Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 67

Testo di pubblico dominio

letto per udire, esclamò trionfante: - Benedetta! parla come una che vede al di là! Non fareste nulla di buono con quell'uomo! Una bestia! Una banderuola! Ciò che vi dice vostra moglie in un momento come questo è vangelo, don Gesualdo! Ricordatevi bene! Io mi farei scrupolo a non darle retta, in parola d'onore!... - E donna Giuseppina? Finta, maligna!... - aggiunse la Zacco. - Ha abbreviato i giorni della suocera! Non vede l'ora di levarsela dagli occhi! - Andate, andate a sentire il resto. Qui ci siamo noi. Andateci pure, se no vi restano lì fino a domani! Don Ninì stava ancora seduto sul canapè, sbuffando dal caldo nella sciarpa di lana, col cappello in testa; e donna Giuseppina si era alzata per osservare al buio le galanterie disposte in bell'ordine sui mobili: il servizio da caffè, i fiori di carta sotto le campane di cristallo, l'orologio che segnava sempre la stessa ora. Vedendo don Gesualdo di ritorno gli disse subito: - Vi ha fatto chiamare il barone Zacco? Non c'era motivo... Qui non si fanno misteri... - Non si fanno misteri! - ripigliò il marito. - Si tratta di metterci d'accordo... tutti i bene intenzionati... Se è bene intenzionato anche lui... quel signore!... - Ma, - osservò don Gesualdo, - se la cosa è come dite, io non saprei che farci... Cosa volete da me? Donna Giuseppina si era perfino trasformata in volto, appuntando in faccia a questo e a quello gli occhi come due spilli, masticando un sorriso con la bocca nera. Cacciò indietro del tutto il marito, e si prese tutto per sé il cugino Motta. - Sì, il rimedio c'è!... c'è! - E stette un po' a guardarlo fisso per fare più colpo. Poscia, tenendo stretta la borsa fra le mani gli si accostò con una mossa dei fianchi, in confidenza: - Si tratta di far prendere le terre a gente nostra... sottomano... - disse il barone. - No! no!... Lasciate che gli spieghi io... Le terre del comune devono darsi a censo, eh? a pezzi e a bocconi perché ogni villano abbia la sua parte? Va bene! Lasciamoli fare. Anzi, mettiamo avanti, sottomano, degli altri pretendenti... dei maestri di bottega, della gente che non sa cosa farsene della terra e non ne caverà neppure i denari del censo. Ci hanno tutti lo stesso diritto, non è vero? Allora, con un po' di giudizio, anticipando a questo e a quello una piccola somma... Loro falliscono in capo all'anno, e noi ci pigliamo la terra in compenso del credito. Avete capito? Bisogna evitare per quanto si può che ci mettano mano i villani. Quelli non se lo lasciano scappare mai più il loro pezzetto di terra. Ci lasciano le ossa piuttosto! Don Gesualdo si alzò di botto, colle narici aperte, la faccia rianimata a un tratto, e si mise a passeggiare per la stanza. Poi, tornando in faccia ai due che s'erano alzati pure, sorpresi: - Questa non viene da voi! - esclamò. - Questa è buona! Questa so di dove viene! - Ah! ah! capite? vedete?... - rispose il barone trionfante. - Prima di tutto bisogna tappare la bocca a Nanni l'Orbo... Col giudizio... con un po' di denaro... senza far torto a nessuno, ben inteso!... La giustizia... - Voi che ci avete mano... Quello è un imbroglione, un arruffapopolo... capace di aizzarci contro tutto il paese. Voi che ci avete mano dovreste chiudergli la bocca. Don Gesualdo tornò a sedersi, pentito d'essersi lasciato trasportare dal primo movimento, grattandosi il capo. Ma il barone Zacco, che stava di là coll'orecchio teso, non seppe più frenarsi. - Scusate, scusate, signori miei! - disse entrando. - Se disturbo... se avete da parlare in segreto... Me ne vo... - E si mise a sedere lui pure, col cappello in testa. Tacquero tutti, ciascuno sbirciando sottecchi il compagno, don Ninì col naso dentro la sciarpa, sua moglie colle labbra strette. Infine disse che le rincresceva tanto della malattia di Bianca. - Proprio! c'è un lutto nel paese. Ninì è un pezzo che mi predica: Giuseppina mia, dobbiamo andare a vedere come sta mia cugina... Gl'interessi sono una cosa, ma la parentela poi è un'altra... - Dunque, - riprese don Gesualdo, - questa bella pensata di pigliarci sottomano le terre del comune chi l'ha fatta? Allora non fu più il caso di fingere. Donna Giuseppina tornò a discorrere del fermento che c'era in paese, della rivoluzione che minacciavano. Il barone Zacco si agitò, facendo segno col capo a don Gesualdo. - Eh? eh? Cosa vi ho detto or ora?... - Infine... - conchiuse donna Giuseppina, - è meglio parlarci chiaro e darci la mano tutti quelli che abbiamo da perdere... E tornò su quella birbonata di sminuzzare le terre del comune fra i più poveri, in tante briciole, un pizzico per ciascuno, che non fa male a nessuno!... Essa rideva così che le ballava il ventre dalla bile. - Ah??? - esclamò il barone pavonazzo in viso, e cogli occhi fuori dell'orbita. - Ah??? - E non disse altro. Don Gesualdo rideva anche lui. - Ah? voi ridete, ah? - Cosa volete che faccia? Non me ne importa nulla, vi dico! Donna Giuseppina rimase stupefatta: - Come!... voi!... - Quindi lo tirò in disparte, vicino al canterano dov'era l'orologio fermo, parlandogli piano, con le mani negli occhi. Don Gesualdo stava zitto, lisciandosi il mento, con quel risolino calmo che faceva schiattare la gente. I due baroni da lontano tenevano gli occhi fissi su di lui, come due mastini. Infine egli scosse il capo. - No! no! Ditegli al canonico Lupi che denari non ne metto fuori più per simili pasticci. Le terre se le pigli chi vuole... Io ho le mie... Gli altri gli si rivoltarono contro tutti d'accordo, vociando, eccitandosi l'un l'altro. Zacco, adesso che aveva capito di che si trattava, scalmanavasi più di tutti: - Una pensata seria! Da uomo con tanto di barba! Il miglior modo per evitare quella birbonata di dividere fra i nullatenenti i fondi del comune!... Capite?... Allora vuol dire che il mio non è più mio, e ciascuno vuole la sua parte!... - Don Gesualdo, duro, scrollava il capo; badava a ripetere: - No! no! non mi ci pigliano! - Tutt'a un tratto il barone Zacco afferrò don Ninì per la sciarpa e lo spinse verso il canapè quasi volesse mangiarselo, sussurrandogli nell'orecchio: - Volete sentirla? Volete che ve la canti? È segno che quello lì ci ha il suo fine per farci rimaner tutti quanti siamo con tanto di naso!... Lo conosco!... Le signore Zacco allo strepito s'erano affacciate sull'uscio dell'anticamera. Successe un istante d'imbarazzo fra i parenti. Zacco e don Ninì si calmarono di botto, tornando cerimoniosi. - Scusate! scusate! La cugina Bianca crederà chissà cosa, al sentirci gridare... per nulla poi!... - Zacco sorrideva bonariamente, con la faccia ancora infocata. Don Ninì s'avvolgeva di nuovo la sciarpa al collo. Sua moglie, col sorriso amabile lei pure, tolse commiato. - Tanti saluti a donna Bianca... Non vogliamo disturbarla... Speriamo che la Madonna abbia a fare il miracolo... - Don Ninì con la bocca coperta grugnì anche lui qualche parola che non poté udirsi. - Un momento. Vengo con voi, - esclamò Zacco. - E fingendo di cercare il cappello e la canna d'India s'accostò a don Gesualdo nel buio dell'anticamera. - Sentite... Fate male, in parola d'onore! Quella è una proposta seria!... Fate male a non intendervi col barone Rubiera!... - No, non voglio impicci!... Ho tanti altri fastidi pel capo!... Poi, mia moglie ha detto di no. Avete udito voi stesso. Il barone stava per montare in furia davvero! - Ah!... vostra moglie?... Le date retta quando vi accomoda! - Ma cambiò tono subito. - Del resto fate voi!... Fate voi, amico mio!... Aspettate, don Ninì. Veniamo subito. - Sua moglie non la finiva più. Sembrava che non potesse staccarsi dal letto dell'ammalata, rincalzando la coperta, sprimacciandole il guanciale, mettendole sotto mano il bicchier d'acqua e le medicine, con la faccia lunga, sospirando, biasciando avemarie. Voleva pure che restasse la sua ragazza ad assistere la notte, se mai. Donna Lavinia acconsentiva di tutto cuore, dandosi da fare anche essa, premurosa, impadronendosi già delle chiavi, vigilando

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Argomenti: risolino calmo,    sorriso amabile

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