Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 11

Testo di pubblico dominio

i topazii che aveva al collo. Bianca rispose, facendosi rossa: - È di lanetta... un regalo della zia... - Ah!... ah!... Il baronello ch'era sulle spine propose di rientrare in sala: - Comincia ad esser umido... Piglieremo qualche malanno... - Sì!... Fifì! Fifì! - disse la signora Margarone. Donna Fifì dovette seguire la mamma, coll'andatura cascante che le sembrava molto sentimentale, la testolina alquanto piegata sull'omero, le palpebre che battevano, colpite dalla luce più viva, sugli occhi illanguiditi come avesse sonno. Bianca posò la mano sul braccio del cugino, il quale stava per svignarsela anche lui dal balcone, dolcemente, come una carezza, come una preghiera; tremava tutta, colla voce soffocata nella gola: - Ninì!... Senti, Ninì!... fammi la carità!... Una parola sola!... Son venuta apposta... Se non ti parlo qui è finita per me... è finita!... - Bada!... c'è tanta gente!.... esclamò sottovoce il cugino, guardando di qua e di là cogli occhi che fuggivano. Ella gli teneva fissi addosso i begli occhi supplichevoli, con un grande sconforto, un grande abbandono doloroso in tutta la persona, nel viso pallido e disfatto, nell'atteggiamento umile, nelle braccia inerti che si aprivano desolate. - Cosa mi rispondi, Ninì?... Cosa mi dici di fare?... Vedi... sono nelle tue braccia... come l'Addolorata!... Egli allora cominciò a darsi dei pugni nella testa, commosso, col cuore gonfio anch'esso, badando a non far strepito e che non sopraggiungesse nessuno nel balcone. Bianca gli fermò la mano. - Hai ragione!... siamo due disgraziati!... Mia madre non mi lascia padrone neanche di soffiarmi il naso!... Capisci? capisci?... Ti pare che non ci pensi a te?... Ti pare che non ci pensi?... La notte... non chiudo occhio!... Sono un povero disgraziato!... La gente mi crede felice e contento... Guardava giù nella piazza, ora spopolata, onde evitare gli occhi disperati della cugina che gli passavano il cuore, addolorato, cogli occhi quasi umidi anch'esso. - Vedi? - soggiunse. - Vorrei essere un povero diavolo... come Santo Motta, laggiù!... nell'osteria di Pecu-Pecu... Povero e contento!... - La zia non vuole? - No, non vuole!... Che posso farci?... Essa è la padrona! Si udiva nella sala la voce del barone Zacco, che disputava, alterato; e poi, nei momenti ch'esso taceva, il cicaleccio delle signore, come un passeraio, con la risatina squillante della signora Capitana, che faceva da ottavino. - Bisogna confessarle tutto, alla zia!... Don Ninì allungò il collo verso il vano del balcone, guardingo. Poscia rispose, abbassando ancora la voce: - Gliel'ha detto tuo fratello... C'è stato un casa del diavolo!... Non lo sapevi? Don Giuseppe Barabba venne sul balcone portando un piattello su ciascuna mano. - Donna Bianca, dice la zia... prima che si finiscano... - Grazie; mettetelo lì, su quel vaso di fiori.. - Bisogna far presto, donna Bianca. Non ce n'è quasi più. Don Ninì allora mise il naso nel piattello, fingendo di non badare ad altro: - Tu non ne vuoi? Essa non rispose. Dopo un po', quando il servitore non era più lì, si udì di nuovo la voce sorda di lei: - È vero che ti mariti? - Io?... - Tu... con Fifì Margarone... - Non è vero... chi te l'ha detto?... - Tutti lo dicono. - Io non vorrei... È mia madre che si è messa in testa questa cosa... Anche tu... dicono che vogliono farti sposare don Gesualdo Motta. - Io?... - Sì, tutti lo dicono... la zia... mia madre stessa... Si affacciò un istante donna Giuseppina Alòsi, come cercando qualcheduno; e vedendo i due giovani in fondo al balcone, rientrò subito nella sala. - Vedi? vedi? - disse lui. - Abbiamo tutti gli occhi addosso!... Piglia il sorbetto... per amor mio... per la gente che ci osserva... Abbiamo tutti gli occhi addosso!... Essa prese dolcemente dalle mani di lui il piattino che aveva fatto posare sul vaso dei garofani; ma tremava così che due o tre volte si udì il tintinnìo del cucchiaino il quale urtava contro il bicchiere. Barabba corse subito dicendo: - Eccomi! eccomi! - Un momento! Un momento ancora, don Giuseppe! Il baronello avrebbe pagato qualcosa di tasca sua per trattenere Barabba sul balcone. - Come vi tratta la festa, don Giuseppe? - Che volete, signor barone?... Tutto sulle mie spalle!... la casa da mettere in ordine, le fodere da togliere, i lumi da preparare... Donna Bianca, qui, può dirlo, che mi ha dato una mano. Mastro Titta fu chiamato solo pel trattamento. E domani poi devo tornare a scopare e rimettere le fodere... Don Giuseppe seguitando a brontolare se ne andò coi bicchieri vuoti. Dalla sala arrivò il suono di una sghignazzata generale, subito dopo qualcosa che aveva detto il notaro Neri, e che non si poté intender bene perché il notaro quando le diceva grosse abbassava la voce. - Rientriamo anche noi, - disse il baronello. - Per allontanare i sospetti... Ma Bianca non si mosse. Piangeva cheta, nell'ombra; e di tanto in tanto si vedeva il suo fazzoletto bianco salire verso gli occhi. - Ecco!... Sei tu che fai parlare la gente! - scappò detto al cugino ch'era sulle spine. - Che te ne importa? - rispose lei. - Che te ne importa?... Oramai!... - Sì! sì!... Credi che non ti voglia più bene?... Uno struggimento, un'amarezza sconfinata venivano dall'ampia distesa nera dell'Alìa, dirimpetto, al di là delle case dei Barresi, dalle vigne e gli oliveti di Giolio, che si indovinavano confusamente, oltre la via del Rosario ancora formicolante di lumi, dal lungo altipiano del Casalgilardo, rotto dall'alta cantonata del Collegio, dal cielo profondo, ricamato di stelle - una più lucente, lassù, che sembrava guardasse, fredda, triste, solitaria. Il rumore della festa si dileguava e moriva lassù, verso San Vito. Un silenzio desolato cadeva di tanto in tanto, un silenzio che stringeva il cuore. Bianca era ritta contro il muro, immobile; le mani e il viso smorti di lei sembravano vacillare al chiarore incerto che saliva dal banco del venditore di torrone. Il cugino stava appoggiato alla ringhiera, fingendo di osservare attentamente l'uomo che andava spegnendo la luminaria, nella piazza deserta, e il giovane del paratore, il quale correva su e giù per l'impalcato della musica, come un gattone nero, schiodando, martellando, buttando giù i festoni e le ghirlande di carta. I razzi che scappavano ancora di tratto in tratto, lontano, dietro la massa nera del Palazzo di Città, i colpi di martello del paratore, le grida più rare, stanche e avvinazzate, sembravano spegnersi lontano, nella vasta campagna solitaria. Insieme all'acre odore di polvere che dileguava, andava sorgendo un dolce odor di garofani; passava della gente cantando; udivasi un baccano di chiacchiere e di risate nella sala, vicino a loro, nello schianto di quell'ultimo addio senza parole. Nel vano luminoso del balcone passò un'ombra magra, e si udì la tosserella del marchese Limòli: - Eh, eh, ragazzi!... benedetti voialtri!... Sono venuto a veder la festa... ora ch'è passata... Bianca. nipote mia... bada che l'aria della sera ti farà male... - No, zio, - rispose lei con voce sorda. - Si soffoca lì dentro. - Pazienza!... Bisogna sempre aver pazienza a questo mondo... Meglio sudare che tossire... Tu, Nino, bada che le signore Margarone stanno per andarsene. - Vado, zio. - Va, va, se no vedrai che denti! Non vorrei averli addosso neppur io!... E sì che non posso fare lo schifiltoso!... Che diavolo gli è saltato in corpo a tua madre, di farti sposare quei denti?... - Ah... zio!... - Sei uno sciocco! Dovresti lasciarle fare il diavolo a quattro quanto le pare e piace, a tua madre!... Sei figlio unico!... A chi vuoi che lasci la roba dopo la sua morte? - Eh... da qui a trent'anni!... Il tempo di crepare di fame intanto!... Mia madre sta meglio di voi e di me, e può campare ancora trent'anni!... - È vero! - rispose il marchese. - Tua madre non sarebbe molto contenta di sentirsi lesinare gli anni... Ma è colpa sua. - Ah! zio mio!... Credetemi ch'è un brutto impiccio!... - Càlmati!

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Argomenti: cuore gonfio,    sei figlio,    fazzoletto bianco,    testolina alquanto,    alquanto piegata

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