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Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 25trovare una sola parola. Don Ferdinando non fiatava neppur lui, atterrito che don Diego non riuscisse a persuader Banca. - Cosa volete che dica? - esclamò la zia. - Vi pare un bell'avvenire quello d'invecchiare come voialtri... fra tante angustie?... Scusatemi, ne parlo perché siamo parenti... Fo quel che posso anch'io per aiutarvi... ma non è una bella cosa infine neanche per voialtri... Ed ora che vi si offre la fortuna, risponderle con un calcio... Scusatemi, io la direi una porcheria! Tutt'a un tratto don Diego si mise a ridere, quasi colpito da un'ispirazione, ammiccando dell'occhio, fregandosi le mani, con dei cenni del capo che volevano dire assai. - Va bene! va bene!... Non è che questo?... perché ora come ora siamo un po' angustiati?... Ti pesa, di'?... ti pesa questa vita angustiata, povera Bianca?... Hai paura per l'avvenire?... Si fregò il mento peloso colla mano ischeletrita, seguitando ad ammiccare, cercando di rendere furbo il sorriso pallido. - Vieni qua... Non ti dico altro! .. Anche voi, zia!... Venite a vedere!... S'arrampicò tutto tremante su di una seggiola per aprire un armadietto ch'era nel muro, al di sopra della finestra, e ne tirò fuori mucchi di scartafacci e di pergamene - le carte della lite - quella che doveva essere la gran risorsa della famiglia, quando avessero avuto i denari per far valere le loro ragioni contro il Re di Spagna: dei volumi gialli, logori e polverosi, che lo facevano tossire a ogni voltar di pagina. Sul letto era pure sciorinato un grand'albero genealogico, come un lenzuolo: l'albero della famiglia che bagnava le radici nel sangue di un re libertino, come portava il suo stemma - di rosso, con tre gigli d'oro, su sbarra del medesimo, e il motto che glorificava il fallo della prima autrice: Virtutem a sanguine traho. S'era messi gli occhiali, appoggiando i gomiti sulla sponda del lettuccio, bocconi, cogli occhi che si accendevano in fondo alle orbite livide. - Son seicent'anni d'interessi che ci devono!... Una bella somma!... Uscirete d'ogni guaio una volta per sempre!... Bianca era cresciuta in mezzo a simili discorsi che aiutavano a passare i giorni tristi. Aveva veduto sempre quei libracci sparsi sulle tavole sgangherate e per le sedie zoppe. Così essa non rispose. Suo fratello volse finalmente il capo verso di lei, con un sorriso bonario e malinconico. - Parlo per voialtri... per te e per Ferdinando... Ne godrete voialtri almeno... Quanto a me... io sono arrivato... Tè!... tè la chiave... serbala tu! La zia Sganci, a quei discorsi, da prima scattò come una molla: - Caro nipote, mi sembrate un bambino! - Ma subito si calmò, col sorriso indulgente di chi vuol far capire la ragione proprio a un ragazzo. - Va bene!... va benone!... Intanto maritatela con lo sposo che vi si offre adesso, e poi, se diverrete tanti Cresi, sarà anche meglio. Don Diego rimase interdetto al vedere che la sorella non prendeva la chiave, e tornò daccapo: - Anche tu, Bianca?... Dici di sì anche tu?... Essa, accasciata sulla seggiola, chinò il capo in silenzio. - E va bene!... Giacché tu lo vuoi.. giacché non hai il coraggio di aspettare... Donna Mariannina seguitava a perorare la causa di don Gesualdo, dicendo ch'era un affare d'oro quel matrimonio, una fortuna per tutti loro; congratulandosi con la nipote la quale fissava fuori dalla finestra, cogli occhi lucenti di lagrime; rivolgendosi financo a don Ferdinando che guardava tutti quanti ad uno ad uno, sbalordito; battendo sulle spalle di don Diego il quale sembrava che non udisse, cogli occhi inchiodati sulla sorella e un tremito per tutta la persona. A un certo punto egli interruppe la zia, balbettando: - Lasciatemi solo con Bianca... Devo dirle due parole... Lasciateci soli... Essa alzò gli occhi sbigottita, faccia a faccia col fratello che sembrava un cadavere, dopo che la zia e don Ferdinando furono usciti. Il pover'uomo esitò ancora prima di aggiungere quel che gli restava a dire, fissando la sorella con un dolore più pungente e profondo. Poscia le afferrò le mani, agitando il capo, movendo le labbra senza arrivare a profferir parola. - Dimmi la verità, Bianca!... Perché vuoi andartene dalla tua casa?... Perché vuoi lasciare i tuoi fratelli?... Lo so! lo so!... Per quell'altro!... Ti vergogni a stare con noi, dopo la disgrazia che t'è capitata!... Continuava ad accennare del capo, con uno struggimento immenso nell'accento e nel viso, colle lagrime amare che gli scendevano fra i peli ispidi e grigi della barba. - Dio perdona... Ferdinando non sa nulla!... Io... io... Bianca!... Come una figliuola ti voglio bene!... Mia figlia sei... Bianca!... Tacque sopraffatto da uno scoppio di pianto. Ella più morta che viva scosse il capo lentamente e biascicò: - No... no... Non è per questo... Don Diego lasciò ricadere adagio adagio le mani della sorella, quasi un abisso si scavasse fra di loro. - Allora!... Fa quello che vuoi... fa quello che vuoi... E le volse le spalle, curvo, senza aggiunger altro, strascicando le gambe. VII Nella casa antica dei La Gurna, presa in affitto da don Gesualdo Motta, s'aspettavano gli sposi. Davanti alla porta c'era un crocchio di monelli, che il ragazzo di Burgio, in qualità di parente, s'affannava a tener discosti, minacciandoli con una bacchettina; la scala sparsa di foglie d'arancio; un lume a quattro becchi posato sulla ringhiera del pianerottolo; e Brasi Camauro, con una cacciatora di panno blù, la camicia di bucato, gli stivali nuovi, che dava l'ultimo colpo di scopa nel portone imbiancato di fresco. A ogni momento succedeva un falso allarme. I ragazzi gridavano: - Eccoli! eccoli! - Camauro lasciava la scopa, e della gente si affacciava ai balconi illuminati. Verso un'ora di notte arrivò il marchese Limòli, facendosi largo colla canna d'India. Vide il lume, vide le foglie d'arancio, e disse: - Bravo! - Ma nel salire le scale, stava per rompersi l'osso del collo, e allora scappò anche a bestemmiare: - Che bestie!... Han fatto un mondezzaio!... Brasi corse colla scopa. - Spazzo via tutto, signor marchese? Butto via ogni cosa? - No, no!... Adesso son passato. Non grattar troppo colla scopa, piuttosto... Si sente l'odor di stalla. Udendo delle voci, Santo Motta che aspettava di sopra, vestito di nuovo, coi pantaloni a staffe e un panciotto di raso a fiori, si affacciò nel pianerottolo, infilandosi la giamberga. - Eccomi! eccomi!... Sono qui!... Ah, signor marchese!... bacio le mani!... E rimase un po' confuso, non vedendo altri che il Limòli. - Servo, servo, caro don Santo!... Non baciate più nulla... ora siamo parenti. In cima alla scala comparve anche donna Sara Cirmena, la sola di tutto il parentado della sposa che si fosse degnata di venire, con un moggio di fiori finti in testa, il vestito di seta che aveva preso le pieghe come la carta, nel cassettone, i pendagli di famiglia che le strappavano le orecchie, seccata di aspettare da un gran pezzo in un bagno di sudore, e si mise a strillare di lassù: - Ma che fanno? C'è qualche altra novità? - Nulla, nulla, - rispose il marchese salendo adagio adagio. - Son uscito prima per non far vedere ch'ero solo in chiesa, di tutti i parenti... Son venuto a dare un'occhiata. Don Gesualdo aveva fatto delle spese: mobili nuovi, fatti venire apposta da Catania, specchi con le cornici dorate, sedie imbottite, dei lumi con le campane di cristallo: una fila di stanze illuminate, che viste così, con tutti gli usci spalancati, pareva di guardare nella lente di un cosmorama. Don Santo precedeva facendo la spiegazione, tirando in su ogni momento le maniche che gli arrivavano alla punta delle dita. - Come? Non c'è nessuno ancora? - esclamò il marchese, giunti che furono nella camera nuziale, parata come un altare. Compare Santo rannicchiò il capo nel bavero di velluto, al pari di una testuggine. - Per me non manca... Io son qui dall'avemaria... Tutto è pronto... - Credevo di trovare almeno gli altri parenti... Mastro Nunzio... vostra sorella... - Nossignore... si Tag: don bianca capo bene marchese vuoi sorella zia nulla Argomenti: caro don, santo motta, compare santo, sorriso bonario, don santo Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il benefattore di Luigi Capuana Libro proibito di Antonio Ghislanzoni Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni La via del rifugio di Guido Gozzano Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Sardegna: le spiagge più belle Merendine industriali: verità e pregiudizi Capo Verde, un'oasi di mare a due ore di aereo da casa Il furetto a grandi linee L'abbigliamento giusto per il teatro
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