L'amore che torna di Guido da Verona pagina 11

Testo di pubblico dominio

Già, certo... avevo qualcosa a dirti. — Coraggio! issa fuori! — esclamai, ridendo. — Sai, mio caro, — prese a dire con risolutezza — che ho inteso parlare di te in modo assai poco lusinghiero. — Per bacco! — esclamai, rovesciandomi contro la spalliera; — non sarà la prima volta. Egli venne a sedermi di fronte, su la poltrona che Pietro Capponi aveva sgombrata pochi minuti prima. Rimaneva tra noi la scrivania. Prese una sigaretta, si tolse l'occhialetto, e facendolo ballare fra due dita cominciò con dirmi: — Devi sapere che a Roma non si parla d'altro: l'avventura di Guelfo, il duello di Guelfo, e tutto il resto che puoi facilmente immaginare. — Non me ne curo, — dissi con indifferenza. — Hai torto. C'è di che farti riflettere. Alcuni commenti mi sono spiaciuti per te. — Allora è semplice: dimmi il nome di costoro e li inviterò a darmi ragione dei loro commenti. — Via, non fare lo spavaldo! Qui non si tratta di questo. Se te ne vengo a parlare, vuol dire che ti convien pensare ai casi tuoi, ma seriamente. — Cosa dicono, infine? — Oh, Dio, te lo puoi figurare! Nessuno ignora il tuo fidanzamento con Edoarda; molti ne sanno, o ne suppongono, anche di più... E per quanto si bisbigliasse già che andavi cercando mille pretesti per procrastinare le nozze, ora si dice apertamente che la tua condotta in questi ultimi tempi non è quella... insomma, perdonami, non è quella di un gentiluomo! — Eppure tu sai... — feci, smettendo la baldanza. — So tutto, — egli rispose con un gesto di acquiescienza. — Ed è appunto per questo che mi faccio un dovere di parlarti a cuore aperto. Hai molti nemici, e nessuno ti risparmia. Colgono anzi l'occasione per commentare la tua vita passata, presente, le tue condizioni finanziarie, le tue abitudini, che non furono mai quelle di un francescano. C'è chi ti trova sciocco, vedendoti compromettere un matrimonio invidiabile per un capriccio, ed i più miti sono del parere che tu abbia perduta la testa. — Questa loro benevolenza mi lusinga infinitamente! — esclamai, collerico e beffardo. — Capisco che i miei discorsi ti debbano urtare i nervi; ma pur troppo io sento le voci che corrono, indovino i sottintesi, e me ne rodo per te. — Grazie. Tu mi sei amico, e te ne ringrazio. Ma in fondo so benissimo che anche tu pensi come loro. — Lasciamo stare quello che penso io, per adesso. Ma ieri sera, ad esempio, in casa Del Rovere, donna Carla usava parole molto severe sul tuo conto. Diceva che ormai non saresti più nel caso di retrocedere, checchè tu senta per l'una o per l'altra, e che d'altronde i tuoi propositi veri non possono essere quelli che ostenti, perchè «in fin dei conti, un uomo come Guelfo certo non ignora cosa valgano i milioni di casa Laurenzano. Dunque, operando in tal modo, conta senza generosità su l'amore di quella povera Edoarda». Invano io m'affaticavo a spiegare come in tutto ci sia dell'esagerazione, come il tuo carattere sia sempre stato così, e come infine questa tua recente avventura non debba esser altro che un diversivo, una specie di commiato un po' focoso dalla tua vita di scapolo. — Ebbene hai fatto male, — risposi tranquillamente. — Ho fatto male? — egli esclamò stupìto. — Sì, certo; perchè l'avventura che tu chiami un diversivo è invece una cosa molto grave, molto seria. — Non credo, — rispose Fabio, dopo avermi fissato a lungo. — Non ti posso credere. Sarebbe una grande sciagura! — Può darsi; anzi ho troppo criterio per non comprenderlo. Definiscimi per quello che vuoi, ma la verità è molto semplice: me ne sono innamorato. E ti faccio grazia del perdutamente, pazzamente, eccetera, cose che si aggiungono di solito. Fabio diede una scrollata di spalle e si levò in piedi, senza nascondere il suo malumore. Poi fece un soliloquio a mezza voce. — Innamorato? Che ubbìe! Hai scelto male il momento per concederti questo lusso! Per Bacco! Innamorato!... E lo dici così, come si dice: Buona notte. Macchè! Non può essere! Io trovo che ci s'innamora d'una donna quando non è possibile far altrimenti per averla. A poco a poco il suo monologo mi divenne incomprensibile, finchè, piantatosi davanti a me con le braccia incrociate: — Ammettiamo pure, — concluse. — Ora, cosa intendi fare? — Non so. — Questa non è una risposta. Occorre sapere. — Insomma, Fabio, volevo appunto venirtene a parlare. Non è da oggi nè da ieri che vedo l'impossibilità di questo matrimonio, e tu lo sai. — Calma! calma! Non diciamo sciocchezze. Hai riflettuto a quello che abbandoni? — Ho riflettuto più del necessario; non solo, ma sono giunto a questa conclusione: che la mia vita con lei sarebbe per entrambi un'agonia di tutte le ore. Vi sono due morali e due logiche; una, inflessibile, che dice: «Hai data la tua parola, devi mantenerla; sei presso alla rovina, carpisci una dote.» L'altra, meno rigida ma più umana, la quale, fra due disonestà, fra due disgrazie, consiglia di scegliere la minore. Io, purtroppo, non sono mai stato padrone de' miei nervi. — Ebbene senti, — rispose con un tono persuadente, — credi a me, non cedere ai nervi. Ragiona freddamente. Siccome ti voglio bene, avrei voluto vederti sposar Edoarda. Sarebbe stata la tua salvezza; ma tu la rifiuti, e sia. Da uomo pratico non so approvarti, ma, come idealista, devo ammettere che il gesto può avere anche una certa bellezza. Però tutto questo sarebbe ancora lecito se si trattasse unicamente di te. Ma Edoarda? questa fanciulla di cui distruggi la vita con una tranquillità così gelida? — Ah? e tu credi ch'io non abbia pensato a lei? che non mi sia torturato fino allo spasimo, prima d'arrendermi all'evidenza di questa impossibilità? Feci una pausa; presi una mano di Fabio con effusione, con preghiera: — Senti... se tu mi volessi aiutare! — A che? — Ad uscire da questo inferno! a trovare una soluzione, insomma; perchè, da solo, io non vi riuscirò mai. Egli si fece grave; qualcosa di estremamente triste, quasi di solenne, pareva emanasse dalla sua persona. — Io? proprio io ti debbo aiutare? — domandò con lentezza. — Sì, tu solo. Sei amico d'entrambi ed hai un'anima così dolce, quando vuoi. Dille ciò ch'io non posso dire; abbi questo coraggio per me. Ti sarà più facile. — Mi sarà più facile... E tu lo credi proprio? — egli domandò ambiguamente. — Non ne dubito, Fabio. Tanto più che ormai ti ho quasi preparata la via. Le ho detto che da qualche tempo mi credo malato, che un mutamento indefinibile avviene in me, che tu stesso l'hai notato di sovente... Col pretesto dell'ipoteca su Torre Guelfa ho trovato il mezzo di lasciar Roma per alcuni giorni; di là ti scriverò, tu mostrerai la mia lettera, saprai tu come dire... Promettimi. Fabio! — Mi chiedi una cosa molto grave; mi chiedi anzi una complicità che mi sembra iniqua. — Fallo per me! Fallo anche per lei, te ne supplico! Seguì un silenzio. Fabio riprese a camminare per la stanza, carezzandosi il mento con il suo gesto abituale. Anche la sua persona elegante, un po' fatua di sè, quasi cavalleresca, pareva incurvarsi con pena sotto la triste fatica di un simile pensiero. Poi d'un tratto mi domandò: — Partirai con l'altra, naturalmente? Io risposi di sì col capo, senza guardarlo. — E chiami questo avere pietà? — Le voglio bene. — Oh... tu!... — fece, con una scrollata di spalle. — A lei sì, Fabio. Per la prima volta, sì! Tu ridi... è naturale. Ma viene un giorno, anche dopo i trent'anni... E poi, tu non la conosci ancora. — Ne ho conosciute tante altre! Su per giù sarà la stessa cosa. Vedi: ho molti capelli bianchi. — Insomma, Fabio, acconsenti? Egli si passò la mano su la fronte, mi venne presso, mi guardò. — Ecco: io non decido mai a lungo. Ti faccio una domanda sincera, da uomo ad uomo... Cerca d'intendere bene quello che voglio dire. Credi tu che un'altro, volendola più tardi sposare, possa ingannarsi ancora? — Che domanda mi fai... —

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Argomenti: recente avventura,    troppo criterio,    uomo pratico,    matrimonio invidiabile,    mutamento indefinibile

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