L'amore che torna di Guido da Verona pagina 44

Testo di pubblico dominio

banchiere, raddoppiando la somma. Ella guardò il mucchio con incertezza, puntandosi l'indice inanellato contro il labbro sottile. — Avrei quasi la tentazione di ritirare... — mi disse. — No, lasciate, — le consigliai. — Non bisogna mai recedere dalla prima decisione. Poi sento che vinceremo. — Credete? — Lo credo. L'uomo che si chiamava Aranda ammiccava con un sorriso un po' ebete verso la posta d'Yvonne, distribuendo le carte. Ella sorse in piedi, sporgendo il busto sul tavoliere, con le mani appoggiate sul panno verde, le braccia tese. — Ancora nove... — disse lentamente quegli che aveva la mano, aprendo le carte. — Alla buon'ora! E tre! — esclamò Yvonne con allegrezza. — Non è possibile vincervi un colpo questa sera! — le disse il banchiere con una smorfia sorridente. — E per questo me ne vado, — ella rispose, raccogliendo la vincita. — Bisogna fermarsi a tempo. — Ed a me: — Venite. Mi condusse in una piccola sala piena di ninnoli, di fiori, di cristallerie; si pose tutto il denaro in grembo ed esclamò lietamente: — Vi ho pur detto che avremmo vinto! Lo sentivo. Ora facciamo i conti. — Giocate meravigliosamente, non c'è che dire. — Ma ora brucio di sete. Vi prego, andate a prendermi un bicchiere di «Champagne». Quando tornai, stava ritta davanti ad uno specchio per accomodarsi i capelli. Prese la coppa e bevve d'un fiato; poi si portò una mano al petto, esclamando: — Che sete! — La bocca umida le scintillava di piccole gocce, come un frutto rorido, e mi dette la tentazione di baciarla. Mi curvai un poco, senza osare, ma ella sentì quel bacio non dato e se ne schermì ridendo. — Venite: facciamo i conti. Tornò a sedere; le deposi nel grembo la somma che tenevo in serbo, dicendole: — I conti sono già fatti; ponete questo denaro nella vostra borsetta; a me non spetta e non voglio assolutamente nulla. — Mio buon amico, spero che lo diciate per ridere! — Ma neanche per sogno! Voi avete giuocato, voi avete vinto... — Ah, no, e poi no! — fece, profondamente offesa. — Mi considerate dunque per una di quelle donne con le quali un uomo perde sempre qualcosa? — Per carità, non dite questo! — esclamai, stringendole un polso. — Ma davvero mi sembrerebbe indiscreto accettare. Facciamo così piuttosto: con la parte che voi credete mi spetti comprerete domani un gingillo qualsiasi, tenendolo come se ve lo avessi regalato io... Va bene? — Assolutamente no! Abbiamo giuocato insieme, come fra uomini; se si avesse perduto, voi avreste pagata la vostra parte; abbiamo vinto e, se non volete offendermi, vi prego di non insistere più. — Tutto, piuttosto che offendervi! Solo permettete che vi preghi ancora... — Non più, non più! Contiamo. La sua fiera delicatezza non impedì ch'io provassi un certo rossore nell'accettare quella somma, la quale ammontava, per mia parte, a quasi tremila lire. Pensai che il domani avrei tutto reso inviandole un dono. — Allora, — la pregai, — permettete che vi domandi anche il vostro indirizzo, per mandarvi almeno un fiore. — Fiori sì, ma non altro; — ella minacciò, sdraiandosi nella poltrona e sollevando pigramente le braccia dietro il capo. Aveva le maniche trasparenti, corte fin sopra il gomito; vedevo le sue braccia modellate con una finezza squisita, e la conca delle ascelle appena segnata da un'ombra scura. — Voi siete molto severa!... — le dissi, protendendomi un poco. — No, ma voglio serbarmi il piacere di giocare altre volte con voi, se c'incontreremo, senza il bisogno di ringraziarvi, od il timore d'essere considerata per meno di quello ch'io stessa mi consideri... Non credete che una donna possa avere qualche volta un simile desiderio? — Certo lo credo, e se voi lo avete per me, ne sono lusingatissimo. — Dunque, siamo intesi: null'altro che un fiore. — Come volete. Però, concedetemi di portarvelo io stesso. — Ah?... perchè? — fece con uno sguardo pieno di femminilità insidiosa e reticente. — È una domanda oziosa, vi pare? O almeno, con essa, mi mettete nella impossibilità di rispondervi come vorrei. — Datemi una sigaretta... via! — disse, facendo con la mano un gesto frivolo. E rise. I suoi occhi perversi mi guardavano, grandi e fermi. Aveva in sè una forza irresistibile di seduzione, pareva un fiore bello e velenoso. Mentre le accendevo la sigaretta, le feci scorrere una mano sul braccio, irrequietamente. — Cos'avete su la pelle? — domandai; — è di una morbidezza incredibile!... — Vi pare?... — E ritrasse il braccio quasi con un gesto pudico, ma ridendo di un riso che non lo era. — Credo vi piaccia tormentare, piccola Yvonne!... — Perchè?... — Non saprei dirvi... È la mia opinione. — Sedete lì... — E mi segnava una poltrona più discosta. Per un momento si stette in silenzio, guardandoci entrambi, io turbato, ella curiosa. Poi le dissi: — Allora, questo indirizzo? — Oh, me ne dimenticavo... 110, Boulevard Malesherbes. Dopo le quattro. Ma non domani: dopodomani. E tutte le cose lucide, nella piccola sala, brillavano come i suoi grandi occhi neri. IV Avevo solamente voluto stordirmi. Appena uscito nella strada un grande disamore mi strinse, di quella casa, di quella donna, di me stesso. Lungo e sordo mi ronzava nelle orecchie un rumore non ben comprensibile, forse l'eco delle parole che avevo dette, udite; mi serpeggiava nelle vene indolenti una specie di malsana ebbrietà. Rincasai verso le quattro del mattino; un lume acceso dietro una finestra mi avvertì ch'Elena vegliava tuttora. Quando entrai, ella sedeva infatti nella sala da pranzo, con un libro aperto su le ginocchia, le mani sovr'esso congiunte. — Dove sei stato finora? — mi domandò con un suono di voce opaco e lento. — In casa della contessa di Clairval, con Elia. — Ah!... Si riceve sino a quest'ora in quella casa? — Si giuoca. Ma tu, perchè non ti sei coricata? — Non avevo sonno. Ho atteso che ti risolvessi a tornare. — Ed ora che son tornato? — Nulla; va bene. — Ti coricherai ora? — Forse. — Non hai altro da dirmi? — Cosa ti potrei dire? — Buona notte, allora. — Buona notte. Me ne andai nella mia camera, indispettito per quelle sue risposte brevi, per l'impassibilità del suo viso. Mi gettai sul letto vestito e mi posi a meditare. La mia vita non era gaia. La donna che amavo, e nella quale avevo riposta una fiducia così grande, si allontanava da me irrimediabilmente; gli amici, la tranquillità, la ricchezza, tutto era perduto. Il pensiero corse, corse via sbrigliatamente, e fece un epilogo sommario di tutto quanto il passato. Pensando, il sonno mi gravò su le palpebre e nel dormiveglia ebbi una visione confusa. Mi vidi in Roma, nel mio palazzo ripristinato con il denaro dei Laurenzano, ancor padrone di cocchi stemmati, e, fra le belle adunanze dei principi romani, un'altra volta re dei conviti, signore delle alcove, maestro di tutte le eleganze... Fu, nel dormiveglia, un sogno; null'altro che un sogno. Sparve; mi destai con la testa greve, le membra indolenzite. Scesi dal letto, e sospingendo l'uscio vidi Elena che stava sempre nella medesima positura, con gli occhi fissi all'alto, fumando. — Che fai? — le dissi. Elena si turbò ed ebbe un tremito per tutta la persona, come se avesse anch'ella sognato. — Hai dunque deciso di non dormire questa notte? Non mi rispose, ma vidi che gli occhi le si empivano di lacrime. Le andai vicino e mi sedetti. — Che hai? — le dissi ancora, con un accento più amorevole. Ella mi tese una mano, piegando la faccia sul petto. — Perdonami... — bisbigliò. — Nulla devo perdonarti, Elena. Mi hai fatto male; ma non importa; passerà. — Non fu per ingannarti, non fu nemmeno per vergogna... — E perchè allora? — Due lunghe lacrime le rigarono la faccia. — La mia natura è così, — disse. — Non sono mai stata sincera, con nessuno. Vi sono certe anime che provano una riluttanza invincibile a farsi conoscere, come altre ne sentono

Tag: tutto    mano    occhi    fiore    domani    credo    braccia    sogno    somma    

Argomenti: sguardo pieno,    forza irresistibile,    certo rossore,    fiore bello,    grande disamore

Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina:

La via del rifugio di Guido Gozzano
Corbaccio di Giovanni Boccaccio
Fior di passione di Matilde Serao
I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi
Il fiore di Dante Alighieri

Articoli del sito affini al contenuto della pagina:

Come piantare le rose
Come coltivare le mimose
Significato del crisantemo
Le partecipazioni per il matrimonio
La migliore crema antiaging per gli occhi


<- precedente 1   |    2   |    3   |    4   |    5   |    6   |    7   |    8   |    9   |    10   |    11   |    12   |    13   |    14   |    15   |    16   |    17   |    18   |    19   |    20   |    21   |    22   |    23   |    24   |    25   |    26   |    27   |    28   |    29   |    30   |    31   |    32   |    33   |    34   |    35   |    36   |    37   |    38   |    39   |    40   |    41   |    42   |    43   |    44   |    45   |    46   |    47   |    48   |    49   |    50   |    51   |    52   |    53   |    54   |    55   |    56   |    57   |    58   |    59   |    60   |    61   |    62   |    63   |    64   |    65   |    66   |    67   |    68   |    69   |    70   |    71   |    72   |    73   |    74   |    75   |    76   |    77   |    78   |    79   |    80   |    81   |    82   |    83   |    84   |    85   |    86   |    87   |    88 successiva ->