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Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 7interna che dà sulla via delle nazioni. Sì, è un po' una cosa da teatrino, ma bella; un grazioso scherzo combinato da venti popoli, ingegnosamente; mezzo mondo veduto di scorcio; la via d'una grande città di là da venire, in un tempo di fratellanza universale, quando saranno sparite le patrie. A primo aspetto non sembra che una splendida bizzarria, e si pensa che il mondo ha avuto un quarto d'ora di buon umore. Tutta quella linea così mattamente spezzettata di tetti acutissimi, di torricciuole gotiche, di chioschetti e di campanili, di guglie e di piramidi, quella fuga di facciate di colori vivissimi, lucenti di mosaici e di dorature, ornate di stemmi, decorate di statue, coronate di bandierine che s'aprono in colonnati ed in portici e sporgono in terrazze a balaustri, in balconi vetrati, in loggie aeree, in scale esterne e in gradinate, fra aiuole di fiori e zampilli di fontane; quella fila di villini, di reggie, di chiostri, di palazzine, dei quali non si riconosce subito nè la nazionalità nè lo stile, non destano da principio che un senso di confusione piacevole, come il frastuono allegro d'una festa. Ma dopo la prima corsa, quando si son riconosciuti gli edifizi, lo spettacolo muta significato. Allora da ognuna di quelle facciate esce un'idea, l'espressione di un sentimento diverso della vita, e come un soffio d'aria d'un altro cielo e d'un altro secolo, che bisbiglia nomi d'imperatori e di poeti, e porta il suono di musiche lontane, piene di pensieri e di memorie. E fanno una impressione strana tutti quei belli edifizi muti e senza vita. Pure che dentro vi si prepari qualche cosa, e che al sonare di mezzogiorno, come da tante cassette di orologi, debbano affacciarsi improvvisamente a tutte quelle finestre e a tutte quelle porte, e correre lungo le balaustrate, castellani inglesi e borgomastri fiamminghi, girolamiti del Portogallo e sacerdoti dell'Elefante bianco, mandarini e sultane, e ateniesi del tempo di Pericle e gentildonne italiane del quattordicesimo secolo, e fatte le loro riverenze automatiche, rientrare alla battuta dell'ultim'ora. La via è lunghissima. Stando a metà si vede appena in fondo, confusamente, la facciata rossa e bianca dei Paesi Bassi e la ricchissima porta claustrale del Portogallo, accanto alla quale i piccoli Stati africani ed asiatici aggruppano le loro bizzarre architetture variopinte, schiacciate dall'edifizio elegante ed altiero dell'America del Sud. Più in qua signoreggia il palazzo del Belgio, severo e magnifico, colle sue belle colonne di marmo scuro, dai capitelli dorati; e fra il Belgio aristocratico e la Danimarca pensierosa, fa capolino timidamente, come una prigioniera, la piccola Grecia bianca e gentile. Alcune facciate par che abbiano un senso politico. La Svizzera slancia innanzi bruscamente, con una specie d'insolenza democratica, il suo enorme tetto bernese accanto alla mole giallastra della santa Russia, che affetta la superbia minacciosa d'un castello imperiale. Fra il lungo porticato austriaco e la faccia nera e fantastica della China, s'alza la Spagna arabescata e dorata dei Califfi; e fanno uno strano senso, dopo le due casette semplici e quasi melanconiche della Scandinavia, le arcate teatrali d'Italia, messe in rilievo dalle tende purpuree; dietro alle quali salta fuori inaspettatamente la facciata rustica del Giappone colle sue grandi carte geografiche piene di pretensione scolaresca. E finalmente, più vicino all'entrata, dan nell'occhio gli Stati Uniti sdegnosi, che non vollero prender parte alla gara, contentandosi di esporre fieramente i loro cinquanta stemmi repubblicani sopra una piccola casa bianca e vetrata, accanto alla quale s'alzano i cinque edifizi graziosi dell'Inghilterra. Una folla di stranieri che vanno e vengono, tutti col viso rivolto dalla stessa parte, cercando curiosamente l'immagine della patria, e riconoscendola con un sorriso, dà a questa strana via un aspetto amabile d'allegrezza, e come un'aria di pace e di cortesia, che mette il desiderio di distribuire strette di mano da tutte le parti, e di fondare un giornaletto settimanale per intimare il disarmo dell'Europa. Per prima cosa entrai nell'immenso palazzo coperto delle «sezioni straniere» e mi trovai in mezzo al magnifico disordine dell'Esposizione d'Inghilterra. Qui la prima idea che passa per il capo è di voltar le spalle e di tornarsene a casa. Il primo giorno si passa fra tutte quelle meraviglie inglesi con una indifferenza di cretini. Si gira per un pezzo in mezzo ai cristallami purissimi, alle ceramiche, alle orerie, ai mobili, a oggetti d'arte improntati delle ispirazioni di tutti i tempi o di tutti i popoli; frutti dell'ingegno e della pazienza, che riuniscono la bellezza e l'utile, e accusano il lusso severo d'un'aristocrazia straricca e fedele alle sue tradizioni, e l'osservazione variatissima di un popolo sparso per tutta la terra; e qui si sente l'aria delle grandi officine di Manchester, là si vive un istante in un castello delle rive del Tamigi, più in là spira la poesia intima e quieta dell'home modesto, che aspetta la fortuna dal navigatore lontano. Si passa fra le grandi alghe marine del Capo di Buona Speranza, fra i canguri e gli eucalipti di Victoria e della Nuova Galles, fra i minerali di Queensland, fra i gioielli bizzarri dell'Australia del Sud, tra un'esposizione interminabile di flore, di faune, di industrie e di costumi di tutte le colonie dell'immenso regno, e non s'è ancora arrivati in fondo che s'è già fatto cento volte col pensiero il giro del globo, e s'è sazii. Ma ogni cambiamento di «sezione» fa l'effetto di una rinfrescata alla fronte. Cento passi più in là, è un altro mondo. Vi trovate improvvisamente davanti a uno spettacolo nuovissimo. È da ogni parte un sollevarsi e un abbassarsi di letti chirurgici, un allargarsi e un restringersi di sedie, che sembravan vive, per le operazioni oculistiche; un girar di tavole anatomiche, un aprirsi di dentiere, un alzarsi di ferri minacciosi e feroci, uno scricchiolio e uno scintillamento che mette freddo nelle ossa. Non c'è bisogno di chiedere in che parte del mondo ci si trovi. L'oreficeria solida, i vasi enormi d'argento, gli orologi dei minatori della California, i trofei delle ascie di Boston, i congegni elettrici, le carte monetate, le vetrine irte di ferro e le mitragliatrici formidabili; una certa fierezza poderosa e rude di cose utili, annunzia l'esposizione degli Stati Uniti, non so se rallegrata o rattristata da una musica fragorosa d'organi, d'armonium e di pianoforti, la quale seconda mirabilmente le divagazioni della fantasia in mezzo ai mille oggetti che ricordano le lotte e i lavori immani dei coloni nelle solitudini del nuovo mondo. Ma un nuovo spettacolo cancella subito questa impressione violenta, La ricchezza dei legni scolpiti delle vetrine annunzia il paese delle grandi foreste, e mille immagini rammentano la dolce tristezza dei bei laghi coronati di montagne irte di pini e bianche di neve. In mezzo ai prodotti delle miniere di Falum e ai blocchi di nikel, si alzano i trofei di pelliccie, circondati di teste d'orsi, di lontre e di castori; le stufe colossali, le piramidi nere di bottiglie sferiche, i pattini, i cordami, e i grandi mucchi di fiammiferi svedesi; ai quali succedono le ceramiche in cui brilla un riflesso pallido dei mari boreali, e i mille oggetti scolpiti dai contadini norvegi nelle veglie interminabili delle notti d'inverno. Immagini e colori che presentano tutti insieme un gran quadro malinconico, nel quale matte appena un sorriso la bianchezza argentea delle filigrane di Cristiania, come uno spiraglio sereno in un cielo rannuvolato. Lo spiraglio però s'allarga improvvisamente all'uscire dalle sale della Scandinavia, e alle brume boreali succede in un batter d'occhio l'ampio sereno immacolato di un cielo primaverile; un popolo di statue candide, uno sfolgorìo diffuso di cristalli, un luccichio di sete e di musaici, un riso di colori e di forme, davanti a cui tutti i visi si Tag: uno tutti mondo grandi mezzo parte spettacolo prima senso Argomenti: grande città, cento passi, nuovo spettacolo, grazioso scherzo, magnifico disordine Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Marocco di Edmondo De Amicis Nel sogno di era Novelle rusticane di Giovanni Verga Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerte Capodanno Barcellona Partire in Estate per Milano La Riviera Romagnola ed i suoi parchi Scrub casalingo e cura delle mani Candele per l'aromaterapia
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