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Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 58Tutto quel ben di Dio, quelle belle terre, la Canziria, la Salonia stessa dove avevano i piedi, erano forse piovuti dal cielo? - Burgio, più calmo, metteva buone parole; diceva che non era quello il momento, col morto ancora caldo. Tappava la bocca alla moglie; cacciava indietro il cognato Santo, il quale aveva aperto tanto d'orecchi e vociava: - No, no, lasciatela dire! - Infine volle che si abbracciassero, lì, nella stanza dove erano rimasti poveri orfanelli. Don Gesualdo era un galantuomo, un buon cuore. Non l'avrebbe fatta una porcheria. - Non scappate! Sentite qua! Non è vero? Non siete un galantuomo? - No! no! Lasciatemi sentire quello che pretendono. È meglio spiegarsi chiaro. Ma la sorella non gli dava più retta, seduta su di un sasso, fuori dell'uscio, borbottando fra di sé. Massaro Fortunato toccò pure degli altri tasti: il gastigo di Dio che avevano sulle spalle, l'ora che si faceva tarda. Intanto mastro Nardo tirò fuori la mula dalla stalla. Rimasero ancora un pezzetto lì fuori a tenersi il broncio. Poi don Gesualdo propose di condurseli tutti a Mangalavite. Il cognato Burgio serrava l'uscio a chiave, e caricava sul basto i pochi panni, che aveva raccolti in un fagottino. Speranza non rispose subito all'invito del fratello, sciorinando lo scialle per accingersi alla partenza, guardando di qua e di là, cogli occhi torvi. Infine spiattellò quel che aveva sullo stomaco: - A Mangalavite?... No, grazie tante!... Cosa ci verrei a fare... se dite che è roba vostra?... Sarebbe anche un disturbo per vostra moglie e la figliuola... due signore avvezze a stare coi loro comodi... Noi poveretti ci accomodiamo alla meglio... Andremo alla Canziria. Andremo piuttosto alla fornace del gesso che ha lasciato mio padre, buon'anima... Quella sì!... Colà almeno saremo a casa nostra. Non direte d'averla comperata coi vostri guadagni la fornace del gesso!... No, no, sto zitta, massaro Fortunato! Se ne parlerà poi, chi campa. Chi campa tutto l'anno vede ogni festa. Vi saluto, don Gesualdo. Sarà quel che vuol Dio. Beato quel poveretto che adesso è tranquillo, sottoterra!... Brontolava ancora ch'era già in viaggio, sballottata dall'ambio della cavalcatura, colla schiena curva, e il vento che le gonfiava lo scialle dietro. Don Gesualdo montò a cavallo lui pure, e se ne andò dall'altra parte, col cuore grosso dell'ingratitudine che raccoglieva sempre, voltandosi indietro, di tanto in tanto, a guardare la fattoria rimasta chiusa e deserta, accanto alla buca ancora fresca, e la cavalcata dei suoi che si allontanavano in fila, uno dopo l'altro, di già come punti neri nella campagna brulla che s'andava oscurando. Dopo un pezzetto, mastro Nardo che ci aveva pensato su, fece l'orazione del morto: - Poveretto! Ha lavorato tanto... per tirare su i figliuoli... per lasciarli ricchi... Ora è sotto terra! Vi rammentate, vossignoria, quando è rovinato il ponte, a Fiumegrande, e voleva annegarsi?... Ecco cos'è il mondo! Oggi a te, domani a me. Il padrone gli rivolse un'occhiata brusca, e tagliò corto: - Zitto, bestia!... Anche tu!... Potevano essere due ore di notte quando arrivarono alla Fontana di don Cosimo, con una bella sera stellata, il cielo tutto che sembrava formicolare attorno a Budarturo, sulla distesa dei piani e dei monti che s'accennava confusamente. La mula, sentendo la stalla vicina, si mise a ragliare. Allora abbaiarono dei cani; laggiù in fondo comparvero dei lumi in mezzo all'ombra più fitta degli alberi che circondavano la casina, e s'udirono delle voci, un calpestìo precipitoso come di gente che corresse; lungo il sentiero che saliva dalla valle si udì un fruscìo di foglie secche, dei sassi che precipitarono rimbalzando, quasi alcuno s'inerpicasse cautamente. Poi silenzio. A un tratto, dal buio, sul limite del boschetto, partì una voce: - Ehi, don Gesualdo? - Ehi, Nanni, che c'è? Compare Nanni non rispose, mettendosi a camminare accanto alla mula. Dopo un momento masticò sottovoce, quasi a malincuore: - C'è che son qui per guardarvi le spalle! Don Gesualdo non chiese altro. Scendevano per la viottola in fila. Nanni l'Orbo aggiunse soltanto, di lì a un po': - Si fece la festa, eh? - E come il padrone continuava a tacere, conchiuse: - L'ho capito alla cera che avete, vossignoria. Mondo di guai!... L'uno dopo l'altro! - Giunti alla fontana infine disse: - Smontiamo qui, eh? Mastro Nardo se ne andrà pel viale colle cavalcature, e noi da questa parte, per far più presto. Don Gesualdo capì subito, e non se lo fece dire due volte. Andavano in silenzio, lungo il muro, quasi ci vedessero al buio. A un certo punto l'Orbo accennò delle pietre sparse per terra, una specie di breccia fra le spine che coronavano il muro, e disse piano: - Vedete, vossignoria? - L'altro affermò col capo, e scavalcò il chiuso. Nanni l'Orbo coll'acciarino accese un zolfanello e andarono seguendo le pedate, passo passo, sino alla casina. Sotto la finestra di donna Isabella l'Orbo additò in silenzio l'erba ch'era tutta pesta, quasi ci si fossero davvero sdraiati degli asini. - I cani poi come fossero alloppiati! - osservò compare Nanni con quel fare misterioso. - Se non ero io, che ho l'orecchio fino... Dicevo a Diodata: Finché manca il padrone bisogna stare coll'orecchio teso, per guardargli le spalle... Allora ho mandato Nunzio sul ponticello, mentre io con Gesualdo arrivavo dalla parte del palmento... Sissignore, dov'è alloggiata donna Sarina col nipote... Se i cani sono stati zitti, dicevo fra di me... - Va bene. Adesso taci. Di lassù potrebbero udirti. Il giorno dopo, ricevendo le visite di condoglianza, vestito di nero, colla barba lunga, appena donna Sarina ebbe fatto l'elogio del morto e del vivo, asciugandosi gli occhi, rimboccandosi le maniche per correre in cucina ad aiutare in quello scompiglio, don Gesualdo la fermò nell'andito, senza tanti complimenti. - Sapete, donna Sarina?... il servizio che dovreste farmi sarebbe d'andarvene. Patti chiari e amici cari, non è vero? Ho bisogno di quelle due stanze... pei miei motivi. Sinora non vi ho detto nulla. Ma voi avrete ammirato la mia prudenza, eh? La Cirmena diventò verde. S'aggiustò il vestito, sorridendo, pigliandola con disinvoltura: - Bene, bene. Ho capito. Una volta che vi servono quelle due stanzuccie... Se avete i vostri motivi... Anche subito, su due piedi... colèra o no!... La gente non ha da dire se me ne mandate via in mezzo al colèra!... Siete il padrone. Ciascuno sa i fatti di casa sua. Soltanto, se permettete, vado prima a salutare mia nipote. Non so cosa potrebbero pensare se me ne andassi zitta zitta... Le male lingue, sapete!... Bianca non arrivava a capacitarsi: - Come? andarsene via? nel fitto del colèra? Perché? Cos'era stato? - La zia Cirmena adduceva diversi pretesti strambi: forza maggiore; ciascuno ha i suoi motivi; interessi gravi di casa; Corrado aveva ricevuto una lettera urgentissima. - Gli rincresce anche a lui, poveretto. Gli è arrivata fra capo e collo. S'era tanto affezionato a questi luoghi... Anche poco fa mi diceva: - Zia, oggi è l'ultima passeggiata che andrò a fare alla sorgente... - Don Gesualdo, fuori dei gangheri, tagliò corto a quei discorsi sciocchi. - Scusate, donna Sarina. Mia moglie non capisce più niente... Diventano tutti così nella sua famiglia... Doveva toccare a me!... Isabella invece s'era fatta pallida come un cadavere. Ma non si mosse, non disse nulla, una vera Trao, col viso fermo e impenetrabile. Ricambiava anche gli abbracci e i saluti affettuosi della zia, sforzandosi di sorridere, con una ruga sottile fra le ciglia. Poi, quando fu sola, a un tratto, con un gesto disperato, si strappò la gorgierina che la soffocava, con un onda di sangue al volto, un abbarbagliamento improvviso dinanzi agli occhi, una fitta, uno spasimo acuto che la fece vacillare, annaspando, fuori di sé. Voleva vederlo, l'ultima volta, a qualunque costo, quando tutti sarebbero stati a riposare, dopo mezzogiorno, e che alla casina non si moveva anima Tag: don due dopo fuori tanto donna orbo padrone infine Argomenti: due ore, due signore, cuore grosso, donna isabella, ruga sottile Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il benefattore di Luigi Capuana Corbaccio di Giovanni Boccaccio Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni Fior di passione di Matilde Serao Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Mixed wrestling e bondage Significato dell'azalea Il finocchio un alleato per le donne Venezia: alcune tradizioni e misteri leggendari L'olio di Argan
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