L'amore che torna di Guido da Verona pagina 79

Testo di pubblico dominio

vestita di rosso, con i capelli annodati in un gran ciuffo su la fronte, si dondolava sopra un'altalena che pendeva da un grosso ramo ritorto. C'era per terra, vicino a lei, un piccolo annaffiatoio rovesciato, e v'era una bambola con le vesti all'aria, buttata sul margine del sentiero, che impigliava tra i fili d'erba i suoi capelli di stoppa. Più in là, nel mezzo d'una corte, briaco di sole di forza e di fatica, un fabbro scamiciato accanto alla sua fucina picchiava e cantava con ira, levando il maglio formidabile sopra il metallo rovente. E il cielo pieno di luminosità, curvo come la volta di una basilica, si appoggiava con nuvole d'oro sui vertici delle colline lontanissime. D'un tratto, in fondo alla strada, su l'angolo del crocicchio, intesi una vettura fermarsi, e, sporgendomi dal davanzale, ne vidi scendere una signora, che guardatasi d'attorno sospettosa, pagò in fretta il vetturino ed imboccò la strada, a viso basso, rasente il muro. Camminava tenendosi la gonna raccolta contro un fianco, l'ombrellino serrato sotto il braccio; portava un abito color di primavera, fra l'azzurro ed il verde oltremarino, con una frangia di pizzi sul petto, un cappello a fiori. Aveva una grossa catena d'oro girata intorno al collo, pendente a collana, per reggere un piccolo ventaglio ed un grosso mazzo di ciondoli, che in guisa d'una frivola bubboliera mandavan chiarori e tintinni al ritmo frettoloso del passo. Anche le fibbie delle sue scarpine luccicavano fuor dalla balza della gonna chiara. Quando fu sotto la finestra da cui guardavo, si fermò impauritamente, come per riconoscere la porta... E la bimba si dondolava su l'altalena, ridendo con la bambola dei capelli di stoppa; e il fabbro, nel pieno sole, con iraconda forza picchiava, picchiava. VII Una mattina, verso la metà del mese di Maggio, Ludovico venne a destarmi ad un'ora insolita. Ero tornato dal Circolo verso le sei e stavo dormendo il primo sonno, con quello spossamento opaco ed esausto che lascia in tutte le vene l'agitazione del gioco, il fumo addensatosi nelle sale chiuse, verso l'alba, quando i carri degli erbivendoli già percorrono con fragore le strade che si risvegliano. — Che novità, Ludovico? — gli domandai, cercando di spalancare gli occhi assonnati. — C'è di là un signore che insiste per parlarle. — Diavolo! a quest'ora? — Sono quasi le dieci, signor conte. — Bene, chi è? che vuole? Non gli hai detto che stavo ancora dormendo? — L'ho detto, signore, ma insiste. È un forestiero; dice che ha bisogno di vederla. Poi non lo comprendo bene, parla in un certo modo l'italiano! — Ti ha detto il suo nome almeno? — M'ha dato il suo biglietto da visita. — Accendi la luce e fammi vedere. Accese una lampadina e sul biglietto lessi il nome di Elia d'Hermòs. — Elia?... — borbottai. — A Roma? Che può volere? Su, Ludovico, apri la finestra e fallo entrare. Alcuni minuti dopo intesi dietro l'uscio la voce di Elia che mi diceva giocondamente: — Buon giorno! Ancora dormi? Con questo bel sole? Beato poltrone! Venne presso il letto, mi tese la mano, si guardò intorno: — Come stai? Come va? — esclamava. — Dio sa cosa pensi, vedendomi capitare così alla sprovvista! — Caro Elia, mi rallegro di rivederti! Sono sorpreso infatti, ma una bella sorpresa! Vieni, siéditi. Portava un soprabito da viaggio; nel suo volto simpatico era la consueta espressione gaia, penetrante, ambigua. — E comincio con domandarti scusa se ti ricevo qui, — proseguii. — Mi sono coricato all'alba, dunque perdonami se sbadiglio. — Lo sbadiglio è la conclusione logica di tutte le passioni umane, — sentenziò Elia, sdraiandosi in una poltrona vicino al mio letto. — Solo me lo comunichi, per Bacco! Ho viaggiato l'intera notte senza trovare uno «sleeping»; lo scompartimento era pieno zeppo, cosicchè non ho potuto chiuder occhio. Pazienza! Ora ti spiegherò lo scopo della mia visita. Vorresti frattanto farmi dare una tazza di caffè? Sarà la terza, stamattina. — Ma certo, e con piacere! — Chiamai Ludovico, detti l'ordine. — Hai una splendida casa. Mi pare che te la passi molto bene ora. — Oh, non lasciarti illudere dalle apparenze! Sono i vestigi delle glorie antiche. Va male, invece, molto male! Ho avuto un periodo favorevole, ma ora il vento si è messo a fortunale. Questo non importa; parliamo d'altro. Cosa fai a Roma, e dove sei stato, uomo misteriosissimo, in tutto questo tempo? — Sono spiegazioni che non si possono dare così rapidamente. A Roma vengo per affari, ed anche un poco per rivederti, per Bacco! Quanto all'itinerario ed allo scopo dei miei lunghi viaggi, te ne discorrerò poi. — Non arrivi da Parigi ora? — Sì, da Parigi; ero tornato in Francia da circa due mesi. E quante novità sul tuo conto!... Non volevo credere. Io, che pensavo di ritrovarti, sereno e beato, con la tua superba Elena, e magari con un piccolo erede maschio, al quale, per farmi piacere, avresti dato senza dubbio il profetico nome di Elia! — Mah!... che vuoi? la vita!... — feci con simulata indifferenza, pur sentendomi rimescolare. — Sai bene... tutto passa! — Già, è la canzonetta che lo dice. Le canzonette hanno sempre ragione. — L'hai veduta? — Sì, ma da lontano. So di non essere nelle sue buone grazie e l'ho lasciata in pace. D'altronde ha finto di non riconoscermi... ed io son uomo assai discreto. Poi, adesso è la sua grande ora. Ha avuto ultimamente un trionfo nel Drame d'autrefois, la «pièce» che fa furore. — Ah, sì, ho letto infatti... — Ed è sempre più bella! — Più bella?... — Entrò Ludovico, portando sopra un vassoio due chicchere fumanti. — Ma tu devi aver sonno! — esclamò Elia, trangugiando il caffè. — Se vuoi tornerò più tardi. — No, rimani, rimani; ormai sono desto e fra poco mi leverò. Dimmi: a che albergo sei sceso? — Al Quirinale. Vado sempre lì. — E ti trattieni a Roma? — Una quindicina di giorni forse. — Bravo, ne son contento. Potremo raccontarci molte cose. Anch'io ne ho tante, che mi pesano sul cuore. Non con tutti gli amici si può essere sinceri come con te, gentile e mansueta canaglia! — Dio buono! Il sentire l'amicizia è forse la sola virtù che posseggo, e ti giuro che, anche senza l'altre mie ragioni particolari, avrei fatto un viaggio tre volte più lungo, solo per la gioia di rivederti. Che vuoi? quanto più invecchio, tanto più m'avvedo che c'era in me, sotto il mio cuore di nemico degli uomini, un vecchio babbeo sentimentale. Poi mi prendono certe manìe... Per esempio questa: ora che sono a Roma, voglio andare a farmi benedir dal Papa... E gli bacierò la pantofola, se occorre. — Buffone! Prendi una sigaretta e raccontami lo scopo vero della tua visita. — Ah, scusa... tutto quello che vuoi, ma il vostro tabacco italiano, proprio non lo posso tollerare! Ho altre sigarette con me, ti ringrazio. Ne accese una, ed appoggiando il gomito sul piumino trasse uno sbadiglio enorme. — Dunque, — riprese, — io son venuto in primo luogo per pagarti un debito. — Un debito? Non credo che tu ne abbia con me. — Oh, oh!... sei un creditore molto smemorato, ma io son anche un debitore molto scrupoloso... Tieni. Si aperse la giacchetta, trasse dal portafogli una busta gonfia e me la diede. — Questo è denaro che ti spetta; non te l'ho mandato prima, sapendo che sarei venuto a Roma. Son novemila franchi: la tua parte esattamente. — Ma, scusa, non capisco... — risposi, girando e rigirando la busta in ogni verso, senz'aprirla. — Come non capisci? Hai scordato l'affare dell'ultima collana, a Londra? Fu venduta circa un mese fa per centodiecimila lire; ne valeva un buon terzo di più, ma non si è potuto far meglio. — Ah, sì... Ora mi rammento. Però, senti: la parte che ho presa in questo affare, se ti ricordi, è stata così piccola, così trascurabile, che veramente una ricompensa mi parrebbe soverchia per la mia fatica... Poi, vedi, a queste cose ormai ho rinunziato. — Sarà benissimo,

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Argomenti: grosso ramo,    piccolo annaffiatoio,    maglio formidabile,    cielo pieno,    piccolo ventaglio

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