Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 16

Testo di pubblico dominio

un'anima queste parole e con sicurezza.—Coraggio!—-Se mi apparecchia un avvenire sa che c'è quest'anima a benedirmi, a pregare per me. E a Dio mi sono sempre confidato così:—Ella non mi ha fatto male e desiderando sempre che Tu la rendessi felice, io non mi sentivo mai egoista! Ella fu un gentile ideale che mi rifulse nella mestizia di una vita arida e senza scopo: mi accompagnò nella solitudine e negli studi: forse non dimenticò…. Se la mia voce può farvi del bene, Lidia, se questa parola coraggio non vi suona banale da me, se l'espandervi vi sgroppa l'affanno dei giorni tristi, ricordatevi che non siete sola sulla terra, che io vi pongo tra le visioni più pure delle mie ore tranquille, e ardenti, che io credo in Dio e in Voi, che anche le vostre lagrime mi sono care, ch'io credo in Dio ed amo l'amoroso ideale della dolcissima Maria. E mi dico vostro affezionatissimo fratello. 15 febbraio 1879. 19 febbraio.—Amo Lei! Lei! Tutta la mia giornata è per Lei! Studio per Lei, di giorno: studio per Lei, di sera: penso a Lei, di notte! Penso ch'Ella deve essere felice! Ed oggi come sono felice. Dio, credo in Te! Dio, non far morire me, non far morire Lei! Lascia che ci amiamo come fratello e sorella: ci benedici: e ci compensa di quello che abbiamo sofferto, Ella nelle delusioni, io nell'amare solo Lei! Oh come sono felice! Come vorrei che mia madre vedesse queste mie confidenze, per benedirci! Oh quanto amore! E se morissi? Ho visto ieri le ossa dei morti! Chi distingue le ossa di chi ha amato?—Finchè siamo vivi e giovani e puri, Dio è in noi e Dio è l'amore! Perchè si vive? Leggo un po' del mio Tintoretto! Questa copia, gualcita, sporca, su cui ho scritto tante volte per epigrafe i versi di Byron e quelli di Goethe, questa copia l'ho portata con me a Venezia nel 1876 e volevo abbandonarla sulla lapide del Tintoretto. C'era insieme un mio amico, e non ho osato. Oh come ho amato vedendo la pietra del pittore e pensando a Te!—A Verona ero solo: volli andare a Mantova per vedere la città dove Tu eri: alla stazione di Verona comperai dei fiori, li posi nel volumetto del mio Tintoretto a pag. 70 e 71,(9) dove ci sono i pensieri che più mi facevano ricordare di Te, e volevo abbandonare e il dramma e i fiori e il mio pensiero al Mincio che va e va, all'ignoto, a Te…. Mi spaventai, pensando che quella copia potesse essere trovata e compromettere Te! vedi, a quali fantasticaggini da bambino conduce l'amore! Passai dinanzi al palazzo G. pauroso, religioso, raccolto, con amorosissimi pensieri: era illuminato dal sole: certe finestre aperte: nella corte si stava attaccando una carrozza…. Passai, ripassai, pieno di paure, e di memorie e di speranze…. Oh sì! Dio, li hai calcolati quei momenti, perchè ora mi fai tanto felice! * * * Ma l'avvenire! l'avvenire come me lo preparo? Con che lavoro? con che via? 20 febbraio.—È venuta un'ora di sconforto!—Da alcuni giorni sono al Museo Archeologico, colla pretesa di studiare le armi, ma veramente per farmi un po' conoscere dall'alta camorra artistica e municipale e forse mettermi a fare qualcosa. Passo delle ore là, ma adoro le Madonne e penso a te, o Lidia! Che importa a me delle armi rugginose? Quello che mi tormenta è la vita! Soffri tu? Sei nervoso? Sei ardente? È vero amore il mio? Perchè sono tanto infelice? 21 febbraio.—Come sono felice di amarti! Ma perchè sono incatenato?—Sento la poesia: ma oh quante volte penso al positivo, e faccio dei calcoli. Mio padre è ricco: scriverò un dramma per farmi una posizione?! È passato il tempo di queste ingenuità: non è passato l'amore. 23 febbraio.—Alcune volte come mi spavento! Oh potessimo esser felici! Noi due, noi due soli, e una bambina, noi, tranquilli, indifferenti del mondo, religiosi, artisti, casti, felici! I sogni mi stancano con maliarde voluttà: oggi mi sento la testa grave. 24 febbraio.—Ho abbozzato una lettera per Lidia. Trepido e tremo…. Sono io geloso? 25 febbraio.—Come mi spavento in mezzo alla gente, pensando alle mie segrete speranze! Sciocco, ma quella gente moverebbe un dito per alleviarti un dolore? E Tu giovane, scettico e freddo e pieno di posa, sai Tu come mi agghiacci l'anima col tuo cinismo scientifico? Sei artista tu?—Ami tu? O Lidia, che giornata triste! Nevica ed è freddo. Guardo il tuo ritratto e penso.—Quanto ho sofferto dalla sera che io ti vidi, freddolosa, triste, avvolta nello scialle ad oggi! Io ho sofferto per amore! Oh come riderebbero i miei amici! 26 febbraio.—Dio, mi spavento! Sono io sicuro dell'anima mia? 1.° marzo.—Oggi sono felice. Da due giorni ero nervoso e spaventato. Ho letto ieri in un libro del Michelet: «Due persone che si amano spendono assai meno di uno solo che vuol dimenticare.»—E che idee nobili, pratiche, scientifiche! Quelle pagine mi hanno consolato.—È sabbato grasso. Ieri a sera non sono andato al veglione della Scala: sarebbe stato un insulto a Lei che soffre. Oggi sono felice! 2 marzo.—Sono freddoloso e sonnolento. Sono stato alle feste del Giardino. Ho avuto vicino, vicinissimo a me una sposina dalle spalle, dal seno nudo, ridente, allegra. Ho finito di dire a me stesso:—È mia moglie? Posso amarla?—La trovai gentile, perchè donna, la guardai, mi sentii buono e onesto, ma… potrei dimenticarti, o Lidia? No! Ieri il mio tormento fu grande. I pensieri mi bollivano nella testa, si che credevo di impazzire. Leggo oggi Michelet.—Poesia! 6 marzo.—Perchè non una riga? Perchè mi tormento così?—Sono nervoso e aspetto.—Come la vita è breve per il mio amore! Oh come aspetto una tua riga! Tu tardi, penso che Tu scrivi una lunghissima lettera per dirmi tutta la Tua vita. Sei ammalata? Al Club non ardisco guardare la Gazzetta di Venezia, temo di trovare il tuo nome fra i morti. 7, venerdì.—Perchè non una riga? Oh abbiate cuore! 8, sabbato.—Abbiate cuore!—È primavera: senti anche Tu l'amore della natura?—Che tristezza mi assale in questo momento! Lidia, io ho turbato l'anima tua, e che cosa posso io fare per Te? 10 marzo.—Oh! miei genitori, se voi provaste ad avere l'anima mia! Ai tremendi bisogni di un corpo nervoso, al tormentoso bollire di pensieri nel cervello, alla muraglia di ghiaccio che mi separa dal mio avvenire, come resistere? Come resistetti? Non posso occuparmi, no: la mia anima non può volgersi ad altri pensieri; che importa a me di tutto ciò che è diverso dal mio amore? Oh se gonfio di vita, avessi almeno lo sfogo delle libidini: se pieno di sentimento potessi almeno prorompere in una poesia: se così tormentato potessi almeno avere la libertà di stordirmi viaggiando!—È primavera! Sono io un pazzo? Lo fossi, sì, lo fossi! sarei felice!—Ricordo che ho vissuto con intimità con due donne a V… e ad Oropa. Come ero contento! Come prevenivo i loro minimi desideri! Come mi sentivo bene avendo vicino a me una donna! E se questa donna fosse stata quella che ho sognato! E discorrevo del mio avvenire, dell'amore, della famiglia, dei figli, di Dio, e delle toilettes! Così la vita. Ma ero contento, e presentivo la felicità di essere con Lei. Sciocco! ieri lessi un libro di scienza. Dio non c'è: il fato è tutto: l'ideale nulla.—Dunque io sono un povero sciocco! Padre mio, Ti sei tormentato tu pensando: Dio c'è, o non c'è? La scienza nuova, le nuove lettere mi spaventano: non leggo niente per non turbarmi, e se qualcosa mi capita sotto gli occhi, sento lo squallore del materialismo e dell'ateismo. Sono un fanciullo, non sono un uomo: non oso pensare, non oso leggere: sto bene nelle mie dolci illusioni dell'ideale e di Dio. L'archeologia mi occupa tanto: cerco libriccini, leggo, annoto, confronto, vorrei farmi conoscere e entrare in qualche commissione, ma quante volte, quando splende il sole e le pagine sono gialle e rose dai tarli, quando la primavera regna e rifulge ed anima e suscita e tormenta, e la carta morta sta morta, quando una donna, una sposina entra a visitare la Biblioteca, una sposina

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