Marocco di Edmondo De Amicis pagina 7

Testo di pubblico dominio

destinato al sacrifizio; e in quell’incertezza mi prese un senso di ribrezzo, che mi fece voltar le spalle e tornare a casa pieno di tristi pensieri. Un minuto dopo sopraggiunsero gli amici, ed ebbi da loro la spiegazione dell’enimma. Dentro la cassa v’era chiusa una sposa, e la gente intorno erano i parenti che la portavano a casa del marito. * * * È passata per la piazzetta una turba d’arabi, uomini e donne, preceduta da sei vecchi che portavano sei grandi bandiere di colori diversi, e tutti insieme cantavano ad alta voce non so che preghiera, con un accento supplichevole ed un aspetto triste, che mi fece senso. Domandai: mi si disse che chiedevano ad Allà la grazia della pioggia. Li seguitai, andavano alla moschea principale. Non sapendo che qui è rigorosamente proibito ai cristiani di metter piede nelle moschee, quando fui davanti alla porta, feci l’atto d’entrare. Un vecchio arabo mi si slanciò contro e borbottando con voce affannata qualcosa che interpretai per:—Che cosa fai, disgraziato!—mi spinse indietro coll’atto di chi rimova un fanciullo da un precipizio. Mi dovetti dunque contentare di vedere dalla strada le arcate bianche del cortile, non dolendomi però gran fatto, dopo aver visto le gigantesche moschee di Costantinopoli, d’essere escluso da quelle di Tangeri, prive d’ogni aspetto monumentale, fatta eccezione dei minareti. Ma nè anco i loro minareti,—grosse torri quadrate od esagone, rivestite di mosaici di molti colori, e sormontate da una torricina a tetto piramidale,—valgono i minareti bianchi e leggerissimi che si alzano al cielo come smisurate antenne d’avorio dalla sommità delle colline di Stambul. Mentre stavo là guardando nel cortile, una donna, di dietro alla fontana delle abluzioni, mi fece un atto colla mano. Potrei lasciar credere che fosse un bacio; ma era un pugno. * * * Son salito alla Casba, o castello, posto sopra una collina che domina Tangeri. È un gruppo di piccoli edifici circondati di vecchie mura, dove stanno le autorità, i soldati e i prigionieri. Non ci trovai che due sentinelle assonnate, sedute davanti a una porta, in fondo a una piazzetta deserta, e qualche mendicante disteso in terra, saettato dal sole e divorato dalle mosche. Di lassù si abbraccia collo sguardo tutta Tangeri, che si stende ai piedi delle mura della Casba e risale su per un’altra collina. L’occhio rifugge quasi da tutta quella bianchezza purissima, macchiata soltanto qua e là dal verde di qualche fico imprigionato fra muro e muro. Si vedono i terrazzi di tutte le case, i minareti delle moschee, le bandiere delle Legazioni, i merli delle mura, la spiaggia solitaria, la baia deserta, i monti della costa, uno spettacolo vasto, silenzioso e splendido, che rasserenerebbe la più cupa nostalgia. Mentre stavo contemplando mi riscosse una voce acuta e tremula, d’un’intonazione strana, che veniva dall’alto. Mi voltai, e solamente dopo aver un po’ cercato, scopersi sulla cima del minareto d’una moschea della Casba una piccola macchia nera, il muezzin, che invita i fedeli alla preghiera lanciando ai quattro venti il nome di Allà e di Maometto. Poi tornò a regnare tutt’intorno il silenzio malinconico del mezzogiorno. * * * Farsi cambiare il danaro, in questo paese, è una calamità. Ho dato una lira francese al tabaccaio perchè mi rendesse dieci soldi. Questo moro feroce aprì una cassetta e cominciò a pigliare e a buttar sul banco manate di monetaccie nere e sformate, finchè ce ne fu un mucchio da farne il carico ordinario d’un facchino, diede una contata alla lesta e stette ad aspettare che me le intascassi.—Scusate—gli dissi, cercando di ripigliar la mia lira;—non sono abbastanza robusto da poter comprare nella vostra bottega.—Poi m’accomodai pigliando altri sigari e portando via una tascata soltanto di quel tritume di danaro per farmi spiegare che cosa fosse. È una moneta chiamata flu, di rame, la cui unità val meno d’un centesimo e va ancora scemando ogni giorno di valore, perchè il Marocco n’è inondato, ed è inutile aggiungere a qual fine l’abbia profusa e la profonda il Governo, quando si dica che il Governo paga con questa moneta e non riceve che oro ed argento. Ma ogni male ha il suo bene, e questi flù, questo flagello del commercio, hanno la inestimabile virtù di preservare i marocchini da molti malanni, e in specie dalla jettatura, in grazia del così detto anello di Salomone, una stella di sei punte che v’è impressa da una parte; immagine dell’anello vero chiuso nella tomba del gran Re, il quale governava con esso i buoni e i cattivi genii. * * * Non v’è che un luogo dove passeggiare, ed è la spiaggia che si stende dalla città verso il capo Malabat, una spiaggia sparsa di conchiglie e di vegetali rigettati dal mare, e coperta in varii punti da larghe distese d’acqua, difficili a guadarsi durante l’alta marea. Questi sono i Campi Elisi o le Cascine di Tangeri. L’ora della passeggiata è la sera, verso il tramonto. A quell’ora vi sarà una cinquantina d’Europei che passeggiano a coppie o a gruppi, a qualche centinaio di passi gli uni dagli altri, in modo che dalle mura della città si riconoscono uno per uno alla distanza d’un miglio. Viene innanzi una signora inglese a cavallo, accompagnata da una guida; più in là, due mori della campagna; dopo i mori, il Console di Spagna colla sua signora; poi un Santo; poi una cameriera francese con due bimbi; poi uno stormo di campagnuole arabe che passano un’acqua, scoprendo le ginocchia e nascondendosi il viso, e più lontano, a intervalli, un cappello a staio, un cappuccio bianco, un chignon, fino all’ultimo che dev’essere il Segretario della Legazione di Portogallo coi calzoni chiari che gli hanno portato ieri da Gibilterra; perchè in questa piccola colonia europea tutti sanno tutto di tutti. Se non fosse irriverente il paragone, direi che mi pare una passeggiata di condannati a domicilio coatto, o di viaggiatori tenuti in ostaggio dai pirati d’un’isola selvaggia, che aspettino l’arrivo d’un bastimento col denaro del riscatto. È assai più facile raccapezzarsi nell’immensità di Londra che in mezzo a questo pugno di case che starebbero tutte in un canto dell’Hayd-Park. Tutti questi vicoletti, cantucci, crocicchi, dove appena si può passare, si somigliano fra loro come le cellule d’un’arnia, e non è che un’attentissima osservazione dei più minuti particolari che possa far distinguere un luogo da un altro. Finora, appena uscito dalla piazza e dalla strada principale, mi smarrisco. In pieno giorno, in uno di questi corridoi silenziosi, due arabi potrebbero legarmi, imbavagliarmi e farmi sparire per sempre dalla faccia della terra senza che nessuno vedesse e sentisse nulla. Eppure un cristiano può girare solo per questo labirinto, in mezzo a questi barbari, di giorno e di notte, con maggior sicurezza che in qualunque nostra città. Qualche asta di bandiera europea, ritta sopra un terrazzo come l’indice minaccioso di una mano nascosta, basta a ottenere quello che non ottiene fra noi una legione d’armati. Che differenza di civiltà tra Londra e Tangeri! Ma ogni città ha i suoi vantaggi. Là vi sono i grandi palazzi e le strade ferrate sotterranee; qui si può attraversar la folla col soprabito sbottonato. Non c’è in tutta Tangeri nè un carro nè una carrozza; non si sente strepito d’officine nè suono di campane nè grida di venditori; non si vede nessun movimento affrettato nè di cose nè di persone; gli stessi Europei, per non saper dove battere il capo, restano per ore immobili in mezzo alla piazza; tutto riposa e invita al riposo. Io stesso, che son qui da pochi giorni, comincio a sentir l’influsso di questa vita molle e sonnolenta. Arrivato al Soc di Barra, mi sento irresistibilmente risospinto verso casa; lette dieci pagine d’un libro, il libro mi sfugge di mano; una volta abbandonata la testa sulla spalliera della poltrona, ho bisogno di

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Argomenti: casa pieno,    accento supplichevole,    silenzio malinconico,    lira francese,    inestimabile virtù

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