Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 38

Testo di pubblico dominio

farvi ammirare a suono d'applausi quel dato verso? E quelle eterne romanze, cantate da voci di gallina spennata viva, che vi tocca a ingoiare in tutte le case? Poi vi ristucca quel desinare a bocconcini numerati e classificati, tutta quella esposizione di prezzi, a centesimi, quel non so che di gretto e di pedantesco, da collegio-convitto, mascherato d'un lusso di baracca da fiera; quell'eterno sacrifizio d'ogni cosa all'apparenza, quell'eleganza leccata e pretenziosa, quel puzzo perpetuo di marchand de vin e di cosmetici, quegli spicchi di case, quelle scalette a chiocciola, quelle scatole di botteghe, quelle stie di teatri, quella réclame da saltimbanchi, quella pompa da bazar, la fontanella misera, l'albero tisico, il muro nero, l'asfalto fangoso; e appena fuori del centro, quei sobborghi immensi e uniformi, quegli spazii interminabili che non sono nè città nè campagna, sparsi di casoni solitarii e tristi, e quei giardinetti da asilo infantile, e quei villaggi da palco scenico. Ed è questa la grande Parigi? Se un terremoto fa crollare tutte le vetrine e una pioggia ardente cancella tutte le dorature, che cosa ci resta? Dov'è la ricchezza di Genova, la bellezza di Firenze, la grazia di Venezia, la maestà di Roma? Vi piace davvero quella vanagloriosa parodia di S. Pietro che è il Panteon, o quel tempiaccio greco-romano della Borsa, o quell'enorme e splendida caserma di cavalleria delle Tuileries, e la decorazione da Opéra comique della piazza della Concordia, e le facciate dei teatrini rococò, e le torri in forma di clarini giganteschi, e le cupole fatte sul modello del berretto dei jokey? E questa è la città che «riassume» Atene, Roma, Tiro, Ninive e Babilonia? Gomorra e Sodoma, sì, davvero. E non lo dite per la grandezza, della corruzione, ma per la sua insolenza. Ognuno ha il suo impiccato all'uscio, ci s'intende, ma est modus in rebus. In casa vostra almeno, come vi dice anche qualche francese, elles se conduisent bien. Ma dove sì vede, fuorchè là, una doppia fila di lupanari aperti sulla strada, colle belle esposte sul marciapiede, che alzano lo stivaletto ad altezze…. vertiginose, e mille restaurants, dove si gettano i mots crus da una parte all'altra della sala, o giocan di scherma coi piedi, sotto la tavola, coll'amico del cuore, a puntate pericolose? E che «genere»! Andate alle Folies Bergère: vi par di sentir ridere delle macchinette; sembra che abbian fatto tutte un corso di civetteria dalla stessa maestra; non movono un pelo senza uno scopo; regolano l'arte della seduzione col termometro, per non sciuparla, e la fan salire d'un grado alla volta, e hanno una tariffa per grado. Il sangue, poi! «Tra due guancie impiastrate un mezzo naso.» La bellezza è tutta nelle carrozze chiuse o nei salotti inaccessibili; alla luce del sole non ci sono che le acciughe Di lussuria anelanti e semivive o i donnoni che scoppian nel busto, immobili dietro ai comptoirs, come grosse gatte, con quei faccioni antigeometrici, che non dicono il bellissimo nulla. E il sesso mascolino, dunque! Quel formicolìo di gommeux, mostre di uomini, con quei vestiti da modellini di sarto, da cui spunta la cocca del fazzoletto e la punta della borsina e il guantino e il mazzettino; environnés, come dice il Dumas, d'une légére atmosphère de perruquier; senza spalle, senza petto, senza testa, senza sangue, che paiono fatti apposta per essere scappellati con una pedata da una ballerina del Valentino! E che ragazzaglia tutti quanti, giovani e vecchi, di tutte le classi! Trecento «cittadini» si affacciano alle spallette d'un ponte per veder lavare un cane; passa un tamburo, s'affolla mezzo mondo; e mille persone, in una stazione di strada ferrata, fanno un fracasso interminabile di battimani, d'urli e di risa perchè è caduto il cappello a un guardatreni; e guardatevi bene dal tossire, perchè possono mettersi a tossire tutti e mille insieme per tre quarti d'ora. E che democratici! Oh questo sì; democratici nel sangue, e fierissimi sprezzatori d'ogni vanità, come monsieur Poirier. Il vostro amico intimo, per desinare faccia a faccia con voi, in casa propria, si mette il nastro all'occhiello; il ricco negoziante di telerie vi annunzia col viso radiante, come un trionfo della casa, che avrà a pranzo un sotto prefetto dègommé; i sergents de ville si pigliano impunemente, colla folla, delle licenze manesche di cui basterebbe una mezza, fra noi, a provocare un sottosopra; e il popolo sovrano, nelle feste pubbliche, è fermato a tutti i varchi a furia di sentinelle e di barricate, scacciato, malmenato con una brutalità, che persino l'aristocratico Figaro, il giornale che concilia con tanto garbo la descrizione d'una santa comunione e l'aneddoto della fille aux cheveux carotte, si sente in dovere di levare un grido d'indignazione. E dove s'è mai vista una letteratura più spasimante per il blasone; scrittori che si lascino venire così ingenuamente l'acquolina sulle labbra al suono di un titolo gentilizio, e che mettano più stemmi e più boria aristocratica nelle loro creazioni? Quando ci libereranno dai loro eterni visconti e dalle loro eterne marchese questi ostinati frustasalotti? Non ce n'hanno ancora imbanditi abbastanza di quei loro «protagonisti» nobili, giovani, belli, spiritosi, coraggiosi, spadaccini, irresistibili, che hanno tutti i doni di Dio «même une jolie voix de ténor?» E ghiotti di ciondoli, Dio buono! Quel povero Paul de Kock, che a settantaquattro anni scrive venti pagine per provare che non gl'importa nulla di non aver ricevuto la Legion d'onore, e ha quasi voglia di piangere! E dov'è un altro paese democratico, in cui gli scrittori coprano d'un ridicolo così sanguinosamente ingiurioso intere classi della cittadinanza, dove l'epiteto di bourgeois abbia assunto, in mente di coloro stessi a cui spetta, un significato più aristocraticamente sprezzante, e dove basti un nome, solo perchè ha il suggello plebeo, a far scoppiare dalle risa una platea? Ma cos'è dunque questo bizzarro impasto di contraddizioni, il Parigino? Chi lo sa? Afferratelo; vi sguiscia di mano. Presentategli il bandolo d'una di quelle quistioni in cui si rivela un uomo, ed egli, astutamente, lo rimette in mano a voi con un colpo di mano da prestigiatore. Hanno spirito: ce lo cantano in tutti i tuoni, ed è vero. Ma fino a un certo segno. Hanno un ricchissimo corredo di proposizioni e di giri di frase, arguti, svelti, elasticissimi, con cui se la cavano dalle strette più difficili, e tagliano la parola a uno spirito più profondo ma meno destro. Ci sono molti Parigini, certo, che sono spiritosissimi; ma questi lavorano per tutti. La superiorità loro è che il grosso della popolazione è un eccellente conduttore di questa specie d'elettricità dell'ingegno, per cui il motto arguto detto da uno la mattina, girando con rapidità meravigliosa, diventa proprietà di mille la sera, e ciascuno è sempre ricco di tutta la ricchezza circolante. Ma che il gamin di Parigi sia proprio di tanto più arguto del vallione di Napoli e del becerino di Firenze? E come ci studiano! Si preparano per i pranzi, vanno alla conversazione col repertorio già scelto e ordinato, e conducono il discorso a zig zag, a salti, a giravolte, a sgambetti, con un'arte infinita, per metter fuori, in quel dato momento, il gran tesoro d'una corbelleria. E questi spiritosi di seconda mano si somiglian tutti; sentito un commis voyageur, ne avete sentito mille. Ci son certi ingredienti e un certo meccanismo per distillare quello spirito, che una volta scoperti, è finita, come delle botte «di riserva» degli schermitori. Ma ci tengono! Fa pietà e dispetto davvero, vedere il vecchio acciaccoso, affetto d'incipiente delirium tremens, che quando è riuscito, nella folla, a infilare un giochetto di parole che fa sorridere cinque grulli, rialza la fronte sfolgorante di gloria e di gioia, e se ne va beato per una settimana! E poi questa mania universale di fair de l'esprit che castra il

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Argomenti: ricco negoziante,    tanto garbo,    certo meccanismo,    puzzo perpetuo,    fracasso interminabile

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