Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 32

Testo di pubblico dominio

suo bambino. Avrebbero pianto gli stessi sassi. - Per parte di moglie... siete cugini... - È vero, - aggiunse don Ninì tuttora un po' rosso in viso. - Siamo cresciuti insieme con Bianca... come fratello e sorella. - Caro don Nunzio!... vi rammentate la fornace del gesso... vicino Fontanarossa?... Il vecchio burbero fece una spallata, per levarsi d'addosso la manaccia del barone Zacco, e rispose sgarbatamente. - Io mi chiamo mastro Nunzio, signor barone. Non ho i fumi di mio figlio. - E perché poi? A vantaggio di chi vi fate la guerra?... Chi ne gode di tanto denaro buttato via?... - conchiuse Canali infervorato. Pazzie! ragazzate!... Un po' di sangue alla testa!... La giornata calda!... Un puntiglio sciocco... un malinteso... Ora tutto è finito! Andiamo via! Non facciamo ridere il paese!... - E il notaro cercava di condurli a spasso tutti quanti. - Un momento! - interruppe don Gesualdo. - La candela è ancora accesa. Vediamo prima se hanno scritto l'ultima mia offerta. - Come, come? Che discorsi!... Cosa vuol dire?... Torniamo da capo?... - Di nuovo s'era levato un putiferio. - Non siamo più amici? Non siamo parenti? Ma don Gesualdo s'ostinava, peggio di un mulo: - Sissignore, siamo parenti. Ma qui siamo venuti per la gabella delle terre comunali. Io ho fatta l'offerta di sei onze e quindici tarì a salma. - Villano! testa di corno! Don Filippo, in mezzo a quel trambusto, fu costretto a sedere di nuovo sul seggiolone, sbuffando. Vuotò di un fiato il bicchiere d'acqua, e suonò il campanello. - Signori miei! - vociava il segretario, - l'ultima offerta... a sei onze e quindici! - Tutti se n'erano andati a discutere strepitando nell'altra sala, lasciando solo don Gesualdo dinanzi alla scrivania. Invano il canonico, inquieto, gli soffiava all'orecchio: - Non la spuntate, no!... Si son dati l'intesa fra di loro!... - A sei onze e quindici la salma!... ultima offerta!... - Don Gesualdo! don Gesualdo! - gridò il notaro quasi stesse per crollare la sala. Rientrarono nuovamente in processione: il barone Zacco facendosi vento col cappello; il canonico e Canali ragionando fra loro due a bassa voce; don Ninì, più restìo, in coda agli altri. Il notaro con le braccia fece un gesto circolare per radunarli tutti intorno a sé: - Don Gesualdo!... sentite qua! Volse in giro un'occhiata da cospiratore e abbassò la voce: - Una proposta seria! - e fece un'altra pausa significativa. - Prima di tutto, i danari della cauzione... una bella somma!... La disgrazia volle così... ma voi non ci avete colpa, don Gesualdo... e neppure, voi, mastro Nunzio... È giusto che non li perdiate!... Accomoderemo la cosa!... Voi, signor barone Zacco, vi rincresce di lasciare le terre che sono da quarant'anni nella vostra famiglia?... E va bene!... La baronessa Rubiera adesso vuole la sua parte anche lei?... ha più di tremila capi di bestiame sulle spalle... E va bene anche questa! Don Gesualdo, qui, ha denari da spendere lui pure; vuol fare le sue speculazioni sugli affitti... Benissimo! Dividete le terre, fra voi tre... senza liti, senza puntigli, senza farvi la guerra a vantaggio altrui... A vantaggio di chi, poi?... del comune! Vuol dire di nessuno! Mandiamo a monte l'asta... Il pretesto lo trovo io!... Fra otto giorni si riapre sul prezzo di prima; si fa un'offerta sola... Io no... e nemmeno loro!... Il canonico Lupi!... in nome vostro, don Gesualdo... Ci fidiamo... Siamo galantuomini! Un'offerta sola sul prezzo di prima; e vi rimangono aggiudicate le terre senza un baiocco d'aumento. Solamente una piccola senseria per me e il canonico... E il rimanente lo dividete fra voi tre, alla buona... d'amore e d'accordo. Vi piace? Siamo intesi? - Nossignore, - rispose don Gesualdo, - le terre le piglio tutte io. Mentre gli altri erano contenti e approvavano coi cenni del capo l'occhiata trionfante che il notaro tornava a volgere intorno, quella risposta cadde come una secchia d'acqua. Il notaro per primo rimase sbalordito; indi fece una giravolta e s'allontanò canterellando. Don Ninì scappò via senza dir nulla. Il barone stavolta finse di calcarsi il cappello in capo per davvero. Lo stesso canonico saltò su inviperito: - Allora vi pianto anch'io!... Se volete rompervi le corna, il balcone è lì, bell'e aperto!... Vi offrono dei buoni patti!... vi stendono le mani!... Io vi lascio solo, com'è vero Dio! Ma don Gesualdo si ostinava, col suo risolino sciocco, il solo che non perdesse la testa in quella baraonda. - Siete una bestia! - gli disse sempre ridendo. Il canonico spalancò gli occhi e tornò docile a vedere quel che stava macchinando quel diavolo di mastro-don Gesualdo. Il notaro, prudente, seppe dominarsi prima degli altri, e tornò indietro col sorriso sulle labbra e la tabacchiera in mano lui pure. - Dunque?... le volete tutte? - Eh... eh... Cosa stiamo a farci qui dunque! - rispose l'altro. Neri gli offrì la tabacchiera aperta, e riprese a voce bassa, in tono di confidenza cordiale: - Che diavolo volete farne?... circa cinquecento salme di terre!... Don Gesualdo si strinse nelle spalle. - Caro notaro, forse che voglio ficcare il naso nei vostri libracci, io? - Quand'è così, don Gesualdo, state a sentire... discorriamola fra di noi... Il puntiglio non conta... e nemmeno l'amicizia... Badiamo agli interessi... A ogni frase piegava il capo ora a destra e ora a sinistra, con un fare cadenzato che doveva essere molto persuasivo. - Se le volete tutte, ve le faremo pagare il doppio, ed ecco sfumato subito metà del guadagno... senza contare i rischi... le malannate!... Lasciateci l'osso, caro don Gesualdo! tappateci la bocca... Abbiamo denti, e sappiamo mordere! Andremo a rotta di collo noialtri e voi pure!... Don Gesualdo scrollava il capo, sogghignando, come a dire: - Nossignore! Andrete a rotta di collo voialtri soltanto! - Seguitava a ripetere: - Forse che io voglio cacciare il naso nei vostri scartafacci? Poi, vedendo che il notaro diventava verde dalla bile, volle offrirgli una presa lui. - Vi spiego il mistero in due parole, giacché vedo che mi parlate col cuore in mano. Piglierò in affitto le terre del comune... e quelle della Contea pure... tutte quante, capite, signor notaro? Allora comando ai prezzi e all'annata, capite?... Ve lo dico perché siete un amico, e perché a far quel che dico io ci vogliono molti capitali in mano, e un cuore grande quanto il piano di Santamargherita, caro notaro. Perciò spingerò l'asta sin dove voialtri non potrete arrivare. Ma badate! a un certo punto, se non mi conviene, mi tiro indietro, e vi lascio addosso il peso che vi rompe la schiena... - E questa è la conclusione?... - Eh? eh? Vi piace? Il notaro si volse di qua e di là, come cercasse per terra, si calcò il cappello in capo definitivamente, e volse le spalle: - Salute a chi rimane!... Ce ne andiamo... Non abbiamo più nulla da fare. Il canonico, ch'era stato ad ascoltare a bocca aperta, si strinse al socio con entusiasmo, appena rimasero soli. - Che botta, eh? don Gesualdo! Che tomo siete voi!... La mia mezzeria ci sarà sempre? Don Gesualdo rassicurò il canonico con un cenno del capo, e disse a Margarone: - Signor don Filippo, andiamo avanti... - Io non vo niente affatto! - rispose finalmente Margarone adirato. - La legge dice... Non c'è più concorrenza!... Non trovo garanzia!... Devo consultare i miei colleghi. - E si mise a raccogliere gli scartafacci in fretta e in furia. - Ah! così si tratta?... è questa la maniera?... Va bene! va benone! Ne discorreremo poi, signor don Filippo... Un memoriale a Sua Maestà!... - Il canonico col mantello sul braccio come un oratore romano, perorava la causa dell'amico, minaccioso. Don Gesualdo invece, più calmo, riprese il suo denaro e il taccuino zeppo di cifre: - Io sarò sempre qua, signor don Filippo, quando aprite di nuovo l'asta. - Signori miei!... guardate un po'... a che siam giunti! - brontolava Margarone. Per la scala del Palazzo di Città, e per tutto il paese era un subbuglio, al sentire la lotta che c'era

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