Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 27

Testo di pubblico dominio

è gentilissima con me. Arriverà il giorno in cui io abbrucierò queste pagine? È un sacrificio necessario pel mio avvenire.—Sono stanco, impigrito, senza speranza, senza dolore e senza gioia.—Perch'io possa mutare vita è assolutamente necessario ch'io non venga più quassù, ch'io non pensi più, ch'io non prenda più la penna…. A che?—Lidia mi ha fatto gli auguri di un avvenire felice. Sarò felice? Con chi?—O la mia vita sarà nel dolore sempre per lei che si è dimenticata di me?—Ti sei fatta sposa? Dove sei? Dolore! dolore! dolore! Non so scrivere e non so sperare. Oggi per gli altri fui impaziente e risoluto: per me sono sempre stato un somaro e uno schiavo. È primavera. Rinverdiscono gli alberi: tornano le rondini…. Un poco di pace, un poco di pace!—cessi l'odio. Oggi ho comperato il letto a una povera mamma giovane. Una volta la carità la facevo in nome Tuo, ispirandomi a Te, o Lidia, ed ero gentile… Ed ora?—Bisogna ch'io fugga questo luogo e queste memorie. Domenica 10 aprile.—È domenica. Io non prego Dio: ma lo maledico: io impreco, io bestemmio, perchè io odio. Tormenti indicibili d'amore e d'odio, di gelosia, di furore! E c'è il mondo che vede, che parla, che vuol ciarlare, che ciarlerà: quindi io chino la testa, e mi soffoco: mi vinco, mi uccido, mi sbatto a terra e faccio l'indifferente! L'indifferente?…. Fuggi! fuggi, lontano lontano, viaggia e dimentica.—Perdo in salute, peggioro il mio carattere: ma sto qui…—Ho letto con voluttà mestissima le mie ultime volontà a mia madre. O gente positiva, come ridereste voi se mi vedeste piangere! Mi ammalerò ancora? perderò i capegli? diventerò gentile nell'anima ma schifoso nel corpo? —Prendi moglie, mi dicono gli amici, e una signorina mi fa tante gentilezze, una signorina ricca, d'ottima famiglia, e côlta. (Sera).—A te, povero foglio di carta che puoi essere bruciato, a te consegno le espansioni dell'anima mia—il sangue del mio cuore. S'avvicina Pasqua e spererò nel perdono di Dio. Dio non può perdonarmi…. Eppure ti prego ginocchioni:—Fammi morire, prima ch'io muoia maledetto dagli altri e fa che tutti sappiano ch'io muoio, augurando la felicità agli altri. Rilessi le memorie dell'aprile dell'anno scorso. Dove seppellirò queste pagine? 14 aprile.—Ho messo in ordine queste mie cose vecchie. Ho cambiato di posto a' miei manoscritti e a' miei libri letti nella malattia del 1874. Per far luogo…. a che? Spero ancora di scrivere?—Oggi sono stanchissimo. Sono spossato dall'odio e perdono! Ma che scopo ha la mia vita?—Due dì fa sono stato a Limbiate: oh primavera! oh primavera, come io ti sento! Vidi i fiori, i bambini, le rondini, le farfalle. O fanciulle, se sapeste come io mi tormento!—Giù, là in fondo, in quel terzo giardinetto tutto il dì siede una mamma felice e gentile. 15 aprile (sera).—Venerdì Santo. Tu risorgerai, o Gesù, ma l'anima mia è morta.—Sono spossato, Oggi ho pensato delle cose gentili, pure, con un po' di speranza. 16 aprile.—Ho accettato di scrivere le appendici artistiche del Pungolo per l'Esposizione. Avrò coraggio di scrivere? E che scriverò?… Uscivo dalla Direzione del Pungolo: mi sentivo contento, superbo: con un po' di speranza…. Perchè Ti ho ricordata? Il mio supplizio deve essere eterno? 17 aprile.—Un po' di giorni fa sono stato a Limbiate. Come ho ricordato i miei tormenti! Ho tentato di scrivere un racconto Tisi ed isterismo per scrivere i tormenti di un giovane e di una giovane: oggi trascrivo qui queste righe:—«Il corpo sentiva addoppiarsi la vita e la robustezza, sentiva un veleno diffondersi prepotentemente per tutte le fibre: v'erano dei momenti in cui tremavo di febbre e sentivo come in me spezzarsi qualcosa, dei momenti senza mia coscienza in cui mi gettavo a terra, abbracciando l'immensa madre. Nei campi graffiavo a smuovere le zolle, cercando la feconda vita degli insetti e dell'erbe, odorava con voluttà l'odore che usciva da quelle viscere, scaldate dal sole. Questa terra coprirà un giorno le mie ossa, dicevo, e precorrendo col pensiero, vivevo una vita superstite nei mille atomi del mio corpo, che si sarebbe sfatto, per rinascere, per fecondare l'amore degli insetti e dell'erbe: e gioivo, gioivo, piangendo, e parevami che le mie mani strette negli steli, i miei capegli mossi dal vento, il mio occhio fisso in qualche fiore, mi dessero la massima delle voluttà, che emana dai capegli di una maliarda, dall'abito infocato, dalle pupille spossate. Terra! terra! Come ti ho amato! E da quei deliri, da quei contorcimenti mi levavo, fissando lo sguardo nel cielo….» Chi capirà il mio tormento?—Vi vidi insieme e contenti! Oh siate felici! (Sera). Leggevo una lettera di Lidia a me, la più gentile, la più confidente…. Ed ecco uno sciocco amico, illuso letterato, mi chiede denaro…. Vita stupida fra questi giornalisti!—Che scopo ha la mia vita? L'Arte?—Non credo all'Arte. Lunedì 18.—Ieri a sera, vicino ad una Birreria e casa di giuoco, mentre raccontavo ad un mio amico d'infanzia i miei scoraggiamenti e le mie amarezze, udii il suono dell'orgia. Voci di donne e canti di avvinazzati…. Dio! perchè mi fai tanto soffrire?—Oggi visitai un mio amico che è felice pensando che sposerà la sua Zozò: cara famigliarità! dolci scherzi! tenere confidenze! My dear Zozò. —Sono rimasto qui al tavolo più di tre ore. Non mi è uscita un'idea mediocre dal cervello. Come farò? (Sera). Dottore, dottore, senti il mio martirio orrendo. Ho amato una vergine: mi ha dimenticato: e sono legato a lei. Quella vergine non la vedrò più, ma spero nel perdono di Dio. Dottore, dottore, come si guarisce da queste malattie? È orrendo il mio tormento! Che cosa ho fatto per meritarmi tanto castigo? Mio Dio, la mia fede era tanto gentile e l'anima mia era sì pura! Martedì 19.—Io non reggo più. Ho dormito affannosamente con una smania terribile. Sono l'ultime righe che scrivo. E come se morissi e ricevessi il pane dell'amore di Dio, parlo a tutti dal profondo dell'anima mia.—Perdonatemi tutti: sii felice, tu prima di tutti e di tutte, o Carlo. Sii felice, Tu, povero Peppino, e ricordati di me che ti ho amato tanto e ti ho sempre ispirato gentili sensi di affetto e salde parole di dovere: cresci buono e studioso e fidente nella vita. Perdonami, o R., il mio Tintoretto, il mio Giuliano!… E Tu, Lidia, povero cuore, Tu, gentile mia illusione, ricordami, se puoi, ricordami come si ricorda un fratello. Ma non odiarmi! E perchè? perchè odiarmi? Dio ti conceda le dolcezze che a me vennero dal tuo ricordo, quelle sante paci, quelle soavi e purissime religioni. Non ti affligga Dio coi miei martirii. A te ripeto: Sii felice! sii felice, sii felice! come quattro anni fa. E ricordo che anche tu mi avevi fatto questo augurio: Soyez heureux comme vous méritez de l'être.—O Lidia, il mio pensiero era di darti mia madre, di darti il mio cuore, di farti contenta, ed io avrei lavorato, forse avrei acquistato un nome, e Tu dovevi essere la mia pace. Perdonami e sii felice!—E a Te, mia mamma, che dico? Quante volte mi sarei ucciso, ma sempre ho pensato a Te. Eccoli, o mio amore sincero, costante, vigila, eccoti il mio cuore.—Non spaventarti dei miei martirii e delle mie bestemmie. Ho avuto dei momenti di fede così gentile, che Dio mi salva. —Credevo fossero l'ultime righe! Ancora aggiungo:—O mia madre, o mia Lidia, perdonatemi, ricordatevi di me. Ancora una volta perdonatemi, perdonatemi. 5 maggio 1882. Venerdì.—È passato più d'un anno: ed apro il mio mobiletto: e noto questa data…. Come sono invecchiato! Non ho più fede! Non ho più speranza! Non ho più coraggio! Ho aperto questo mobiletto per vedere se c'erano nascoste certe mie annotazioni di cose antiche militari.—Da Lipsia, Sacher-Masoch mi invita a scrivergli un articolo…. È questa la gloria sognata? Il mio articolo sarà tradotto in tedesco. Chiudo ancora il mobiletto: e non l'aprirò più fino a un altro

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Argomenti: sacrificio necessario,    povero foglio,    terzo giardinetto,    mamma felice,    vita superstite

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