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Marocco di Edmondo De Amicis pagina 32passi dinanzi a noi, col suo famoso caffettano, fa su questo gran quadro barbaresco e festoso, la più armoniosa macchietta rossa che possa immaginare un pittore. Il passaggio durò parecchie ore, e via via che passava, la carovana si rimetteva in cammino. Quando gli ultimi cavalli furono sulla sponda sinistra, il governatore Ben-el-Abbassi rimontò in sella e raggiunse i suoi soldati sull’alto della riva opposta. Sul punto di partire, l’Ambasciatore e tutti noi alzammo la mano in segno di saluto. La scorta di Karia-el-Abbassi rispose con una tempesta di fucilate e disparve; ma per qualche momento vedemmo ancora in mezzo al fumo la bella figura bianca del Governatore, ritta sulle staffe, col braccio teso verso di noi in segno di buon augurio e d’addio. Accompagnati dalla sola scorta di Fez, c’innoltrammo nella terra dei Beni-Hassen, tristamente famosa. BENI-HASSEN Per più d’un’ora, si camminò in mezzo a campi d’orzo altissimo, dai quali usciva qua e là una tenda nera, una testa di cammello, un nuvolo di fumo. Per i sentieri dove passavamo, correvano scorpioni, biscie e lucertole. Il sole, in quel poco tempo, ci aveva infocate le selle per modo che quasi non vi si poteva tener sopra la mano. La luce ci offendeva gli occhi, il polverìo ci soffocava, tutti tacevano. La pianura che ci si stendeva dinanzi come un oceano mi dava non so che sgomento, come se la carovana dovesse camminare eternamente. Ma la curiosità di veder da vicino quei fieri Beni-Hassen, di cui avevo tanto inteso parlare, mi rianimava.—Che gente sono?—domandai a un interprete.—Ladri e assassini—mi rispose;—faccie dell’altro mondo, la peggior genìa del Marocco.—Ed io spiavo ansiosamente l’orizzonte. Le faccie dell’altro mondo non si fecero aspettare lungo tempo. Vedemmo lontano, davanti a noi, un gran nuvolo di polvere, e pochi momenti dopo fummo circondati da una turba di trecento selvaggi a cavallo, verdi, gialli, scarlatti, bianchi, violetti, cenciosi, scarmigliati, ansanti, che pareva che venissero da una mischia. In mezzo al fitto polverìo che ci avvolgeva, vedemmo il loro Governatore, un gigante con lunghi capelli e gran barba nera, seguito da due vicegovernatori canuti, armati tutti e tre di fucile, avvicinarsi all’Ambasciatore, stringergli la mano e sparire. Subito dopo cominciarono le cariche, gli urli e le fucilate. Parevano frenetici. Sparavano fra le gambe delle nostre mule, sopra la nostra testa, rasente le nostre spalle. Visti da lontano, dovevan sembrare una banda d’assassini che ci assalisse. V’eran dei vecchi formidabili con lunghe barbe bianche, ridotti a ossa e pelle; ma che parevan fatti per resistere ai secoli. V’eran dei giovani con lunghissime ciocche di capelli neri che ondeggiavano al vento come criniere. Molti avevano il petto, le gambe e le braccia nude, turbanti in brandelli e cenci rossi attorcigliati intorno al capo; caic laceri, selle disfatte, briglie di corda, sciabolaccie e pugnali di forme strane. Le faccie poi!—È assurdo,—diceva il comandante, facendo la caricatura di don Abbondio,—è assurdo il supporre che questa gente possa fare il sacrifizio di non ucciderci!—Ognuna di quelle faccie raccontava una storia di sangue. Ci guardavano passando, colla coda dell’occhio, come per nasconderci l’espressione del loro sguardo. Cento ci venivan dietro, cento a destra, cento a sinistra, sparsi per i campi a grande distanza. Questa guardia dai lati era nuova per noi; ma non tardò ad essere giustificata. Più andavamo innanzi, più spesseggiavano le tende nella campagna, fin che passammo in mezzo a veri villaggi circondati di fichi d’India e d’aloé. Da tutte queste tende accorrevano arabi, vestiti d’una semplice camicia, a gruppi, a piedi, a cavallo, in groppa agli asini, due, persino tre sopra una sola cavalcatura; le donne coi bimbi appesi alle spalle, i vecchi sostenuti dai ragazzi, tutti affannati, smaniosi di vederci, e forse non di vederci soltanto. A poco a poco ci fu intorno un popolo. Allora i soldati della scorta cominciarono a disperderli. Si slanciarono al galoppo di qua e di là contro i gruppi più numerosi, urlando, percotendo, rovesciando cavalcature e cavalcatori, tirandosi dietro da ogni parte improperii e maledizioni. Ma i gruppi dispersi si riannodavano e continuavano ad accompagnarci correndo. A traverso il fumo e il polverìo, rotto dai lampi delle fucilate, vedevamo per quei vastissimi campi, in lontananza, tende, cavalli, cammelli, armenti, gruppi di aloé, colonne di fumo, frotte di gente rivolta verso di noi, immobile, in atteggiamento di stupore. Eravamo finalmente arrivati in una terra abitata! Esisteva dunque, non era una fiaba, questa benedetta popolazione del Marocco! Dopo un’ora di passo accelerato, ci si trovò di nuovo in una campagna solitaria, non accompagnati da altri che dalla scorta; e fatto appena un altro miglio, svoltando intorno a una macchia di fichi d’India, s’ebbe l’inaspettato e sempre vivissimo piacere di veder sventolare la bandiera italiana in mezzo alla nostra piccola città vagante, di cui s’alzavano in quel momento appunto le ultime case. L’accampamento era sulla sponda del Sebù, il quale descrive un grand’arco dal punto dove l’avevano passato fino a quello dove eravamo giunti. Una fitta catena di sentinelle a piedi, armate di fucile, si stendeva tutt’intorno alle tende. Il paese era dunque pericoloso davvero. Se ne avessi ancora potuto dubitare, me ne avrebbero arcipersuaso le notizie che raccolsi poi. I Beni-Hassen sono il popolo più turbolento, più audace, più manesco, più ladro di tutta la vallata del Sebù. L’ultima loro prova fu una rivolta sanguinosa scoppiata nell’estate del 1873, quando salì al trono il Sultano regnante, la quale cominciò col saccheggio della casa del Governatore, a cui rubarono perfino le donne. Il latrocinio è il loro mestiere principale. Si raccolgono in bande, a cavallo, armati, e fanno delle scorrerie di là dal Sebù o nelle altre terre vicine, rubando quanto possono portare o trascinare, e ammazzando, per precauzione, quanti incontrano. Sono disciplinati, hanno dei capi, degli statuti, dei diritti riconosciuti, in un certo senso, persino dal Governo, il quale si serve qualche volta di loro per riavere quello che gli è stato rubato. Rubano per via d’imposte forzate. La gente depredata, invece di sciupare il tempo in ricerche e in ricorsi, ricupera l’aver suo pagando una somma convenuta al capo dei ladri. Per i ragazzi, specialmente, è ammesso come cosa naturalissima che debbano tutti rubare. Se si pigliano una palla nella schiena o si fanno spezzare il capo da una sassata, peggio per loro; si sa che nessuno vuol lasciarsi rubare; e poi non c’è rosa senza spine. I padri lo dicono ingenuamente: un figliuolo di otto anni rende poco, uno di dodici anni assai di più, uno di sedici molto. Ogni ladro ha il suo genere proprio: c’è il ladro di biade, il ladro di bestie bovine, il ladro di cavalli, il ladro di mercato, il ladro di duar [1], il ladro di strada. Ci sono persino i ladri che riscuotono un’imposta fissa da tutte le donne che fanno derrata di sè, non rare nemmeno fra quelle tribù vagabonde. Per le strade, assaltano particolarmente gli Ebrei, ai quali è proibito di portar armi. Ma il latrocinio più comune è quello a danno dei duar. In questo sono artisti insuperabili, non solo fra i Beni-Hassen, ma in tutto il Marocco. Vanno a rubare a cavallo, e la grand’arte consiste più nella rapidità che nell’accortezza, più nel non lasciarsi raggiungere che nel non lasciarsi vedere. Passano, afferrano e dispaiono, senza dar tempo alla gente di riconoscerli. Son furti a volo, fulminei, giochi di prestidigitazione equestre. Rubano pure a piedi e anche in questo son maestri. S’introducono nei duar, nudi, perchè i cani non abbaiano agli uomini nudi; insaponati da capo a piedi, per sguisciare dalle mani di chi li afferri; con un fascio di fronde tra le braccia, perchè Tag: ladro noi gente tutti mezzo piedi tempo fumo scorta Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Decameron di Giovanni Boccaccio La divina commedia di Dante Alighieri Garibaldi di Francesco Crispi Il colore del tempo di Federico De Roberto Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerte Capodanno Caracas Spunti per scrivere un libro Come pulire i gioielli d'oro I profumi per l'inverno Indipendenza e opportunismo, leggende sui gatti
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