Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 37

Testo di pubblico dominio

Carmine?... un pezzo che ti fa gola! Infine compare Nardo riuscì a metterli d'accordo sulla chiusa del Carmine. - Corpo di Giuda! La roba serve per queste occasioni... carceri, malattie e persecuzioni... Voi l'avete fatta, don Gesualdo, e serve per salvare la vostra pelle... Don Gesualdo con una faccia da funerale brontolò: - Parla! Sbraita! Hai ragione! Adesso hai ragione tu! - Considerate dunque il vostro prossimo, vossignoria! La moglie da mantenere... I figli che nasceranno... Se mi tornano a casa anche gli altri... quelli che son venuti prima, bisogna mantenerli come fossero miei... perché sono il marito di Diodata... La gente dirà magari che li ho messi al mondo io!... - Basta! basta! Se t'ho detto di sì per la chiusa! - Parola di galantuomo? Davanti a questi testimoni? Quand'è così... giacché mi dite che siete venuto soltanto per salvare la pelle, potete rimanere tutto il tempo che vi piace. Sono un buon diavolaccio, lo sapete!... S'era fatto tardi. Compare Nanni, completamente rabbonito, propose anche di andare a vedere quel che accadeva fuori: - Voi fate liberamente come se foste in casa vostra, don Gesualdo... Compare Nardo verrà con me. Al ritorno, per segnale, busserò tre colpi all'uscio. Ma se no, non aprite neanche al diavolo. Era un terrore pel paese: porte e finestre ancora chiuse, Compagni d'Arme per le vie, rumore di sciabole e di speroni. Le signorine Margarone, in fronzoli e colla testa irta di ciambelle come un fuoco d'artificio, correvano ogni momento al balcone. Don Filippo, tronfio e pettoruto, se ne stava adesso seduto nel Caffè dei Nobili, insieme al Capitano Giustiziere e l'Avvocato Fiscale, facendo tremare chi passava colla sola guardatura. Nella stalla di don Gesualdo dei trabanti governavano i cavalli, e il Comandante fumava al balcone, in pantofole, come in casa sua. Nanni l'Orbo tornò ridendo a crepapelle. Prima di entrare però bussò al modo che aveva detto, tossì, si soffiò il naso, pure si trattenne un po' a discorrere ad alta voce con una vicina che si pettinava sul ballatoio. Don Gesualdo stava mangiando una insalata di cipolle, onde prevenire qualche malattia causata dallo spavento. - Prosit! prosit, don Gesualdo! A casa vostra ci ho trovato dei forestieri, tale e quale come voi qui da me. Il barone Zacco corre ancora!... L'hanno visto prima dell'alba più in là di Passaneto, figuratevi! a casa del diavolo!... dietro una siepe, più morto che vivo!... Sua moglie fa come una pazza... Sono stato anche a cercare del notaro Neri, se s'ha a scrivere due parole della chiusa del Carmine che date a mia moglie pei servizi prestati... Non che non mi fidi... sapete bene... per la vita e per la morte. Nessuno l'ha più visto, il notaro! Dicono ch'è nascosto nel monastero di San Sebastiano... vestito da donna... sissignore!... Gli sbirri cercano da per tutto! Ma qui non avete da temere, vossignoria!... Udite? udite? Sembrava che si divertisse a fare agghiacciare il sangue nelle vene al prossimo suo, quel briccone! Udivasi infatti un vocìo di comari, un correre di scarponi grossi, strilli di ragazzi. Diodata s'arrampicò sino all'abbaino del granaio per vedere. Poi Nanni venne a dire: - È il viatico, Dio liberi!... Va in su verso sant'Agata. Ho visto il canonico Lupi che portava il Signore... cogli occhi a terra!... una faccia da santo, com'è vero Iddio! - Stasera, appena è scuro, mi farai trovare una cavalcatura laggiù alla Masera, e mi darai qualche cosa da travestirmi; - disse don Gesualdo, che sembrava più smorto alla luce dell'abbaino. - Perché? Non vi piace più lo stare in casa mia? Diodata vi avrebbe fatto qualche mancanza? - No, no... Mi pare mill'anni d'esser lontano... - Qui però non avete da temere... Gli sbirri non vengono a cercarvi qui! A casa vostra piuttosto! Guardatevi!... Infatti Bianca la sera innanzi s'era visto capitare a tre ore di notte il Capitan d'Arme, un bell'uomo colla barba a collana e i baffi alla militare, che recava il biglietto d'alloggio. Bianca, già inquieta per suo marito, non sapendo che fare, aveva mandato a chiamare lo zio Limòli, il quale giunse sbadigliando e di cattivo umore. Invano il Capitan d'Arme, accarezzandosi i baffi che aveva lasciato crescere da poco, le diceva colla voce grossa: - Non temete!... Calmatevi, bella signora!... Noi militari siamo galanti col bel sesso!... - Poi - aggiunse il marchese - questi qua sono militari per modo di dire; come io ho fatto il voto di castità perché sono cavaliere di Malta. Il Capitano si accigliò, ma l'altro, senza accorgersene, continuò, battendogli familiarmente sulla spalla: - Vi conosco, don Bastiano!... Eravate piccolo così, colle brache aperte, quando si faceva delle scappatelle insieme a vostro padre... Allora il voto mi dava noia come vi dà noia adesso quella stadera che portate appesa al fianco... Bei tempi!... Bell'uomo vostro padre! Il cuore e la borsa sempre aperti!... Don Marcantonio Stangafame!... dei Stangafame di Ragusa!... una delle prime famiglie della Contea! Peccato che siate in tanti! L'avete indovinata a farvi nominare Capitan d'Arme!... Quattrocent'onze all'anno, per rispondere dei furti campestri... È una bella somma... Vi rimane in tasca tale e quale... poiché il territorio è tranquillo!... Una bagattella soltanto pei dodici soldati che vi tocca mantenere... due tarì al giorno per ciascuno, eh?... - Basta, corpo di... bacco!... - gridò il Capitan d'Arme battendo in terra la sciabola. - Sembrami che vogliate burlarvi di me, corpo di... bacco! - Ehi, ehi! Adagio, signor capitano! Sono il marchese Limòli, e ho ancora degli amici a Napoli per farvi scapitanare e tagliare i baffi novelli, sapete! Capitò in quel momento il ragazzetto del sagrestano che veniva a fare un'imbasciata di gran premura, balbettando, imbrogliandosi, tornando sempre a ripetere la stessa cosa, rosso dalla suggezione. Il marchese, che cominciava a farsi un po' sordo, tendeva l'orecchio, gli faceva dei versacci, lo intimidiva maggiormente strillando: - Eh? che diavolo vuoi? Ma Bianca mise un grido straziante, un grido che fece rimanere lo zio a bocca aperta, e scappò per la casa cercando il manto, cercando qualcosa da buttarsi in capo, per uscire di casa, per correre subito. III Da gran tempo, ogni giorno, alla stessa ora, donna Giuseppina Alòsi che stava al balcone facendo la calza per aspettare la passata di Peperito, don Filippo Margarone mentre rivoltava la conserva di pomidoro posta ad asciugare sul terrazzo, l'arciprete Bugno nell'appendere al fresco la gabbia del canerino, fin coloro che stavano a sbadigliare nella farmacia di Bomma, se volgevano gli occhi in su, verso il Castello, al di sopra de' tetti, solevano vedere don Diego e don Ferdinando Trao, uno dopo l'altro, che facevano capolino a una finestra, guardinghi, volgevano poi un'occhiata a destra, un'altra a sinistra, guardavano in aria, e ritiravano il capo come la lumaca. Dopo qualche minuto infine aprivasi il balcone grande, stridendo, tentennando, a spinte e a riprese, e compariva don Diego, curvo, macilento, col berretto di cotone calcato sino alle orecchie, tossendo, sputando, tenendosi all'inferriata con una mano; e dietro di lui don Ferdinando che portava l'annaffiatoio, giallo, allampanato, un vero fantasma. Don Diego annaffiava, nettava, rimondava i fiori di Bianca; si chinava a raccattare i seccumi e le foglie vizze; rimescolava la terra con un coccio; passava in rivista i bocciuoli nuovi, e li covava cogli occhi. Don Ferdinando lo seguiva passo passo, attentissimo; accostava anche lui il viso scialbo a ciascuna pianta, aguzzando il muso, aggrottando le sopracciglia. Poscia appoggiavano i gomiti alla ringhiera, e rimanevano come due galline appollaiate sul medesimo bastone, voltando il capo ora di qua e ora di là, a seconda che giungeva la mula di massaro Fortunato Burgio carica di grano, o saliva dal Rosario la ragazza che vendeva ova, oppure la moglie del sagrestano attraversava la piazzetta per andare a suonare l'avemaria. Don

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Argomenti: tre ore,    due parole,    due tarì

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