Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 60

Testo di pubblico dominio

orbo sulla groppa paziente della barberina, fa rimbombare anche la nostra carcassa di ventiquattro costole; e lo sdrucciolare di sella colla disinvoltura di un pievano che stringa sotto le ascelle il parapioggia di cotone rosso e finisca di sonnecchiare sull'eterno salmo dell'eterno breviario non deve punto garbare alle mie gentili signore, che conoscendo già Schio, non possono soffrire di vedermi tanto goffo e impacciato da non rispettare i civili costumi di questa città dell'industria, sì moderna e sì famosa. Accetto il consiglio: Wer reisen will, tret'an am frühen Morgen und lasse heim die Sorgen! rinuncio agli sproni e alla nobile gualdrappa, prendo a nolo una prosaica carrozza, mi ci accomodo poltronescamente, e mi lascio trascinare sulla strada maestra, che corre ai piedi dei monti, fra colti e vigneti; dolcemente passa un colle, per selvette cedue di castagni e massi lucenti di micaschisti, e, per valloncelli e distese di campi, attraversando i paesi di Malo e di San Vito, ci conduce a Schio. * * * Malo, con circa 3000 abitanti, presso la sinistra riva del Torlo, antico feudo dei vescovi di Vicenza, è un paesotto lungo lungo, che qua e là presenta qualche facciata di casa a linea severa, qualche finestra coi vetrucci tondi, qualche porta di tipo schietto, insomma qualche dettaglio che sa meritarsi uno sguardo da noi, avvezzi all'uniforme e merciaia pezzenteria di tante nostre borgate, a cui la ferrovia portò la secchia dell'imbianchino e i portenti artistici del ferro fuso. Se Malo sia proprio stato costrutto nel secolo VI dal gotico Amali e se la classica chiesa parrocchiale sia fondata sulle mine di un castello, lo domanderei al gentilissimo signor I. Rossi dei Club alpino italiano, a lui che mi fece imparare per queste valli tante belle cose antiche, ed io tutte le perdetti di memoria, quando sì fieramente e sì potentemente sussultai di gioia e di meraviglia nell'opificio di Schio. Così pochissimo so dirvi di San Vito: che sia stato percosso dalla peste del 1630 lo lessi in una lapide nel muro del cimitero: che conservi nella chiesa parrocchiale alcune pale del Maganza, lo credo benissimo, giacchè lo trovo in un libro stampato. * * * Schio, con circa 10,000 abitanti, con giurisdizione distrettuale su quindici comuni, giace lungo il torrente Leogra: a nord ha i monti Novegno e Summano; ad ovest, il Corneto, il Bufelan, la Cima di Pasta; a sud-est, la pianura veneta. Il Leogra, unitamente al Gogna, per mezzo di un canale, detto la Roggia, dà ai terreni una rete irrigatoria per più di 700 ettari, e agli opifici una forza di oltre 800 cavalli. L'agricoltura qui non spiega alcun sistema particolare: anzi, il lombardo che è abituato ad ammirare meritamente i propri latifondi, come una mappa, sì ordinati, geometrici, proficui, qui si scontenta nel vedere le viti inacidire i grappoli, nascondendoli nelle chiome amiche degli olmi, il grano-turco soffocato nell'ombre, i gelsi lasciati egoistici padroni dell'aria e della luce, le falde delle montagne improvvidamente disboscate. Ma il visitatore tace quasi a sè stesso il suo malumore, perchè al disopra di questo arruffio di verde e sullo sfondo delle montagne denudate, vede sorgere le immense torri che sbuffano il fumo del carbon fossile e l'alito possente delle macchine a vapore. È Schio! Quando si pronuncia il nome di questa città, non pare possibile si possa dire Schio antica e Nuova Schio. Schio antica? mi osserverete anche voi con fare dispettoso. Ho capito benissimo. Lascio quindi ai foglietti del mio taccuino le annotazioni su alcuni particolari dello stile gotico-francescano (secolo XV), sugli stalli di legno (1504) e sulla Vergine del Verla (1512), che vidi nella chiesa di San Francesco; certe altre sul San Nicolò, nel 1536 dato ai cappuccini, sulla Santa Trinità (secolo XV), sull'antica rocca, distrutta nel 1512, e sul tiglio secolare. Ricordo solo il nome del domenicano Giovanni da Schio, morto verso il 1266, il predicatore alla famosa pace di Paquara; quello di Gerolamo Bencucci, benemerito a Giulio II, Leone X, Clemente VII; quello di Giordano Pace, precettore d'Ippolito Aldobrandini; di Francesco Gualtieri, pittore; dei due valorosi Manfron: di Bernardino Turinzio, letterato e fondatore dell'Accademia olimpica di Vicenza; di Francesco Grisellini, che fu nel secolo scorso segretario della nostra Società patriottica… Chiudo i fogli del mio taccuino, condannando al vostro oblìo tanti altri nomi illustri, perchè voi, le mie signore, vi spazientite quando io piglio la penna d'oca del professore, e, badate! torcete anche la faccina dal muso riccioluto di messer Nicolo Tron, patrizio veneto, che, col busto sì impettito, dalla sua nicchia rococò sul palazzo municipale, guarda giù la Schio nuova, come un nonno la sua nipotina diletta. Ma io vi condanno a prendervi l'inscrizione latina e il numero romano. Nicolao Trono, equiti divi Marci, utilium artium patrono scientissimo, primi Scledi mercatores m.h.p.p.a. MDCCLXXII. Questo magnifico signore, per la Repubblica ambasciatore in varie contrade d'Europa, dall'Inghilterra, dall'Olanda, dalla Francia, imparò a conoscere e a derivare macchine, sistemi opranti per l'arte della lana, che, stabilita in questa vallata nel secolo XIV, subiva le fortunose vicende della vita politica italiana. Per opera sua principalissima, nel 1738, sotto la firma Stal e Conig, coi capitali di vari soci, sorse un opificio con 44 telai, 500 impiegati nell'arte, su 4000 abitanti di Schio, nel luogo ora occupato da parte della sezione Rossi del Lanificio, verso il giardino, sulla via Palestro. Subite varie mutazioni, l'opificio di Schio, nel 1818 pel prezzo d'it. L. 7800, era arricchito del primo apparato di macchine a cardare, per opera del benemerito signor Francesco Rossi, il padre dell'illustre senatore Alessandro, unitosi allora in Società col signor Eleonoro Pasini, padre del geologo fu senatore Lodovico. Per parlarvi dell'industria dei pannilani dovrei farvi un grosso libro di economia e di meccanica industriale: e in mezzo a quei mastri di Mercurio tra un fragore di Vulcano, coll'entusiasmo mezzo artistico, mezzo poetico, tutto italiano, di un giovane che si sente trascinato ad inneggiare alla strapotenza del progresso, come raccapezzare un'idea? I magazzini sembrano una dogana di città mercantile, le macchine a vapore con ritmo possente scuotono le gallerie, i telai danno una completa immagine della celerità, dell'ordine, della perfezione; gli operai hanno l'aria severa di chi sente la coscienza del primo dovere dell'uomo, il lavoro. Più di 500 persone, dice il signor Rossi, sono occupate, nelle due vallate del Leogra e dell'Astico, per l'arte della lana, e in massima parte dalla Società del Lanificio, fondata nel 1873, per iniziativa del senatore Alessandro Rossi, col capitale di 24 milioni di lire. Ed eccomi coi nomi del Tron e dei Rossi, a parlare della Schio nuova. Lo scopo del fondatore di questa città del progresso fu di rendere possibile all'artiere di diventare proprietario, a poco a poco, di una casa sana, comoda, libera, costruendogliela o cedendola al costo. Così, 16 ettari di terreno sono per più di metà occupati da costruzioni, o isolate, o unite, od aggruppate, con orti, corti, giardini; e non c'è quella monotonia che incoglie nella città di Sir Titus Salt, Saltaire, dalle larghe strade, dalle piazze ornate di sontuosi edifici pel culto e per l'istruzione, dall'elegante parco. Monotoni non saranno i quartieri ad Essen, ma ivi, come a Saltaire, le case, date a pigione dalla ditta industriale, non sono acquistabili. Oggidì a Schio le case nuove sono presso a 100; gli abitanti 500, di ogni condizione. L'illuminazione è bastante, copiosa l'acqua; le vie macadamizzate, e, tranne la principale che è comunale, son tuttora in manutenzione privata.—Così si espresse il signor Francesco Rossi nel 1878: come io debba modificare i suoi dati non so precisamente: certo è che Schio nuovo, sulle cui mura è scritto—il

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Argomenti: club alpino,    grosso libro,    chiesa parrocchiale,    groppa paziente,    cotone rosso

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