Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 48

Testo di pubblico dominio

semicerchio di monti, a sinistra, il paese d'Andorno, che spicca illuminato su una frana rossiccia, nel mezzo ecco certi dossi boscosi di un verde metallico, a sinistra i tetti del Favaro. Al di là, il piano si stende, con macchiette bianche, con lucidi serpeggiamenti, con ombre pavonazze di colline, poi si fonde tranquillamente in un tono azzurriccio, su cui a liste si vedono le ombre proiettate dalle nubi: il piano si perde, sfuma in un vapore. L'occhio dice—finisce:—ma il desiderio va oltre, si spande, e trova ancora i piani, i monti, il mare! Credi: queste vedute così estese mi fanno meditare…. Che cosa è il desiderio? Che cosa è la vita? Sugli orizzonti del pensiero perchè, come su questo, tramonta un altro sole, quello della speranza?—Non so rispondere io, non sai tu: risponde il canto di una fanciulla, Ella è contenta, torna alla casetta sua, e della vita non conosce i misteri nella fortunata ignoranza. * * * La fanciulla è una falciatrice di fieno. Vogliamo, o cara, copiarla sull'albo? Ella porta una gonna di cotone bleu, col busto compagno, colla camicia bianca stretta al collo con pieghe gelose: un fazzoletto rosso è allacciato sul capo con una foggia bellissima, sì da lasciare due lembi svolazzanti sulle orecchie. Non guardo punto a' suoi lineamenti: tutto è nell'espressione, e questa dice:—Ho la contentezza del cuore.—E fa tanto piacere discorrere con essa! Perchè la fanciulla non è ritrosa, perchè dice che ha tante mucche e tanto fieno falciato, e i fratelli e il babbo lavorano giù negli opifici del Biellese. La vita le va per benone, e lo sposo, grazie alla Madonna d'Oropa, sarà un garzonotto, bersagliere dell'Alpi. * * * Le casette che vedi sui monti sono le stalle per le mucche nella stagione dei pascoli: all'inverno i pastori scendono al piano, e le lasciano ai venti e alle nevi. Le sono casine murate a sassi irregolari, coi tetti di pietra lucente, col portichetto a pilastri azzurrigni, coll'orticello verdeggiante, cinto da un muricciolo di scheggioni ammucchiati: vicino c'è sempre uno zampillo, e lì distesi sul declivo i rotoli casalinghi di tela montanara, c'è un frascato che invita ai discorsi…. Oh che discorsi! Fra il ciondolare dei campanacci e il mugghiare delle vacche, non si sa che dire:—Vogliamo assaggiare una ciotola di latte? un po' di burro fresco? Detto, fatto: l'assicuro io, che ho visto personcine morbide, che non si sdraiano se non sul velluto, persone gravi che siedono su seggioloni d'autorità, magari nel Parlamento e nel Senato, signore e signori su un pratello o su un panchino di legno s'assettano alla meglio, e, chiacchierando colla massaia che fila e coi bimbi venditori di mazzoni d'arnica, si sentono figli anch'essi d'Adamo, e costole di Adamo, il primo fannullone o il primo contemplatore della natura. Fra le ciarle si ascoltano i nomi del santuario di Graglia e di quello d'Oropa. Discorriamo d'Oropa. * * * O meglio ancora, avviamoci. È una delle più belle passeggiate, per la strada pittoresca, e perchè la meta, celata nel seno del monte, invoglia a continuare sempre il cammino per iscoprirla. Prima del 1620 non era il caso di dire—avviamoci. Oh no! bisognava baciare i cari e la soglia della casa, poi mettersi al pellegrinaggio, per selve, per frane, per stagni, per ciglioni di precipizi. Che parolacce le sono queste? Oggidì, grazie all'abate Bertodani, si passeggia su una strada larga, liscia, ombreggiata, ad ogni tanto facendo sosta al parapetto per contemplare o una cappella, o giù la vallea col mugghiante Oropa, o la vetta su del Mucrone, oppure per cogliere una margheritina e per interrogarla. Purchè si eviti il sabbato, giorno in cui i valligiani salgono a vere processioni, e l'ora in cui passano gli omnibus fragorosi. E va, e va: il santuario si scopre solo all'ultima voltata della strada: apparisce un aggregato immenso e basso di fabbriche diverse, tutto bigio, con una cancellata a lance d'oro, sullo sfondo di un monte arsiccio. Tutti quelli che lo descrissero usarono le cifre, dicendo le misure, la fondazione, gli ampliamenti, e via: io vorrei adoperare la matita, ma non so proprio da dove incominciare, nè so metter giù le linee da ingegnere o da prospettico. Pazienza! chiudo l'albo e m'abbandono alle impressioni. Il primo cortile ha l'aria animata di un luogo di fiera: la piazza, da cui vedesi il piano del Vercellese e del Novarese, la scalea barocca piena di gente oziosa e sdraiata, la fronte dell'edificio reale colle statue dipinte e gli stemmi d'oro, i porticati dorici, tutto mi piace e mi ricorda qualche cosa di Genova: il secondo cortile colla fontana, la chiesa e i pratelli mi dà una mestizia indefinita. Oh quanta gente! E concorre da tutte le valli! Ti dirò che ascoltai un canto di litanie, triste, confidente, soavissimo, che usciva da una finestra della chiesa: e vidi ad allietar la gronda di quel luogo d'ospitalità un nuvolo di rondini, aleggianti, coll'ali azzurre. E contemplando gli archi, la fontana, la chiesa, i pratelli, ebbi un momento di dolcissima mestizia. * * * Fuori dell'ospizio abbiamo due bellissime passeggiate: l'una sulla strada che deve condurre a San Giovanni d'Andorno, l'altra al cimitero nuovo. La prima fu incominciata nel 1870: taglia la cresta della montagna, all'alto resa pittoresca da una frana di sassi, immensa, arida, scheggiosa; al basso allegrata da una selva di faggi, dalle cascate dell'Oropa, da un ponticello di legno, e mille accidenti che invero la fanno somigliare al viale di un parco. Peccato che proceda così a rilento! E fortuna che è così bella! L'altra strada va su alle chiese, e devia ad uno spiano, ove si è eretto un muro elittico ad una cappellina gotica così cara da far pensare alle bianche nozze, non alla pace della buia notte. Continua poi di faccia alla precedente, e dovrebbe arrivare fino allo Stabilimento idropatico del cavalier Mazzucchetti: questa è ancor più lieta, più ariosa, popolata da cascinali, fresca d'acqua, propizia d'ombre e di riposi. * * * Una terza passeggiata è al lago del Mucrone: non te l'ho citata ora, perchè te l'avrei detta altre volte parlando dei sentieri da capra, perchè so di una signora che volle su arrampicarsi, ma a metà discese nella corba e sulle spalle di un montanaro! Ma ancora quante altre passeggiate! Ami la natura? Sì: orbene puoi scorrazzare ad un masso gigante, ad un rompimento, ad uno zampillo, ad una mandra di mucche, ad un cespo di rododendron, ad un sorbo carico di grappolini rossi. Va e va! Dimentica, se qualche cosa hai che ti fece soffrire. Quando sentirai una voce che ti domandi, ascoltala, ridiventa mesta, e chiama anche tu, chiama l'amica. LAURA. IV. Oropa, 8 settembre 1874. Amica, Gettando uno sguardo sui bauli già empiuti e chiusi, sola nella mia camera spogliata, tanto melanconica davvero, sento uno di quegli stringicori che cento volte fanno dire addio. E in fondo in fondo un dispettuccio mi punzecchia la coscienza, come un morso di zanzara. Devo dirtelo? Mi pento di essere stata teco un po' imbronciata; e il dolore non è per te proprio, giacchè penso che, fra un giorno, dandoti una stretta di mano, avrò subito ottenuto il tuo sorriso; il dolore è per me, che mi lamento e mi lamenterò sempre di non aver saputo tracciare una dozzina di righe nei dì più lieti di questo soggiorno. Mi sarebbe stata cosa gradita, in città, nei momenti di noia, aprire un foglietto, nel quale trovare delineati quei particolari, che, a volerli dappoi richiamare col ricordo, sfumano dietro un velo della nostra mente, per eccitare il desiderio. Rispondi, cara: non è così? Alcune volte una sola data scritta sul tuo portafogli non ti fa dire:—Ah ci sei?—e non t'illudi di poter arrestare per poco il tempo, farlo retrocedere a tuo agio, legarlo fisso a quel punto, che è tuo? È vero che peccato confessato è mezzo perdonato: ma a me non so punto perdonare, ed ho tanta severità da impormi una riparazione. Se non avrò un ricordo colla data di tempo,

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Argomenti: fazzoletto rosso,    tanto fieno,    secondo cortile,    sorbo carico

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