Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 46

Testo di pubblico dominio

dirti ancora la mia compiacentissima amica. Da Milano a Biella voler descrivere il viaggio sarebbe come dire:—Leggi l'orario e ti divertirai!—Sì, una monotonia, un piano, una noia da far piangere, quando si rammentino le vetture dei nostri nonni. Almeno noi ebbimo l'aiuto del vapore; e la locomotiva, sbuffando una negra tempesta mischiata alle faville ed alla polvere, ci tolse in fretta alle immense praterie, alle adacquatrici maestre, ai campi di granoturco, alle filarate di gelsi, e via via. A Biella ti s'allarga il cuore: la collina è gaia, la macchia generale del paese viva e svariata, le montagne a sfondo, se sono belle pei pittori, sono bellissime certo e buonissime per due poveri occhi stanchi di tutto, persino dei pince-nez affumicati, per due meschini polmoni, nati proprio per l'aria dell'Alpi. Ma ahimè! bisogna prepararci ad uno strazio! scesi appena dal vagone, una turba di monellacci-vetturini così assedia i viaggiatori, che andarne illesi con tutto l'abito a posto o senza una trafittura nel cervello, è cosa da schizzare un quadretto e recarlo votivamente al Santuario.—Oropa! Oropa! Oropa!—scoppia il grido d'ogni parte, e schioccano le fruste e imbizzarriscono le bestie. Lah! tiriamo innanzi colla carrozza. Biella non saprei giudicarla, così di sfuggita: ha portici, chiese a colonnati classici, vie discrete, ma insomma le muraglie danno sempre l'idea del caldo; riposiamo dunque lo sguardo sulla verzura, l'immensa verzura che, assumendo cento toni, si stende nelle valli, pare si rannicchi nelle gole, s'inazzurra nei lontani sfondi, trionfa sui monti, e finisce alle cime con qualche ciuffetto che stacca sul cielo come una pennellata bizzarra. Le strade abbenchè erte sono bellissime e senza scheggloni, e per lo più ombreggiate, ma con tante e tante svolte sì che le quattro miglia da Biella a Oropa fanno un viaggetto di un paio d'ore. A sinistra s'incontra lo stabilimento idroterapico di Cossilla, un bianco fabbricato tutto ad archi acuti soprapposti, elegante, tale che l'immaginazione dentro ci gioca, cercando l'insidia degli sprazzi d'acqua, e, forse più, degli sprazzi di luce de' begli occhi. Una signora in veste da camera stancamente si sorreggeva ad una colonnina di un loggiato, e pareva una figura veneta, nell'attesa della gondola tizianesca. Poi la strada s'inerpica e lascia giù vedere, oltre l'insieme grandioso, i dettagli pittorici di certi ponticelli di legno, certe chiuse fresche, e siepi e casette e cascate e rompimenti, e certe nicchie erbose da destare la vocazione d'eremita. Oh! cara mia, non voglio dimenticare le belle macchiette: le donne e gli uomini attendono ai lavori, non ci alzano il capo incontro, ond'io solamente ti so dire che recano falcioni da fieno e corbe, o tranquillamente girano il fuso della conocchia o impagliano scranne: ma i bimbi e le ragazzine sono creature con una faccia bellamente audace, con un corpo tondo, sodo, sicurissimo, macchiette da acquerellare sul tuo album. Non so i nomi dei paeselli: so bensì che in ognuno c'è una fontana ristoratrice. Lo stabilimento idroterapico che di quando in quando ci addita il vetturale colla sua frusta, si viene avvicinando all'occhio, con grande inganno, perchè la strada raddoppia i giri ed i rigiri. Un po' di pazienza ancora. Infanto ci sono sempre da ammirare i bei massi quarzosi, i pendii sparsi di fieno falciato, e i castagni che curvano i loro rami con protezione sui passeggiatori. Eccoci alio stabilmento Mazzucchetti. È una casa grande, bianca, con tante finestrine da collegio, un terrazzo, una scalea, i portichetti, un tutt'insieme che mi rammenta i muraglioni scabri della riviera genovese e le cellette di Monte San Bernardo. I lenzuoli tesi ad asciugare, l'aria frizzante, e qualche signora accoccolata su un panchetto collo scialle, fanno subito pensare, con un moto di pigrizia:—Io non sono ammalata! Dio sa che bagni freddi!—Poi ci consoliamo entrando e chiedendo dopo il viaggio il tranquillo lettuccio. Ancora ci stringiamo nelle spalle, passando per un corritojo appoggiato ad una roccia stillante e per gli altri ancora soprapposti, come nella costruzione dei conventi. È inutile che io ti descriva la mia cameretta; quello che ti voglio dire è che la sento freschissima, e corro a spalancarne le finestre. Una guarda giù verso Biella, ove digradano le montagne, e là si stende un piano azzurro sterminato, una diffusione di vapori che solo ti rammenta il mare. E come lo rammentai! Pensai a Lucy che in questi giorni sarà a Pegli, candida nuotatrice delle ore cocenti, mesta, poeticissima indovina dei dolori altrui, quando la sera sederà alla spiaggia, interrogando il gran libro del cielo! L'altra mia finestra guarda su verso il Santuario le montagne paonazzicce e verdi, separate alle falde dalla striscia sassosa del torrente: vedo certe casette, che mi rammentano i miei giocattoli di un dì, le bell'ombre invitanti alla lettura, le bianche cappelle che segnano la via alla chiesa.—Cara mia, la penna vale niente: colla matita mi sforzerò di mostrarti qualcosa al mio ritorno. Per oggi non posso dirti nient'altro, perchè non istetti insieme ai bagnanti, nè mi ghiacciai coll'acqua salutare. Ma domani comincerò a far annotazioni. Da una finestra vedo dei parasoli chiari spargersi sul terrazzo, e sott'essi degli abiti di foulard crudo; qualche fanciullo cattivello correre all'impazzata; e quattro uomini sedersi coi giornali in mano. Dall'altra vedo niente; solo ascolto le gentilissime voci di una conversazione francese nella quale a vece di punti e virgole ci sono delle risa: e giù il fragore delle acque cadenti e il sonare dei campanacci delle mandre su per i pendii. Ti dirò solo come io so che nello stabilimento c'è ogni sorta di cure, sala di lettura, sala da ballo, sala da bigliardo, posta, ufficio telegrafico, coiffeur ecc. Spero di trovarmi bene: un vantaggio grande che si ha dal bevere a questi zampilli montani si è quello del'obblio: sì, io ho dimenticato che ieri a Milano soffocavo!… Ma sopraggiunge la sera colle nebbioline nelle valli e col suono delle avemmarie: ti vorrei avere vicina, e vorrei che Lucy colle sue manine ci aprisse il volumetto dell'Aleardi. Che begli istanti sarebbero! Che amorosissima pace! Scusami se chiudo l'Aleardi, ma gli è perchè passeggiando sul terrazzo mi viene incontro una signora. Porta essa una casacca assettata con baschine ripiegate, in casimiro, riccamente guarnita di ricamo, imperlata di lustrino. Tu la conosci: è la contessa V. di Napoli: ed io pure la conobbi ai bagni dell'Ardenza. Dà la colpa a lei, m'interrompe la lettura e mi conduce a passeggiare. A rivederci adunque. LAURA. II. Oropa, 23 luglio 1874, Amica, Scrivere questa lettera è per me un peccatuccio che mi punge la coscienza. Difatti, lodare i monti, l'aria freschissima, l'acqua salutare, la vita montana, a chi proprio non vede che i muraglioni soffocanti di una città, e spalanca le labbra, invano supplicando al giardino del caffè Cova un alito di vento ossigenato e una tazza sudata di acqua ristoratrice, lodare, dico, ciò che io gusto e altri invidia con troppo ardore, non mi pare una bella cosa. Ma dunque dovrei tacere? No, certo: e tu non vuoi perchè mi stuzzichi con lettere nelle quali paiono messi giù da te apposta i termini di paragone fra le mie giornate e le tue. La colpa è a metà: bada che dico alla mia coscienza di mettersi tranquilla, e intingo la penna. Da due settimane sono a Oropa, e per quanto abbia pensato a riscriverti, davvero non mi ci sono mai decisa, non sapendo come incominciare le mie descrizioni. Se ti dicessi le giornate tali quali sono, farei un guazzabuglio da spaventarti: capisco che bisogna mettere ordine. Penso e ripenso…. Pure non so raccogliere le idee principali, e a queste subordinare le secondarie: sai, gli schizzi che ho fatto colla matita mi guastarono anche la penna. Come mi sbrigo? Fa conto ch'io abbia tra le mani il tuo albo e sbizzarrisca di foglietto in foglietto. *

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Argomenti: monte san,    stabilimento idroterapico,    macchia generale,    riviera genovese,    fanciullo cattivello

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