L'amore che torna di Guido da Verona pagina 82

Testo di pubblico dominio

tè del pomeriggio. Il De Luca del resto non apparteneva punto alla stirpe dei mariti bisbetici od importuni; subiva molto il fascino della moglie e non avrebbe saputo concepire su di lei un benchè minimo sospetto. Fabio ci dava più molestie assai. D'altra parte il barone passava le sue giornate in mezzo ai cavalli e sui terreni d'allenamento; spesso lasciava Roma per seguire le diverse riunioni ippiche. Quei giorni d'assenza erano la nostra felicità. Una volta, alla vigilia d'una di queste partenze, ricevetti da Edoarda un biglietto, in cui m'avvertiva che il giorno dopo sarebbe stata libera fin dal mattino, e voleva che si facesse una gita fuor di Roma, per visitare una certa locanda di campagna dove ci eravamo incontrati una volta, molti anni addietro. Mi dava tutte le indicazioni opportune; dovevo prendere un treno del mattino, poi attenderla alla stazione d'arrivo. Questa era certo una temerità, sebbene in vicinanza di quel paesello vivesse un'amica sua, la stessa che ci aveva servito di pretesto la prima volta. D'altronde si era verso la metà di Giugno e pochi si sarebbero avventurati a far escursioni per quella calura. Una gioia fanciullesca empì le anime nostre quando c'incontrammo, ed a noi parve di trovare le delizie insolite nelle cose più semplici, come ad esempio quella di mangiar abbastanza male ad una tavola rusticamente imbandita, e passeggiare sotto un sole di canicola cercando affannosamente la frescura dei boschi e il refrigerio delle fontane, andandoci poi a rinchiudere in una camera di locanda, ove c'era un immenso letto di noce rôso dai tarli, con sopra, sulla parete, il quadro della Vergine Addolorata, che aveva tutto il seno aperto per ostentare un cuore d'inverosimile grandezza, cinto d'un'aureola e trafitto da una spada. Era una camera linda, non senza un'ostentazione di lusso campagnolo, vasta, con mobili grandi, e v'erano — cosa orribile! — sul caminetto, ai lati d'una pendola ferma, due vasi di fiori modellati nella cera e protetti da una polverosa campana di vetro. C'era in quella camera l'odor indefinibile del disabitato, dell'antico, l'odore dei quadri che ingialliscono su vecchi muri, dei mobili che scricchiolano quando appena si cammina, delle tende che hanno lasciato il lor colore ai venti di molte primavere, e quel silenzio che fa pensare agli amori dei tempi andati, agli imeni celebratisi nelle braccia di quel letto possente, — pensiero che potrebbe forse dar noia se fosse cosa recente, ma sollecita ed esalta invece, come tutte le cose che vengono da lontano. Poi avevamo portato grandi mazzi di fiori selvatici, côlti nella foresta; Edoarda, buttandoli sul letto, rideva di un riso fresco e giovine. Portava un abito leggero come una sciarpa di velo, un'alta cintura di pelle color dell'indaco, la gonna succinta, le calze traforate, le scarpine bianche. Aveva le maniche della camicetta corte fino al gomito ed un paio di guanti che le calzavan alto, inverditi nel palmo dall'umor vegetale dei fiori strappati. Portava un cappello semplicissimo, ch'era di paglia fiorentina, con le falde spioventi a mo' di campana, ed un largo nastro lo fasciava, colore anch'esso dell'indaco, facendole sopra la fronte un bel nodo, a somiglianza di due grandi ali aperte. Le scendeva sino a mezzo il petto una doppia fila di perle, ch'entravano a nascondersi nell'abbottonatura, ed ogni tanto scintillavano, tra la sua pelle ed i fori della camicetta. Era più fresca d'una fontana in quella torrida estate. Mi gettò le braccia intorno al collo, mi coverse di baci: — Germano, ti ricordi? Fu qui! fu qui!... La sua padronanza era sorprendente; aveva detto ella stessa all'albergatrice: — Conosco una camera della vostra locanda: voglio quella. Si rammentava il numero, e lo disse. — Ma, signora, — obbiettò la vecchietta — l'albergo adesso è rinnovato; ve ne sono altre assai migliori. — Non conta, non conta! Vogliamo quella. E coi fiori sulle braccia, saltellando per le scale, vi andò con gioia. Riconosceva il cammino. Lenta lenta, la vecchietta, che cicalava noiosamente, cambiò l'acqua nelle brocche, mostrò che i lenzuoli, un po' ruvidi eran freschi di bucato, aperse le finestre, calò una tendina, domandò se volessimo caricar la pendola... poi scese. I suoi zoccoli facevano su l'ammattonato un picchierellar distinto, che s'allontanava. Edoarda mi scoccò su la bocca due forti baci, ridendo. Impaziente le circondai con un braccio la vita, e, per attendere che la vecchierella tornasse, andammo a guardar fuori dalla finestra, sul cortiletto che meriggiava. Una gallina, tutta gonfia, si strofinava le ali contro un covone di paglia; c'era un barroccio staccato, con le stanghe all'aria, davanti alla stalla; le innamorate colombe tubavano con soavità, nascoste dentro le celle dell'appaiatoio. Poi la vecchierella tornò, portandoci due bicchieri di caffè ghiacciato e un tale suo vinetto chiaro chiaro, che ad ogni costo voleva lo si provasse. E domandò se volessimo un bel vaso per i nostri fiori, e se fossimo signori di Roma, e quando fossimo giunti, e se avesse da prepararci una buona cena per l'imbrunire; e parlava e parlava, con la sua vocina stridula come il gridìo delle cicale che là fuori strillavano, finchè Edoarda si buttò sul letto e finse d'aver sonno, perchè la vecchierella se n'andasse con Dio. Allora chiusi l'uscio a chiave, la strinsi nelle mie braccia e scoppiammo a ridere di felicità, in un bacio che ad entrambi gonfiava la gola. Il calor del giorno le accendeva il sommo del viso; i suoi capelli nerissimi luccicavano come un ebano polito. Aveva un gesto suo, fin da quando era fanciulla: nel baciarmi, con una mano mi copriva gli occhi; un gesto che poteva essere pudore nella fanciulla ed era nella donna un desiderio di maggiore voluttà. La svestii; nella sua camicia diafana pareva una rosa ravvolta in un velo; serrava, tra le labbra aperte, i denti minuti; gli occhi desiosi le brillavano al sommo delle guancie scolorate. Ma fuori, che cantar di cicale, che tubar di colombe nascoste, che incantamento! che pace!... Oh, amori nella calda estate, mentre il sole avvampa l'arsa campagna e le cortine fan buia la camera, in un decrepito letto, con un'amante giovine!... Un po' ebbra, scese dal letto e andò verso il canterano, a cercar qualcosa fra gli anelli e la catene che vi aveva deposti confusamente. Nella penombra i suoi piedi scalzi biancheggiavan sul tappeto senza colore. — Che fai? — Nulla... — E tornò d'un balzo. Le sue braccia mi avviluppavan come giunchi, eran forti e fragili, di una bianchezza straordinaria. — Dammi la mano sinistra e non guardare, — mi disse. Le diedi la mano e guardai. — No, chiudi gli occhi! E mi passò nel dito un anello. — Che fai? — Nulla: un capriccio mio. — E mi chiuse il pugno, nascondendolo contro di sè. I suoi capelli sciolti ingombravano tutto il guanciale; aveva il ventre polito come una tonda porcellana. — Lasciami vedere... — le dissi; e nonostante il divieto, guardai. — Ah, no, Edoarda! questo non voglio! sai bene che non voglio! — E feci per togliermi l'anello che mi aveva dato. Ma ella, sollevatasi alquanto sul gomito, mi serrò la mano e mi costrinse a piegare il dito. Era un brillante nitidissimo, che nel buio risfavillava. — Insomma, no! — esclamai. — Silenzio!... — E con un bacio mi chiuse la bocca; poi soggiunse: — Vuoi rendermi triste? — No, ma vedi, non posso accettare tutti questi regali che mi fai... — E tu, allora? — Io?... Ma è tutt'altra cosa! Invece i tuoi regali mi offendono! Sii buona; ripréndilo. — Allora mi farai piangere... Una volta non facevi così. — Una volta era cosa ben diversa, Edoarda. — E perchè poi? Risi e non volli rispondere. — Dimmi dunque il perchè? La sua pelle odorava di fresca Lavanda e forse d'una cipria tenuissima che la copriva come un pòlline. — Prima di tutto — risposi, — questi non sono regali che si possono accettare. L'avrei rifiutato anche allora. Del

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Argomenti: bocca due,    largo nastro,    immenso letto,    riso fresco,    abito leggero

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