Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 64

Testo di pubblico dominio

proclama alle otto valli di Laveno, di Cuvio, di Marchirolo, di Gana, di Arcisate, di Stabio, di Malnate e di Vedano, sono milionaria! A dire la verità ho un foglietto dove ho copiato un po' di memorie storiche di Varese—ad esempio:—È antico; forse risale a duemila anni avanti Cristo: fu dominato dai Romani, i quali vi eressero un castello di cui dura la memoria—a Belforte.—Fu saccheggiato dai Goti e dai Longobardi, fece guerra a Como, ebbe un vicario, sei consoli, e castella a Induno, Arcisate, Biandronno distrutti dai milanesi. Solite storie d'ogni comune medioevale. Quello che voglio far notare è che Varese nel 1768 venne da Maria Teresa dato in signoria a Francesco III duca di Modena e a Teresa di Castelbarco.—Non dico altro di cose storiche, cedo la parola all'amico mio, il quale dichiara che a Varese si mangia male e i cuochi sotto la berretta hanno una zucca, non una testa da cristiano…. Ripiglio la parola io perchè non voglio battibecchi tra un'aria così santa e cara e dico che ho deciso per valle di Cuvio di recarmi a Luino. Lasciamo da parte la Madonna che su una gobba di monte spiccata, accompagnata da cappelle e casette, toccata dal sole con color d'oro, fusa dall'ombra con veli paonazzicci deve di lassù vedere il formicolìo degli uomini che s'incontrano colle donne, per le strade di Varese e si vogliono bene: la Madonna deve essere felice quando li vede venir su, su coi muletti, comperandosi le medaglie, baciandosi alla sfuggita…. Non ci montai, quindi nulla posso descrivere. Valcuvio meriterebbe proprio che gli acquarellisti vi si recassero in carovana. La strada, dapprima erta ed elegante, si strozza nelle callaie dei paesi, fra le casette angolose, pittoresche, esce e s'alza, s'abbassa, s'inaridisce su certe coste di macigni ove le tinte ferrugginose luccicano di pagliette d'argento e d'oro, si storce rabbiosamente in certe pieghe di montagna ove proprio c'è la cappelletta, la croce della disgrazia e il mendicante che prega: si fa stretta e si allarga tra i praticelli spianati, coi filari di salci, coll'aria tranquilla della pianura. Non s'incontra dapprima anima nata, tranne quell'accattone. Le capanne sono celate dietro brune cataste di legna, o tra ammassi scaglionati di fascine; frequenti sono le boscaglie, lucidissimi gli stagni d'acqua, sempre gaio il fogliame vicino e aereo, soffice il lontano fuso coi monti, col cielo, con alcune cime nevicate… I punti più deserti sono per il pittore melanconico. Proseguendo verso Luino la valle piana sembra promettere gli agi; infatti sorgono le case e le casette, già imbiancate, già colle vernici. Un torrente scorre tra gli argini, e mansueto, serio, prelude alle ruote di ferro che muoverà: ecco degli stabilimenti a spesse finestre, col tubo, col brontolìo: ecco comparire dei pali, dei fili telegrafici su cui panni veder scorrere dispacci d'inglesi. Presento, vedo i cappelloni col velo bianco e le vesti affagottate, i lords e le miss: qualche venerando pesce grosso si purga i polmoni aspersi dalla natìa fuliggine coll'aria del lago… In quei luoghi dove stampano i talloni piatti i lords e le spesse orme le miss, potete esser certi che vedrete qualcosa: infatti viali larghi fiancheggiati da piante si curvano con dolcissimo meandro. Presentite la curva che li disegna? È il lago: il lago appare, s'apre, si sfonda… Luino alla foce del Margorobbia e del Tresa contempla il bacino, Monti ed acqua! Scendiamo di carrozza. Non c'è più all'orecchio il rotolare monotono dei cerchioni di ferro e i sobbalzi delle molle sconnesse: c'è un fruscio come di raso spazzolato, l'onda che bagna la ghiaia, la ghiaia che sorbe l'onda: nell'intermittenze come dei sospiri gravi. Non sembra di camminare, l'uomo, atomo, è sempre fisso innanzi alla immensa bellezza della natura. C'è per l'occhio un riposo, un piano liscio, levigato tra due catene di monti tutti in pace, c'è per l'anima un cielo terso e limpidissimo. In un attimo si ama tutto e tutto ci parla: la spiaggia ciottolosa, curva, l'arena bagnata, la frangia d'argento dell'onda, il suolo fatto dagli uomini e le case e le ville, e le frane spaccate dal caso. L'aria che viene dai monti, che s'infresca dal lago, che si poetizza dal cielo, entra in noi, scaccia da noi l'animaccia stanca, scettica, cittadina e ci dà un po' dell'anima della natura, col bisogno di salire in alto, coi voli dei desiderii amplissimi, coll'ali della poesia che non ha metro nè rimario!—Si diventa buoni e si ama, si ama, si ama!… Io qui non invito quelli che hanno la bottega nel cuore, nè le donnine che portano sempre lo specchio al servizio delle uniche loro carni bianchissime: non invito la folla che mangia, beve, ride, ma sibbene le anime torturate dai desiderii inesplicabili, affannate dalle spossatezze del deserto, i cuori che hanno amato o che amano! E vengano i nervosi all'idropatia! Le isteriche stancate dell'attendere! le vinte del corpo! Qui si ama, si ama!—E il lago seduce sempre, cantando l'eterna canzone senza esigere la sua gentile senseria.—Qui si combinano dei matrimoni. Spargete i confetti a manciate pei bimbi dei pescatori, e da quelle facciole ridenti e negre traete augurio per i vostri futuri scapatelli!… Rammentando che Luino fu patria dell'angelico Bernardino, lo stupendo pittore che effigiò le sante e gli angeli con sorrisi di cielo, andiamo al molo che serra le acque cupe: il lago flagella i dadi di pietra e il ripicchio si diguazza come stanco di battaglia. Per la via lunata, passati sotto un arco che mostra un poderoso leone di pietra, incontriamo una stradetta montana su un terrapieno: a sinistra il lago, a destra la montagna. È una stradetta non disagiata, non ricca, un tesoro pittoresco, a tratti s'inclina e quasi tocca la ghiaia, a tratto si solleva e mostra giù giù il lago coll'abbagliante luccicare tra i boschetti o col verde intensissimo lungo le coste profonde, o coll'irrequieto spumeggiare attorno agli scogli: più in là la massa azzurra si acquieta, e pare, per così dire, a zone smerigliate dai venti, in là ancora sorgono i castelli di Cannero solitarii, piangenti il romanticismo e l'oblìo: la sponda infine è deserta. Qui dove passeggiamo noi il murello di riparo alla stradetta serpeggia o lumeggiato o smorto in ombra con toni trasparenti, e la montagna affolta boschi e boschetti e sprazza luci sulle zolle, e s'infosca nelle ripiegature delle falde: grotte, acque, fiori, pratelli stiacciati da cumuli di macigni… Oh i monti! Il cittadino che li contempli in un attimo vi ha famigliari, e non c'è pendìo di vallicella ove non sogni d'essere stato già un'altra volta a piangere un dolore: non richiama una gioia definita, ma ricorda d'aver sorriso e spera di sorridere dall'alto di quella cima boscosa, da dove si deve vedere l'altro versante… Di là… Monti e valli e case e gioie e dolori!… Se ha letto un bel libro, sente di doverlo rileggere su quel masso, attraverso quel torrentello, sguazzando sul fondo translucido e sabbioso l'ombrellino… di chi? È un fatto: nei quadretti, e nelle memorie, e nelle speranze compone sempre, direbbero i pittori, una figurina di donna, che ne' suoi occhi sintetizza tutto il linguaggio della natura… Rincorriamoci, o fanciulla: il lago ci invita al bagno: la montagna ci prepara la reazione. E che bagno! Vorrei staccarvi per lenzuolo un lembo azzurro di cielo, ma… E poi corriamo! Corriamo sui massi spaccati, profilati, da dove pendono i ciuffi d'erba, nelle tane, nei bugigattoli, sui cigli di quei muraglioni erti e schistosi, che la grande architettrice ha dipinti coi licheni, lisciati coll'acqua, graffiati coll'azione dei geli… Corriamo! Dove corre il desiderio? Le gambe sono umane, umano il ventre. Su dunque s'incontrano tre o quattro case da pupattola, scheggioni ammucchiati, coll'uscio aperto e la massaia che prepara la cena… Vogliamo cenare cantando la canzone dei pescatori e vedendo il lago a strisce di specchio tra le connessure delle pareti?

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Argomenti: velo bianco,    pesce grosso,    fogliame vicino,    venerando pesce,    stupendo pittore

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