Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 36

Testo di pubblico dominio

Deserto solo vi è dove vi è la noia della vita. LONTANO LONTANO. Pax. Vicino alla spiaggia c'è il fondo basso, e l'acqua non ha colore: è come una vernice che asseconda i guanciali grigi e translucidi di sabbiolina, qua e là segnati dallo strisciare di qualche guscio vivente, qua e là avvivati da qualche scheggia di corallo: nessun'alga. Le fanciulle lavano i ginocchi e le coscie, e ve ne sono di dodici, di quattordici, di diciott'anni. Andiamo in là dove il fondo più s'inchina, sparso di ciottoloni: l'acqua è verdiccia: quando la batte il sole e l'illumina negli strati inferiori, a cerchio ballonzolano grottescamente le iridi sopra i ciottoloni…. Lontano, lontano andiamo, dove non ci sia più fondo, e il concavo dell'onda è turchino come solfato di rame, dove si vegga cielo ed acqua, la torma dei fiotti che non posa mai, la estensione aerea che non dà pace mai…. Andiamo innanzi ancora: lo stesso squallore portentoso dell'infinito. Un giorno ho sognato la barchetta dell'amore, e, risognandola oggi, per ritrovarla ho detto:—Andiamo lontano lontano, anima mia. Eccomi dove sognai! Ma la torma dei fiotti non posa mai, sotto la estensione aerea che non dà pace. Io voglio pace! chi mi concede pace? Quando l'avrò? Da chi? Lontano lontano vedo galleggiare una strana barca di pioppo, una cassa da morto, vuota, senza coperchio…. È la barchetta?… Mi vi adagio, apro la bibbia che mi hai dato tu, fanciulla del mio dolore, perchè la mi serva di vela, e, lettore cullato, cappuccino nel gran coro sonante, e viaggiatore insolito, mi avvio lontano dove mi porta l'onda…. Più lontano ancora…. Non ispero incontrarti, o barchetta dell'amore che sognai un dì, no: sulla mia vela è scritto:—A chi molto amò sarà molto perdonato:—sulla tua, o spiensierata, o dorata, o tripudiante, le mercantesse e i mercanti hanno scritto somme e moltipliche col risultato:—Tutto è illusione! Voi non vi scaldaste al sole dell'anima. Io non avrei il coperchio e fino all'ultimo minuto di mia vita riposerei lo sguardo su quel cielo che ho tanto e tanto amato! Requiem immensam dona mihi, Mare…. FIABA. A volte mi sento piccino, buono, umile, senza più una frasca d'osteriaccia alla fronte che di me faccia la parodia di un poeta, senza più i miei vocabolarioni da cui combino le parole per bruttare la carta, senza più quelle vane vesciche che mi appiccico per galleggiare. Mi sento piccino: mi basterebbe un gusciolo di conchiglia, color madreperla, coi bordi occhiuti, per nicchiarmi e fluttuare…. senza abbattermi nella cassa, e nella tartana dell'amore…. Va e va e va!… Addio!… Nessuno risponderebbe. Oh quale felicità! Il nulla, il deserto, l'infecondità. Se mi cambiassi in una perla! Se venissi a posare sul seno di una dama, non al collo dell'ondina che non c'è….—Ecco un pensiero che ci tenta anche moribondi! Poserei pure…. T'amo! T'amo!… Nessuno risponderebbe. Sentirei i palpiti di quel cuore:—i fiotti del nulla, del deserto, dell'infecondità. VERA PACE. Sii buono,—m'aveva detto la mia povera mamma, quand'io credevo a lei, e solo a lei. S'io fossi stato buono, avessi baciato i bimbi, amato i poverelli e i fiori, e nel mio studiolo conservato il profumo della mia santa, senz'altro amore, senza ambizione, senza tormento, vedendo la morte lontana lontana, avrei dischiuso la mia porta alla mamma…. che veniva a casa, offrendomi una fanciulla che sapeva pregare…. E avrei vissuto. Ecco la vera pace. Nella cassa da morto avrei sepolto tutti i libri: e la perla l'avrei gemmata in un anello che stringesse forte…. Ma non sì forte come le mie labbra quando baciano. LA DONNA? Pegli. Hôtel Garcini. Che cosa è la donna?… La donna ideale pel giovinetto è un flacon d'odore: purissimo cristallo, essenza inebbriante. Chi lo guarda, lo porge in alto e lo adora sul fondo di cielo sereno. Contenuto e contenente riflettono l'azzurro immacolato. Il giovinetto la dice la donna-angelo, e fa delle poesie. La donna reale pel giovanotto, in società, è lo stesso flacon: parliamone bene. Ma il cristallo affaccettato è a suo posto, non alto, non basso, su un vero tavolo da sala, fra una bomboniera, un viglietto di visita, un romanzo e due guanti di Svezia. Ogni faccetta ti riflette un migliaio di cose: civetteria, amicizia, amor proprio, sacrificio, pregiudizi, eleganti convenienze, dispetti, vendettucce… Il contenuto, sempre essenza inebbriante e limpidissima, non si mostra mai qual'è. Il giovanotto la dice la donna-interessante, e fa delle pazzìe… I MORTI? Monti di Borzoli. E un dì venni a te, cappelletta sulla montagna. Avevi la facciata al mare, la scabra facciata su cui il mattino dava rosari di perle colle gocce di rugiada tremolanti sui fili dei ragni; su cui la sera stendeva palii di luce freddissima coi raggi della luna. Io non so chi ti pregava, pallida Madonnina del cimitero; so che non vidi mai fiore, ne' lumicino, so che il marinaio t'ama, o Vergine, sulla prora del bastimento, sculta in legno e tutrice di viaggi lucrosi, so che ti baratterebbe con Venere lasciva se nei porti tu rechi cinque e quella sei! E venni a te, cappelletta sulla montagna. Tu vegliavi i morti, i morti nel povero cimitero, ove il mattino portava sul vento della marina il fumo delle fervide industrie, ove alla sera le aliuzze stridenti degli acridi tra l'erbe turbavano il lontano soavissimo bacio dell'onda. Io non so chi vi pregava, o morti; so che non vidi mai fiore, nè lumicino, nè croce, so che la requie è squallida tra la vastissima vita, so che il sospiro di un moribondo corrisponde al gorgoglio della spuma perdentesi tra la ghiaia, allo sfaldarsi di un sasso, al battere delle zampine di un insetto, all'aprirsi di una corolla al raggio mattutino. Dico la vita, e intendo quella della natura tutta, che opera dalla polvere dell'ossa del primo animale al fremito della fecondazione nell'imminenza di questo minuto in cui voi coordinate il suono di due lettere; la vita che fu, che sarà: la stupenda attività delle forze, la strapotenza di quella gittata di dadi che si chiama il destino…. E se l'uomo doveva esser parte della famiglia, e la famiglia della tribù, e la tribù del regno, e i regni….—No: fallata è la via, perchè tolsi i nomi dall'autorità minuscola, che si misura a giorni, ad anni. Dirò: se l'uomo doveva essere l'atomo turbinato dal tempo, in questa esistenza complessa della umanità, sia pure e sia fatalmente: ma la coscienza della vita individuale di ogni minuto, tormentata dall'ironia di quell'infinito Tutto, che tutto ingolla, io non so perchè fu data, e a quale ineffabile martirio! Ero lo stanchissimo viandante; venni a te, cappelletta sulla montagna, e, arso dal sole, cercai un'ombra…. Riposai all'ombra dei cipressi. PLATONISMO? Pegli. Hôtel Garcini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . —Oh, oh! perdoni, ma questo poi no! —Marchesa, mi ascolti, e non rida, s'io dico: un po' di scetticismo! Lei si spaventa alla sola parola, ma, in pratica, quante volte Lei fu più scettica di me, che oggi voglio scherzare. Dunque? dicevamo? —Lei diceva…. —Dicevamo dell'amor platonico. E lei ci crede? —Stupenda creazione della poesia! Platone, imaginando la teorìa sua, unì il cielo alla terra: fece la donna sorella dell'uomo: levò gl'innamorati alla incorruttibilità degli Dei. —È vero, mah!… E Platone istesso diede esempio, amando…. —Amando…. Come avrà amato lui! —Amando una donna di sessant'anni. Oh! ma perchè si sorprende, marchesa? Sarà stata un'intellettuale bellezza, pari sola all'ideale altissimo della mente del filosofo. Non crede, marchesa? Ecco la natura umana! Anche lei! ammira la teoria, mi sfiderebbe perchè l'appanno d'un dubbio, ma non amerebbe un Platone di sessant'anni! —Gli è storica questa circostanza? —Certo. —Mi pare…. —La tolgo dall'imbarazzo, marchesa. Platone da quell'amore metafisico calò alla terra, e amò la giovinetta Agatissa. —Sarà stata bella? —Ecco la natura

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