Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 20

Testo di pubblico dominio

vi è nemico, benedetto Dio! Ho piacere che abbiate toccato con mano se il consiglio che vi ho dato allora era tutt'oro! Una giovane ch'è una perla, avvezza ad ogni guaio, che l'avreste tutta ai vostri comandi, e di famiglia primaria anche!... la quale vi farebbe imparentare con tutti i pezzi grossi del paese!... Lo vedete adesso di che aiuto vi sarebbe? Avreste dalla vostra i giurati e tutti quanti. Anche per l'altra faccenda della gabella, poi, se volete entrarci insieme a noi... - Sissignore, - rispose Gesualdo vagamente. - Tante cose si potrebbero fare... Si potrebbe parlarne... - Si dovrebbe parlarne chiaro, amico mio. Mi prendete per un ragazzo? Una mano lava l'altra. Aiutami che t'aiuto, dice pure lo Spirito Santo. Voi, caro don Gesualdo, avete il difetto di credere che tutti gli altri sien più minchioni di voi. Prima fate lo gnorri, non ci sentite da quell'orecchio, e poi, al bisogno, quando vi casca la casa addosso, mi venite dinanzi con quella faccia. - Sarà il caldo... saranno tutti quegli uccelli... - balbettò l'altro un po' scombussolato. - Vorrei vedervi nei miei panni, signor canonico! - esclamò infine. - Nei vostri panni... sicuro... mi ci metto! Voglio farvi vedere e toccar con mano chi vi vuol bene o no! Eccomi con voi. Pensiamo a quest'affare del ponte prima... a salvare la cauzione... con un sussidio del comune. Andremo adesso dal capitano... e dai giurati che non ci sarebbero contrari... Peccato che il barone Zacco abbia già dei sospetti per l'affare della gabella!... Lasciatemi pensare... Mentre terminava di legarsi il mantello al collo andava raccogliendo le idee, colle sopracciglia aggrottate, guardando in terra di qua e di là. Ecco! Io vo prima dalla signora Sganci... no! no! non le dico nulla per adesso! qualche parola così in aria... in via accademica... Mi basta che donna Marianna scriva due righe al capitano. Quanto alla baronessa Rubiera posso dormire fra due guanciali... è come se fosse la vostra stessa persona, se mi promettete... Ma badiamo, veh!... E il canonico sgranò gli occhi. Don Gesualdo stese la mano verso il crocifisso. - No, dico per l'altro affare, quello della gabella. Non vorrei che giuocassimo a scarica barile fra di noi, caro don Gesualdo! Costui voleva allungare la mano di nuovo; ma il canonico aveva già infilato l'uscio. - Voi m'aspetterete giù, nel portone. Un momento, vado e torno. Tornò fregandosi le mani: - Ve l'avevo detto. Non ci vede dagli occhi donna Marianna per quella nipote! Farete un affarone! Appena fuori si imbatterono nel notaro Neri, che andava ad aprire lo studio, e fece il viso di condoglianza a don Gesualdo. - Brutto affare, eh? Mi dispiace! - Sotto si vedeva che gongolava. Il canonico, a tagliar corto, rispose lui: - Cosa da nulla... Il diavolo poi non è così brutto... Rimedieremo... Abbiamo salvato i materiali... - Dopo, quando furono lontani, e il notaio con la chiave nella toppa li guardava ancora ridendo, il canonico gli soffiò nell'orecchio, a mastro-don Gesualdo: - È che avete una certa faccia, caro mio!... - Io? - Sì. Non ve ne accorgete, ma l'avete! Se fate quella faccia, tutti vi metteranno i piedi sopra per camminarvi!... Con quella faccia non si va a chiedere un favore... Aspettatemi qui; salgo un momento dal cavalier Peperito. È una bestia; ma l'hanno fatto giurato. Appena il canonico se ne fu andato su per la scala rotta e scalcinata, arrivò il cavaliere dal poderetto, montato su di un asinello macilento, con una bisaccia piena di fave dietro. Don Gesualdo per ingraziarselo lo aiutò a scaricar le fave, e a legar l'asino alla mangiatoia, sotto l'arco della scaletta; ma il cavaliere parve un po' seccato d'esser stato sorpreso in quell'arnese, tutto infangato, e col vestito lacero da campagna. - Non ne facciamo nulla, - disse il canonico ritornando poco dopo. - È una bestia! Crede di fare il cavaliere sul serio... Deve avercela con voi... Bisogna trovare la persona. Ciolla? ohi? Ciolla? A voi dico, Ciolla! Sapete s'è in casa don Filippo? L'avete visto uscire? Ciolla ammiccò coll'unico occhio, torcendo ancora la bocca di paralitico. - No, Canali è ancora lì, da Bomma, che l'aspetta per condurlo dalla cognata, la ceraiuola, sapete bene? È la loro passeggiata, dopopranzo... a trastullarsi con lei, dietro lo scaffale... Che c'è di nuovo, don Gesualdo? Andate a benedire il ponte, insieme al canonico? Don Gesualdo si sfogò infine con lui, appuntandogli contro le corna, con tutt'e due le mani. - Vi stava sulla pancia quel ponte!... Come aveste dovuto spendere di tasca vostra!... Il canonico lo tirò per un braccio: - Andiamo, andiamo! Volete chiudere la bocca a tutti gli sfaccendati? Nel salire per la stradicciuola dei Margarone incontrarono il marchese Limòli, che andava a fare la sua passeggiatina solita della sera, dal Rosario a Santa Maria di Gesù, sempre solo e con l'ombrello rosso sotto il braccio. Il canonico, rispondendo alla scappellata cerimoniosa del marchese, ebbe un'ispirazione. - Aspettate, aspettate un momento! Di lì a un po' tornò a raggiungere don Gesualdo con tutt'altro viso. - Un gran diavolo quel marchese! Povero come Giobbe, ma è uno che ha voce in capitolo! S'aiutano fra di loro, tutti in un gruppo!... una buona parola, alle volte!... fra di loro non possono dir di no... Lo lascerebbero morir di fame, ma un favore non glielo negano... Don Filippo era ancora in casa, occupato a rigar la carta per le aste di Nicolino: - Che buon vento? che buon vento?... - Poscia vedendo entrare anche don Gesualdo, dietro il canonico, calò di nuovo gli occhiali sul naso. - Ho tanto da fare!... Ah, sì!... la cauzione?... Volete che il comune vi aiuti a ripescarla? Volete qualche agevolazione per riprendere i lavori?... Vedremo... sentiremo... Se l'avete sbagliato la prima volta questo ponte benedetto?... È un affar grave... Non so di che si tratti... Non sono informato... Da un pezzo che non me ne occupo... Tanto da fare!... Non ho tempo di soffiarmi il naso... Vedremo... sentiremo... In quella entrò Canali, il quale veniva a cercare Margarone, sorpreso di non vederlo all'ora solita. Anch'esso sapeva del ponte, e sembrava che si divertisse mezzo mondo a prolungare le condoglianze - il veleno che gli scorreva sotto il faccione giallo: - Ahi! ahi! don Gesualdo!... Era un'impresa grossa!... Un colpo da mandare ruzzoloni!... C'era troppa carne al fuoco in casa vostra!... - Don Filippo, ora che aveva l'appoggio, si rivoltò anche lui: - Bisogna fare il passo secondo la gamba, mio caro!... Volevate pigliare il cielo a pugni... Il posto a chi tocca, caro amico!... Non bisogna mettersi in testa dì dare il gambetto a un paese intero!... Don Gesualdo allora perse la pazienza. Si alzò di botto, rosso come un gallo, e aprì la bocca per sfogarsi. Ma il canonico gliela tappò con una mano. - State zitto! Lasciate dire a me! Sentite qua, don Filippo! Lo tirò per la falda nell'anticamera. Di lì a un po' rientrarono a braccetto, don Filippo tornato un pezzo di zucchero con mastro-don Gesualdo, spalancandogli addosso gli occhioni di bue, quasi lo vedesse allora per la prima volta: - Vedremo!... Quanto a me... quel che si può fare... Ho parlato nel vostro interesse, caro don Gesualdo... Don Gesualdo, scendendo le scale, brontolava ancora: - Perché dovrei averli tutti contro?... Non fo male a nessuno... Fo gli affari miei... - Eh, caro don Gesualdo! - scappò a dire infine il canonico. - Gli affari vostri fanno a pugni con gli affari degli altri, che diavolo!... Apposta bisogna tirarli dalla vostra... Fra di loro si danno la mano... son tutti parenti... Voi siete l'estraneo... siete il nemico, che diavolo! Il canonico si fermò su due piedi, in mezzo alla piazzetta, di fronte al palazzo dei Trao, alto, nero e smantellato, e guardando fisso don Gesualdo, cogli occhietti acuti di topo che sembrava volessero ficcarglisi dentro come due spilli, il viso a lama di coltello che sfuggiva da ogni parte: - Vedete?... quando sarete entrato nel campo anche

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