Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 28

Testo di pubblico dominio

tutti i suoi romanzi, non si capisce chi sia e che cosa sia. È un osservatore profondo, è un pittore strapotente, è uno scrittore meraviglioso, forte, senza rispetti umani, brusco, risoluto, ardito, un po' di malumore e poco benevolo; ma non si sa altro. Soltanto, benchè non si veda mai a traverso le pagine del suoi libri il suo viso intero, si intravvede però la sua fronte segnata da una ruga diritta o profonda, o s'indovina ch'egli deve aver visto da vicino una gran parte delle miserie e delle prostituzioni che descrive. E pare un uomo, il quale essendo stato offeso dal mondo, se ne vendichi strappandogli la maschera e mostrando per la prima volta com'è: in gran parte odioso e schifoso. Una persuasione profonda lo guida e lo fa forte: che si debba dire e descrivere la verità; dirla e descriverla ad ogni proposito, a qualunque costo, qualunque essa sia, tutta, sempre, senza transazioni, sfrontatamente. Ha in questo anche lui, come dice dello Shakespeare Vittor Hugo, une sorte de parti pris gigantesque. A questo «partito preso» adatta conseguentemente l'arte sua, che viene ad essere una riproduzione piuttosto che una creazione; ed è infatti un'arte tranquilla, paziente, metodica, che non manda grandi lampi, ma che rischiara ogni cosa, d'una luce eguale, da tutte le parti; ardimentosa, ma guardinga nei suoi ardimenti; sempre sicura dei fatti propri; che s'alza poco, ma non casca mai, e procede a passo lento, ma per una via direttissima, verso un termine che vede chiarissimamente. I suoi romanzi non son quasi romanzi. Non hanno scheletro, o appena la colonna vertebrale. Provate a raccontarne uno: è impossibile. Sono composti d'una quantità enorme di particolari, che vi sfuggono in gran parte dopo la lettura, come i mille quadretti senza soggetto d'un museo olandese. Perciò si rileggono con piacere. Vi si aspetta di pagina in pagina un grosso fatto, che ci fugge davanti, e non si raggiunge mai. Non vi accade mai un urto forte di affetti, d'interessi, di persone, che tenga l'animo sospeso, e da cui tutto il romanzo dipenda. Non ci sono punti alti, da cui si domini con uno sguardo un grande spazio; è una continua pianura in cui si cammina a capo chino, deviando ogni momento e arrestandosi ad ogni passo ad osservare la pietra, l'insetto, l'orma, il filo d'erba. I suoi personaggi non agiscono quasi. La maggior parte non sono necessarii a quella qualsiasi azione che si svolge nel romanzo. Non son personaggi che recitino la commedia; son gente intesa alle proprie faccende, colta colla fotografia istantanea, senza che se n'accorga. Nel romanzo c'è qualche mese o qualche anno della vita di ciascuno. Li vedete vivere, ciascuno per conto proprio, e ciascuno v'interessa principalmente per sè medesimo; poco o punto per quello che ha che fare cogli altri. Di qui nasce la grande efficacia dello Zola. Di quanto difetta il suo romanzo in orditura, di tanto abbonda in verità. Non ci si vede la mano del romanziere che sceglie i fatti, che li accomoda per congegnarli, che li nasconde l'un dietro l'altro per sorprenderci, e che prepara un grande effetto con mille piccoli sacrifizi della verosimiglianza e della ragione. Il racconto va da sè, in modo che non par possibile altrimenti, e sembra una esposizione semplice del vero, non solo per i caratteri, ma anche per la natura dei fatti, e per l'ordine in cui si succedono. Si legge e par di stare alla finestra, e di assistere ai mille piccoli accidenti della vita della strada. Perciò quasi tutti i romanzieri, in confronto suo, fanno un po' l'effetto di giocatori di bussolotti. E non avendo la preoccupazione comune degli scrittori di romanzo, d'annodare e di districare molte fila e di tirarle da varie parti ad un punto, è libero di rivolgere tutte le sue facoltà al proprio fine, che è di ritrarre dal vero, e può così raggiungere in quest'arte un grado altissimo di potenza. Non ha, d'altra parte, delle facoltà molto varie; e lo sente; e quindi aguzza e fortifica mirabilmente quelle che possiede, per supplire al difetto delle altre. E si può mettere in dubbio se questo difetto sia a deplorarsi, che forse una più vasta immaginazione avrebbe dimezzato da un altro lato la sua potenza, distraendo una parte delle sue forze dalla descrizione e dall'analisi. Dotato invece come si ritrova, egli concepisce il romanzo in maniera, che il suo concetto e il suo scopo, non inceppano menomamente la libertà del suo lavoro. Inteso ad una scena e ad un dialogo, par che dimentichi il romanzo; è tutto lì; vi si sprofonda e vi lavora con tutta l'anima sua. Il dialogo procede senza scopo, la scena si svolge senza vincoli, e perciò son sempre, l'uno e l'altra verissimi. Intanto egli coglie a volo mille nonnulla, il carro che passa, la nuvola che nasconde il sole, il vento che agita la tenda, il riflesso d'uno specchio, un rumore lontano, e il lettore stesso, dimenticando ogni altra cosa, vive tutto collo scrittore in quel momento e in quel luogo, e vi prova una illusione piacevolissima, che non gli lascia desiderare null'altro. Con questa facoltà di dar rilievo a ogni menoma cosa, e lavorando, come fa, ordinato e paziente, riesce insuperabile nell'arte delle gradazioni, nell'esporre, per una serie di transizioni finissime, la trasformazione lenta e completa d'un carattere o d'uno stato di cose, in modo che il lettore va innanzi, con lui, senz'accorgersene, a piccolissimi passi, e prova poi un sentimento di profonda meraviglia, quando arriva alla fine, e riconosce, voltandosi indietro, che ha fatto un immenso cammino. La efficacia grande di parecchi suoi romanzi consiste, quasi intera in quest'arte. I suoi romanzi son fatti a maglia: una maglia fittissima di piccoli episodi, formati di dialoghi rotti e di descrizioni a ritornello, in cui ogni parola ha colore e sapore, e ogni inciso fa punta, e in ogni periodo c'è, per così dire, tutto lo scrittore. È raro che ci si provi una emozione fortissima e improvvisa. È forse unica nei suoi romanzi la scena desolante e sublime del Monsieur, écoutez donc, di Gervaise, quando s'offre a chi passa, moribonda di fame, e quando si sfama, piangendo, sotto gli occhi di Goujet. Quasi sempre, leggendo, si prova un seguito di sensazioni acri di piacere, di piccole scosse e di sorprese che lasciano l'animo incerto; qui una risata, là un brivido di ribrezzo, un po' d'impazienza, una meraviglia grande per una descrizione prodigiosamente viva, una stretta al cuore per una piaga umana spietatamente denudata, e un leggiero stupore continuo dalla prima all'ultima pagina, come allo svolgersi d'una serie di vedute d'un paese nuovo. Son romanzi che si fiutano, che si assaporano a centellini, come bicchieri di liquore, e che lasciano l'alito forte e il palato insensibile ai dolciumi. A ciò contribuisce in gran parte il suo stile, solido, sempre stretto al pensiero, pieno d'artifizi ingegnosissimi, accortamente nascosti sotto un certo andamento uniforme, padroneggiato sempre dallo scrittore, stupendamente imitativo dei movimenti e dei suoni, risoluto ed armonico, che par accompagnato dal picchio cadenzato d'un pugno di ferro sul tavolino, e in cui si sente il respiro largo e tranquillo d'un giovane poderoso. La forza, infatti, è la dote preminente dello Zola, e chiunque voglia definirlo dice per prima cosa:—È potente. Ognuno dei suoi romanzi è un grand tour de force, un peso enorme ch'egli solleva lentamente e rimette lentamente per terra, facendo quanto è in lui per dissimulare lo sforzo. Letta l'ultima pagina, vien fatto di dire:—Hein? quelle poigne!—come quei tre beoni dell'Assommoir, a proposito del marchese che aveva steso in terra tre facchini a colpi di testa nel ventre. Ed è strana veramente l'apparizione di questo romanziere in maniche di camicia, dal petto irsuto e dalla voce rude, che dice tutto a tutti, in piena piazza, impudentissimamente; la sua apparizione improvvisa in mezzo a una folla di romanzieri in abito nero, ben educati e sorridenti, che dicono mille oscenità

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Argomenti: grande effetto,    quantità enorme,    stupore continuo,    petto irsuto,    terra tre

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