Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 77

Testo di pubblico dominio

infuriato, - allora fatevi curare dal maniscalco! Perché mi avete fatto chiamare? - Prese il cappello, e se ne andò. Ma siccome il malato soffriva tutti i tormenti dell'inferno, nella lusinga che qualcheduno trovasse il rimedio che ci voleva, per non far parlare anche i vicini che li accusavano di avarizia, dovettero chinare il capo a codesto, chinare il capo a medici e medicamenti. Il figlio di Tavuso, Bomma, quanti barbassori c'erano in paese, tutti sfilarono dinanzi al letto di don Gesualdo. Arrivavano, guardavano, tastavano, scambiavano fra di loro certe parolacce turche che facevano accapponar la pelle, e lasciavano detto ciascuno la sua su di un pezzo di carta - degli sgorbi come sanguisughe. Don Gesualdo, sbigottito, non diceva nulla, cercava di cogliere le parole a volo; guardava sospettoso le mani che scrivevano. Soltanto, per non buttare via il denaro malamente, prima di spedire la ricetta, prese a parte don Margheritino, e gli fece osservare che aveva un armadio pieno di vasetti e boccettine, comperati per la buon'anima di sua moglie. - Non ho guardato a spesa, signor dottore. Li ho ancora lì, tali e quali. Se vi pare che possano giovare adesso... Non gli davano retta neppur quando tornava a balbettare, spaventato da quelle facce serie: - Mi sento meglio. Domani mi alzo. Mandatemi in campagna che guarirò in ventiquattr'ore. - Gli dicevano di sì, per contentarlo, come a un bambino. - Domani, doman l'altro. - Ma lo tenevano lì, per smungerlo, per succhiargli il sangue, medici, parenti e speziali. Lo voltavano, lo rivoltavano, gli picchiavano sul ventre con due dita, gli facevano bere mille porcherie, lo ungevano di certa roba che gli apriva dei vescicanti sullo stomaco. C'era di nuovo sul cassettone un arsenale di rimedi, come negli ultimi giorni di Bianca, buon'anima. Egli borbottava, tentennando il capo. - Siamo già ai medicamenti che costano cari! Vuoi dire che non c'è più rimedio. - Il denaro a fiumi, un va e vieni, una baraonda per la casa, tavola imbandita da mattina a sera. Burgio, che non c'era avvezzo, correva a mostrare la lingua ai medici, come venivano pel cognato; Santo non usciva più nemmeno per andare all'osteria; e i nipoti, quando tornavano dai poderi, si pigliavano pei capelli: liti e quistioni fra di loro che facevano a chi più arraffa, degli strepiti che arrivavano fin nella camera dell'infermo, il quale tendeva l'orecchio, smanioso di sapere quello che facevano della sua roba, e anche lui si metteva a strillare dal letto: - Lasciatemi andare a Mangalavite. Ci ho tutti i miei interessi alla malora. Qui mi mangio il fegato. Lasciatemi andare, se no crepo! Ci aveva come una palla di piombo nello stomaco, che gli pesava, voleva uscir fuori, con un senso di pena continuo; di tratto in tratto, si contraeva, s'arroventava, e martellava, e gli balzava alla gola, e lo faceva urlare come un dannato, e gli faceva mordere tutto ciò che capitava. Egli rimaneva sfinito, anelante, col terrore vago di un altro accesso negli occhi stralunati. Tutto ciò che ingoiava per forza, per aggrapparsi alla vita, i bocconi più rari, senza chiedere quel che costassero, gli si mutavano in veleno; tornava a rigettarli come roba scomunicata, più nera dell'inchiostro, amara, maledetta da Dio. E intanto i dolori e la gonfiezza crescevano: una pancia che le gambe non la reggevano più. Bomma, picchiandovi sopra, una volta disse: - Qui c'è roba. - Che volete dire, vossignoria? - balbettò don Gesualdo, balzando a sedere sul letto, coi sudori freddi addosso. Bomma lo guardò bene in faccia, accostò la seggiola, si voltò di qua e di là per vedere s'erano soli. - Don Gesualdo, siete un uomo... Non siete più un ragazzo, eh? - Sissignore, - rispose lui con voce ferma, calmatosi a un tratto, col coraggio che aveva sempre avuto al bisogno. - Sissignore, parlate. - Bene, qui ci vuole un consulto. Non avete mica una spina di fico d'India nel ventre! È un affare serio, capite! Non è cosa per la barba di don Margheritino o di qualcun altro... sia detto senza offenderli, qui in confidenza. Chiamate i migliori medici forestieri, don Vincenzo Capra, il dottor Muscio di Caltagirone, chi volete... Denari non ve ne mancano... A quelle parole don Gesualdo montò in furia: - I denari!... Vi stanno a tutti sugli occhi i denari che ho guadagnato!... A che mi servono... se non posso comprare neanche la salute?... Tanti bocconi amari m'hanno dato... sempre!... Ma però volle stare a sentire la conclusione del discorso di Bomma. Alle volte non si sa mai... Lo lasciò finire, stando zitto, tenendosi il mento, pensando ai casi suoi. Infine volle sapere: - Il consulto? Che mi fa il consulto? Bomma perse le staffe: - Che vi fa? Caspita! Quello che vi può fare... Almeno non si dirà che vi lasciate morire senza aiuto. Io parlo nel vostro interesse. Non me ne viene nulla in tasca... Io fo lo speziale... Non è affar mio... Non me ne intendo. Vi ho curato per amicizia... - Come l'altro tentennava il capo, diffidente, col sorriso furbo sulle labbra smorte, il farmacista mise da banda ogni riguardo. - Morto siete, don minchione! A voi dico! Allora don Gesualdo volse un'occhiata lenta e tenace in giro, si soffiò il naso, e si lasciò andar giù sul letto supino. Di lì a un po', guardando il soffitto, aggiunse con un sospiro: - Va bene. Facciamo il consulto. La notte non chiuse occhio. Tormentato da un'ansietà nuova, con dei brividi che lo assalivano di tratto in tratto, dei sudori freddi, delle inquietudini che lo facevano rizzare all'improvviso sul letto coi capelli irti, guardando intorno nelle tenebre, vedendo sempre la faccia minacciosa di Bomma, tastandosi, soffocando i dolori, cercando d'illudersi. Parevagli di sentirsi meglio infatti. Voleva curarsi, giacché era un affar serio. Voleva guarire. Ripeteva le parole stesse dello speziale: denari ne aveva; s'era logorata la vita apposta; non li aveva guadagnati per far la barba al signor genero; perché se li godessero degli ingrati che lo lasciavano crepare lontano: Lontano dagli occhi, lontan dal cuore! Il mondo è fatto così, che ciascuno tira l'acqua al suo mulino. Il mulino suo, di lui, era di riacquistare la salute, coi suoi denari. C'erano al mondo dei buoni medici che l'avrebbero fatto guarire, pagandoli bene. Allora asciugavasi quel sudore d'agonia, e cercava di dormire. Voleva che i medici forestieri che aspettava il giorno dopo gli trovassero miglior cera; contava le ore; gli pareva mill'anni che fossero lì dinanzi al suo letto. La stessa luce dell'alba gli faceva animo. Poi, allorché udì le campanelle della lettiga che portava il Muscio e don Vincenzo Capra si sentì slargare il cuore tanto fatto. Si tirò su svelto a sedere sul letto come uno che si senta proprio meglio. Salutò quella brava gente con un bel sorriso che doveva rassicurare anche loro, appena li vide entrare. Essi invece gli badarono appena. Erano tutti orecchi per don Margheritino che narrava la storia della malattia con gran prosopopea; approvavano coi cenni del capo di tanto in tanto; volgevano solo qualche occhiata distratta sull'ammalato che andavasi scomponendo in volto, alla vista di quelle facce serie, al torcer dei musi, alla lunga cicalata del mediconzolo che sembrava recitasse l'orazione funebre. Dopo che colui ebbe terminato di ciarlare s'alzarono l'uno dopo l'altro, e tornarono a palpare e a interrogare il malato, scrollando il capo, con certo ammiccare sentenzioso, certe occhiate fra di loro che vi mozzavano il fiato addirittura. Ce n'era uno specialmente, dei forestieri, che stava accigliato e pensieroso, e faceva a ogni momento uhm! uhm! senza aprir bocca. I parenti, la gente di casa, dei vicini anche, per curiosità, si affollavano all'uscio, aspettando la sentenza, mentre i dottori confabulavano a bassa voce fra di loro in un canto. A un cenno dello speziale, Burgio e sua moglie andarono a sentire anch'essi, in punta di piedi. - Parlate, signori miei! - esclamò allora il pover'uomo pallido come un morto. -

Tag: don    letto    capo    tutti    tratto    consulto    roba    bene    fatto    

Argomenti: cuore tanto,    terrore vago,    armadio pieno,    sorriso furbo

Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina:

Il benefattore di Luigi Capuana
Le femmine puntigliose di Carlo Goldoni
Libro proibito di Antonio Ghislanzoni
Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo
Diario del primo amore di Giacomo Leopardi

Articoli del sito affini al contenuto della pagina:

Valorizzare il proprio fisico vestendosi bene
Come fare il profumo in casa
Quando e come innaffiare le orchidee
Spunti per scrivere un libro
Le vacanze insieme per salvare la vita di coppia


<- precedente 1   |    2   |    3   |    4   |    5   |    6   |    7   |    8   |    9   |    10   |    11   |    12   |    13   |    14   |    15   |    16   |    17   |    18   |    19   |    20   |    21   |    22   |    23   |    24   |    25   |    26   |    27   |    28   |    29   |    30   |    31   |    32   |    33   |    34   |    35   |    36   |    37   |    38   |    39   |    40   |    41   |    42   |    43   |    44   |    45   |    46   |    47   |    48   |    49   |    50   |    51   |    52   |    53   |    54   |    55   |    56   |    57   |    58   |    59   |    60   |    61   |    62   |    63   |    64   |    65   |    66   |    67   |    68   |    69   |    70   |    71   |    72   |    73   |    74   |    75   |    76   |    77   |    78   |    79   |    80   |    81   |    82   |    83 successiva ->