriero cauto e simpatico doveva necessariamente aver nel pugno le redini del comando in quella casa gioconda e piena d'agguati. — Voi non giocate, conte? — mi domandò la signora di Clairval, avvicinandosi, mentr'io stavo discorrendo con alcuni uomini. — Qualche volta gioco; ma più per sbadataggine che per vizio. — Allora tenetemi un poco di compagnia, se non siete un arrabbiato come gli altri. Vedete? Mi lasciano sola. Ci andammo a sedere in un angolo, vicini. — Oh, finalmente mi riposo! — ella esclamò. — Quanta gente! Si sdraiò con indolenza nella poltrona, accese una sigaretta e trasse un grande sospiro. — Il d'Hermòs mi ha tanto parlato di voi, — disse. — Certo il d'Hermòs mi avrà un poco diffamato! Egli mi trova un uomo senza vizi, e questo, agli occhi di quel terribile uomo, sembra essere il peccato maggiore. — Ma sarà poi vero quello ch'egli dice? Il nostro Elia è sopra tutto un grande imbastitore di frasi. — Veramente con lui non ho protestato, ma con voi, con una signora che certo è in grado di apprezzare tutta la delicata eleganza che può essere nei vizi d'un uomo, non voglio subire una simile taccia d'insulsaggine. — Poi vi assicuro che ogni vostra difesa mi parrebbe superflua! Siete un italiano, e sopra tutto un romano, avvezzo a vivere in quella vostra bella città piena di spasimi, fra quelle donne dai grandi occhi neri, entro quei palazzi così profondi, un po' tetri, che turbano l'immaginazione di chi ne varca la soglia... Per questo solo non potete essere un insensibile. — Vedo che amate molto Roma. — Sì, vi ho passato un inverno: è la sola città dove amerei vivere lasciando Parigi. — Ma temo che a lungo andare il cambio desterebbe qualche rimpianto nel vostro cuore di Parigina. — Certo rimpiangerei questi buoni amici, che sono in fondo la mia vita, ora specialmente che ho passata l'età nella quale un viaggio in Italia, un viaggio d'amore, s'intende, compensa di tutto ciò che si abbandona. — Già, perchè voi siete ancora fra quelli che considerano la nostra Italia come un giardino d'Armida, una specie di buen retiro cosmopolita per tutti gli innamorati del globo, una terra d'Arcadia dove non si faccia che amare o cantare... — Non dite questo con ironia! È un gran vanto per il vostro paese! — Ma è un grande pregiudizio in fondo. Io ricordo lo sdegno di molte signorine, in Germania, quando confessavo candidamente di non saper cantare e di non aver mai composto un verso in vita mia. Credetemi, contessa, l'Italia d'oggi è un paese molto positivo, che lavora e suda per far denaro, senza ricordarsi d'aver un cielo più azzurro che altrove od i giardini più fioriti. E le nostre donne... bah!... le nostre donne aspettano il figurino di Parigi, il romanzo di Parigi, lo scandalo di Parigi... Oh, voi avete insegnato molto alle signore italiane! Yvonne Tellier, sopravvenendo in quel momento, interruppe i nostri discorsi così candidamente generici. Ella usciva dalle sale di giuoco, facendo tintinnire nella borsetta una certa quantità d'oro guadagnato, ed i suoi bellissimi occhi risplendevano. — Oh, conte, perchè non giocate anche voi? C'è un banchiere che perde a rotta di collo. Sapete: il grosso Aranda, un italiano come voi. Non c'è che mettere il denaro sul

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Argomenti: deliziosa contessina,    dimestichezza cortese,    sorriso fuggevole,    indefinibile aria,    snobismo italiano

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