Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 10

Testo di pubblico dominio

l'angolo della bocca, dove erano due pieghe dolorose, gli occhi spalancati e lucenti, quasi umidi. Soltanto la mano colla quale appoggiavasi alla spalliera della seggiola era un po' tremante, e l'altra distesa lungo il fianco si apriva e chiudeva macchinalmente: delle mani scarne e bianche che spasimavano. - Viva il santo Patrono! Viva san Gregorio Magno! - Nella folla, laggiù in piazza, il canonico Lupi, il quale urlava come un ossesso, in mezzo ai contadini, e gesticolava verso i balconi del palazzo Sganci, col viso in su, chiamando ad alta voce i conoscenti: - Donna Marianna?... Eh?... eh?... Dev'esserne contento il baronello Rubiera!... Baronello? don Ninì? siete contento?... Vi saluto, don Gesualdo! Bravo! bravo! Siete lì?... - Poi corse di sopra a precipizio, scalmanato, rosso in viso, col fiato ai denti, la sottana rimboccata, il mantello e il nicchio sotto l'ascella, le mani sudice di polvere, in un mare di sudore: - Che festa, eh! signora Sganci! - Intanto chiamava don Giuseppe Barabba che gli portasse un bicchier d'acqua: - Muoio dalla sete, donna Marianna! Che bei fuochi, eh?... Circa duemila razzi! Ne ho accesi più di duecento con le mie mani sole. Guardate che mani, signor marchese!... Ah, siete qui, don Gesualdo? Bene! bene! Don Giuseppe? Chissà dove si sarà cacciato quel vecchio stolido di don Giuseppe? Don Giuseppe era salito in soffitta, per vedere i fuochi dall'abbaino, a rischio di precipitare in piazza. Comparve finalmente, col bicchier d'acqua, tutto impolverato e coperto di ragnateli, dopo che la padrona e il canonico Lupi si furono sgolati a chiamarlo per ogni stanza. Il canonico Lupi, ch'era di casa, gli diede anche una lavata di capo. Poscia, voltandosi verso mastro-don Gesualdo, con una faccia tutta sorridente: - Bravo, bravo, don Gesualdo! Son contentone di vedervi qui. La signora Sganci mi diceva da un pezzo: l'anno venturo voglio che don Gesualdo venga in casa mia, a vedere la processione! Il marchese Limòli, il quale aveva salutato gentilmente il santo Patrono al suo passaggio, inchinandosi sulla spalliera della seggiola, raddrizzò la schiena facendo una boccaccia. - Ahi! ahi!... Se Dio vuole è passata anche questa!... Chi campa tutto l'anno vede tutte le feste. - Ma di veder ciò che avete visto stavolta non ve l'aspettate più! - sogghignava il barone Zacco, accennando a mastro-don Gesualdo. - No! no! Me lo rammento coi sassi in spalla... e le spalle lacere!... sul ponte delle fabbriche, quest'amicone mio con cui oggi ci troviamo qui, a tu per tu!... Però la padrona di casa era tutta cortesie per mastro-don Gesualdo. Ora che il santo aveva imboccato la via di casa sua sembrava che la festa fosse per lui: donna Marianna parlandogli di questo e di quello; il canonico Lupi battendogli sulla spalla; la Macrì che gli aveva ceduto persino il posto; don Filippo Margarone anche lui gli lasciava cadere dall'alto del cravattone complimenti simili a questi: - Il nascer grandi è caso, e non virtù!... Venire su dal nulla, qui sta il vero merito! Il primo mulino che avete costruito in appalto, eh? coi denari presi in prestito al venti per cento!... - Sì signore, - rispose tranquillamente don Gesualdo. - Non chiudevo occhio, la notte. L'arciprete Bugno, ingelosito dei salamelecchi fatti a un altro, dopo tutti quegli spari, quelle grida, quel fracasso che gli parevano dedicati un po' anche a lui, come capo della chiesa, era riuscito a farsi un po' di crocchio attorno pur esso, discorrendo dei meriti del santo Patrono: un gran santo!... e una gran bella statua... I forestieri venivano apposta per vederla... Degli inglesi, s'era risaputo poi, l'avrebbero pagata a peso d'oro, onde portarsela laggiù, fra i loro idoli... Il marchese che stava per iscoppiare, l'interruppe alla fine: - Ma che sciocchezze!... Chi ve le dà a bere, don Calogero? La statua è di cartapesta... una brutta cosa!... I topi ci hanno fatto dentro il nido... Le gioie?... Eh! eh! non arricchirebbero neppur me, figuratevi! Vetro colorato... come tante altre che se ne vedono!... un fantoccio da carnevale!... Eh? Cosa dite?... Sì, un sacrilegio! Il mastro che fece quel santo dev'essere a casa del diavolo... Non parlo del santo ch'è in paradiso... Lo so, è un'altra cosa... Basta la fede... Son cristiano anch'io, che diavolo!... e me ne vanto...! La signora Capitana affettava di guardare con insistenza la collana di donna Giuseppina Alòsi, nel tempo stesso che rimproverava il marchese: - Libertino!... Libertino! - Peperito s'era tappate le orecchie. L'arciprete Bugno ricominciò daccapo: - Una statua d'autore!... Il Re, Dio guardi, voleva venderla al tempo della guerra coi giacobini!... Un santo miracoloso!... - Che c'è di nuovo, don Gesualdo? - gridò infine il marchese ristucco, con la vocetta fessa, voltando le spalle all'arciprete. - Abbiamo qualche affare in aria? Il barone Zacco si mise a ridere forte, cogli occhi che schizzavano fuori dell'orbita; ma l'altro, un po' stordito dalla ressa che gli si faceva attorno, non rispose. - A me potete dirlo, caro mio, - riprese il vecchietto malizioso. - Non avete a temere che vi faccia la concorrenza, io! Al battibecco si divertivano anche coloro che non gliene importava nulla. Il barone Zacco, poi, figuriamoci! - Eh! eh! marchese!... Voi non la fate, la concorrenza?... Eh! eh!... Mastro-don Gesualdo volse un'occhiata in giro su tutta quella gente che rideva, e rispose tranquillamente: - Che volete, signor marchese?... Ciascuno fa quel che può... - Fate, fate, amico mio. Quanto a me, non ho di che lagnarmene... Don Giuseppe Barabba si avvicinò in punta di piedi alla padrona, e le disse in un orecchio, con gran mistero: - Devo portare i sorbetti, ora ch'è passata la processione? - Un momento! un momento! - interruppe il canonico Lupi, - lasciatemi lavar le mani. - Se non li porto subito, - aggiunse il servitore, - se ne vanno tutti in broda. È un pezzo che li ha mandati Giacinto, ed eran già quasi strutti. - Va bene, va bene... Bianca? - Zia... - Fammi il piacere, aiutami un po' tu. Dall'uscio spalancato a due battenti entrarono poco dopo don Giuseppe e mastro Titta, il barbiere di casa, carichi di due gran vassoi d'argento che sgocciolavano; e cominciarono a fare il giro degli invitati, passo passo, come la processione anch'essi. Prima l'arciprete, donna Giuseppina Alòsi, la Capitana, gli invitati di maggior riguardo. Il canonico Lupi diede una gomitata al barbiere, il quale passava dinanzi a mastro-don Gesualdo senza fermarsi. - Che so io?... Se ne vedono di nuove adesso!.... brontolò mastro Titta. Il ragazzo dei Margarone ficcava le dita dappertutto. - Zio?... - Grazie, cara Bianca... Ci ho la tosse... Sono invalido... come tuo fratello... - Donna Bellonia, lì, sul balcone! - suggerì la zia Sganci, la quale si sbracciava anche lei a servire gli invitati. Dopo il primo movimento generale, un manovrar di seggiole per schivare la pioggia di sciroppo, erano seguiti alcuni istanti di raccoglimento, un acciottolìo discreto di piattelli, un lavorar guardingo e tacito di cucchiai, come fosse una cerimonia solenne. Donna Mita Margarone, ghiotta, senza levare il naso dal piatto. Barabba e mastro Titta in disparte, posati i vassoi, si asciugavano il sudore coi fazzoletti di cotone. Il baronello Rubiera il quale stava discorrendo in un cantuccio del balcone grande naso a naso con donna Fifì, guardandosi negli occhi, degli occhi che si struggevano come i sorbetti, si scostò bruscamente al veder comparire la cugina, scolorandosi un po' in viso. Donna Bellonia prese il piattino dalle mani di Bianca, inchinandosi goffamente: - Quante gentilezze!... è troppo! è troppo! La figliuola finse di accorgersi soltanto allora della sua amica: - Oh, Bianca... sei qui?... che piacere!... M'avevano detto ch'eri ammalata... - Sì... un po'... Adesso sto bene... - Si vede... Hai bella cera... E un bel vestitino anche... semplice!... ma grazioso!... Donna Fifì si chinò fingendo d'osservare la stoffa, onde far luccicare

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