Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 83

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diffidente, ostile, di un'altra pasta. Allentò le braccia, e non aggiunse altro. - Ora fammi chiamare un prete, - terminò con un altro tono di voce. - Voglio fare i miei conti con Domeneddio. Durò ancora qualche altro giorno così, fra alternative di meglio e di peggio. Sembrava anzi che cominciasse a riaversi un poco, quando a un tratto, una notte, peggiorò rapidamente. Il servitore che gli avevano messo a dormire nella stanza accanto l'udì agitarsi e smaniare prima dell'alba. Ma siccome era avvezzo a quei capricci, si voltò dall'altra parte, fingendo di non udire. Infine, seccato da quella canzone che non finiva più, andò sonnacchioso a vedere che c'era. - Mia figlia! - borbottò don Gesualdo con una voce che non sembrava più la sua. - Chiamatemi mia figlia! - Ah, sissignore. Ora vado a chiamarla, - rispose il domestico, e tornò a coricarsi. Ma non lo lasciava dormire quell'accidente! Un po' erano sibili, e un po' faceva peggio di un contrabbasso, nel russare. Appena il domestico chiudeva gli occhi udiva un rumore strano che lo faceva destare di soprassalto, dei guaiti rauchi, come uno che sbuffasse ed ansimasse, una specie di rantolo che dava noia e vi accapponava la pelle. Tanto che infine dovette tornare ad alzarsi, furibondo, masticando delle bestemmie e delle parolacce. - Cos'è? Gli è venuto l'uzzolo adesso? Vuol passar mattana! Che cerca? Don Gesualdo non rispondeva; continuava a sbuffare supino. Il servitore tolse il paralume, per vederlo in faccia. Allora si fregò bene gli occhi, e la voglia di tornare a dormire gli andò via a un tratto. - Ohi! ohi! Che facciamo adesso? - balbettò grattandosi il capo. Stette un momento a guardarlo così, col lume in mano, pensando se era meglio aspettare un po', o scendere subito a svegliare la padrona e mettere la casa sottosopra. Don Gesualdo intanto andavasi calmando, col respiro più corto, preso da un tremito, facendo solo di tanto in tanto qualche boccaccia, cogli occhi sempre fissi e spalancati. A un tratto s'irrigidì e si chetò del tutto. La finestra cominciava a imbiancare. Suonavano le prime campane. Nella corte udivasi scalpitare dei cavalli, e picchiare di striglie sul selciato. Il domestico andò a vestirsi, e poi tornò a rassettare la camera. Tirò le cortine del letto, spalancò le vetrate, e s'affacciò a prendere una boccata d'aria, fumando. Lo stalliere, che faceva passeggiare un cavallo malato, alzò il capo verso la finestra. - Mattinata, eh, don Leopoldo? - E nottata pure! - rispose il cameriere sbadigliando. - M'è toccato a me questo regalo! L'altro scosse il capo, come a chiedere che c'era di nuovo, e don Leopoldo fece segno che il vecchio se n'era andato, grazie a Dio. - Ah... così... alla chetichella?... - osservò il portinaio che strascicava la scopa e le ciabatte per l'androne. Degli altri domestici s'erano affacciati intanto, e vollero andare a vedere. Di lì a un po' la camera del morto si riempì di gente in manica di camicia e colla pipa in bocca. La guardarobiera vedendo tutti quegli uomini alla finestra dirimpetto venne anche lei a far capolino nella stanza accanto. - Quanto onore, donna Carmelina! Entrate pure; non vi mangiamo mica... E neanche lui... non vi mette più le mani addosso di sicuro... - Zitto, scomunicato!... No, ho paura, poveretto... Ha cessato di penare. - Ed io pure, - soggiunse don Leopoldo. Così, nel crocchio, narrava le noie che gli aveva date quel cristiano - uno che faceva della notte giorno, e non si sapeva come pigliarlo, e non era contento mai. - Pazienza servire quelli che realmente son nati meglio di noi... Basta, dei morti non si parla. - Si vede com'era nato... - osservò gravemente il cocchiere maggiore. - Guardate che mani! - Già, son le mani che hanno fatto la pappa!... Vedete cos'è nascer fortunati... Intanto vi muore nella battista come un principe!... - Allora, - disse il portinaio, - devo andare a chiudere il portone? - Sicuro, eh! È roba di famiglia. Adesso bisogna avvertire la cameriera della signora duchessa.

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Argomenti: rumore strano

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