Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 29

Testo di pubblico dominio

in forma decente, in romanzetti color di rosa fatti per le alcove e per le scene. Questo è il suo più alto merito. Egli ha buttato in aria con un calcio tutti i vasetti della toeletta letteraria e ha lavato con uno strofinaccio di tela greggia la faccia imbellettata della Verità: Ha fatto il primo romanzo popolare che abbia veramente «l'odore del popolo.» Ha aggredito quasi tutte le classi sociali, flagellando a sangue la grettezza maligna delle piccole città di provincia, la furfanteria dei faccendieri d'alto bordo; la corruzione ingioiellata, l'intrigo politico, l'armeggio del prete ambizioso, la freddezza crudele dell'egoismo bottegaio, l'ozio, la ghiottoneria; la lascivia, con una tale potenza, che quantunque preceduto su questa via da altri scrittori ammirabili, vi parve entrato per il primo, e i flagellati si sentirono riaprire le ferite antiche con uno spasimo non mai provato. Compiendo quest'ufficio, si è forse spinto qualche volta di là dall'arte; ma aperse all'arte nuovi spiragli, per cui si vedono nuovi orizzonti, e insegnò colori, colpi di scalpello, sfumature, forme, mezzi d'ogni natura, da cui potranno trarre un vantaggio immenso altri mille ingegni, benchè avviati, per un'altra strada, ad una meta affatto diversa. E non c'è da temere che derivi da lui una scuola eccessiva e funesta, poichè la facoltà descrittiva, che è la sua dominante, non può arrivare più in là sulla via che egli percorre, nè il culto della verità nuda avere un sacerdote più intrepido e più fedele. Gli imitatori cadranno miserabilmente sulle sue orme, sfiancati, ed egli rimarrà solo dov'è giunto sull'ultimo confine dell'arte sua, ritto a filo sopra un precipizio, nel quale chi vorrà passargli innanzi a ogni costo, cadrà a capofitto. Ma non si può pronunciare su di lui, per ora, l'ultimo giudizio. Non ha che trentasette anni, è ancora nel fiore della sua gioventù di scrittore, ed è possibile che si trasformi crescendo di statura. È vero che la strada per cui s'è messo è così profondamente incassata e inclinata, che non si capisce come ne possa uscire. Ma è certo che ci si proverà, e se non riuscirà nel suo intento, noi assisteremo almeno a uno di quegli sforzi potenti, e avremo da lui uno di quei «capolavori sbagliati» che non destano minor meraviglia dei grandi trionfi. II La sua storia letteraria è una delle più curiose di questi tempi. I suoi primi lavori furono i Contes à Ninon, scritti a ventidue anni e pubblicati molto tempo dopo. Lì c'è ancora lo Zola imberbe, con una lagrima negli occhi e un sorriso sulle labbra, appena turbato da una leggera espressione di tristezza. Non tiene affatto a questi racconti, e s'arrabbia coi critici che, o sinceramente o malignamente, dicono di preferirli ai suoi romanzi. A un tale che gli espresse tempo fa questo giudizio, rispose:—Vi ringrazio; ma se venite a casa mia vi farò vedere certi miei componimenti di terza grammatica, che vi piaceranno anche di più.—I suoi primi romanzi furono quei quattro arditissimi, fra cui Thérèse Raquin, ora un po' dimenticati, che vennero definiti da un critico «letteratura putrida.» C'era già lo Zola uomo; ma solamente dalla cintola in su. Le sue grandi facoltà artistiche, già spiegate, ma non ancora sicure, sentivano il bisogno di reggersi sopra argomenti mostruosi, che attirassero per sè soli l'attenzione. Si vedeva però già in quei romanzi uno scrittore imperterrito, ch'era risoluto a farsi largo a colpi di gomito, e che aveva il gomito di bronzo. Uno di quei romanzi, Madeleine Férat, che s'aggira sopra un fatto osservato dall'autore, d'una ragazza la quale, abbandonata dall'uomo che ama, ne sposa un altro; ed ha parecchi anni dopo un figliuolo che somiglia al primo, gli suggerì l'idea di scrivere quella serie di romanzi fisiologici, che intitolò Histoire naturelle et sociale d'une famille sous le second Empire; e fin dal primo giorno gli balenò alla mente tutto il lavoro, e tracciò l'albero genealogico che pubblicò poi nella Page d'amour. Credevo che fosse anche questa una delle tante ostentazioni di «un disegno vasto ed antico» con cui gli autori cercano d'ingrandire nel pubblico il concetto delle proprie opere; ma i manoscritti, ch'ebbi l'onore di vedere, mi disingannarono. Fin dal primo principio egli stese l'elenco dei personaggi principali della famiglia Rougon-Macquart, e destinò a ciascuno la sua carriera, proponendosi di dimostrare in tutti gli effetti dell'origine, dell'educazione, della classe sociale, dei luoghi, delle circostanze, del tempo. I primi romanzi di questo nuovo «ciclo» non ottennero molto successo. I linguisti, gli stilisti, tutti coloro che sorseggiano i libri con un palato letterario, ci sentirono della forza, ci trovarono del bello e ci presentirono del meglio; ma non sospettarono che ci fosse sotto un romanziere di primo ordine. Lo Zola se ne indispettì, e gettò allora un guanto di sfida a Parigi, pubblicando quella famosa Curée, in cui è manifesta la risoluzione di levar rumore a ogni costo; quello splendido e orrendo saturnale di mascalzoni in guanti bianchi, in cui il meno turpe degli amori è l'amor d'un figliastro per la matrigna e la donna più onesta è una mezzana. Il romanzo, infatti, fece chiasso; si gridò allo scandalo, come si grida a Parigi, per educazione; ma si lesse il libro avidamente, e quel nome esotico di Zola suonò per qualche tempo da tutte le parti. Ma non fu nemmen quello un successo come egli aspettava o desiderava. E fu anche minore per i romanzi posteriori. Lo spaccio era scarso; la cerchia dei lettori, ristretta, e lo Zola, che sentiva in sè l'originalità e la forza d'un romanziere popolare, se ne rodeva. Ma non si perdeva d'animo.—Non sono abituato,—scriveva,—ad aspettare una ricompensa immediata dai miei lavori. Da dieci anni pubblico dei romanzi senza tender l'orecchio al rumore che fanno cadendo nella folla. Quando ce ne sarà un mucchio, la gente che passa sarà ben forzata a fermarsi.—La sua fama, non di meno, andava allargandosi, benchè lentamente, In Russia, dove si tien dietro con simpatia a tutte le novità più ardite della letteratura francese, era già notissimo, e tenuto in gran conto. Ma questo non gli bastava. Egli aveva bisogno d'un successo clamoroso e durevole, che lo sollevasse d'un balzo, e per sempre, dalla schiera degli «scrittori di talento» che si salutano confidenzialmente con un atto della mano. E ottenne finalmente il suo intento coll'Assommoir Cominciarono a pubblicarlo in appendice nel Bien public; ma dovettero lasciarlo a mezzo, tante furono lo proteste che lanciarono gli abbonati contro quell'«orrore.» Allora fu pubblicato tutto intero in un giornale letterario, e prima che fosse finito cominciarono quelle calde polemiche, che divennero ardenti dopo la pubblicazione del volume, e che saranno ricordate sempre come una delle più furiose battaglie letterarie dei tempi presenti. Queste polemiche diedero un impulso potente al successo del romanzo. Fu un successo strepitoso, enorme, incredibile. Erano anni che non s'era più sentito, a proposito d'un libro, un fracasso di quella fatta. Per lungo tempo tutta Parigi non parlò d'altro che dell'Assommoir; lo si sentiva discutere ad alta voce nei caffè, nei teatri, nei club, nei gabinetti di lettura, persino nelle botteghe; e c'erano gli ammiratori fanatici, ma erano assai di più gli avversati acerrimi. La brutalità inaudita di quel romanzo parve una provocazione, una ceffata a Parigi, una calunnia contro il popolo francese; e si chiamava il libro una «sudicieria da prendere colle molle», un «aborto mostruoso,» un'«azione da galera.» Si scagliarono contro l'autore tutte le litanie delle ingiurie, da quella di nemico della patria, a quella d'«égoutier littéraire» e di porco pretto sputato, senza giri di frase. Le riviste teatrali della fin dell'anno lo rappresentarono nei panni d'uno spazzaturaio che andava raccattando le immondizie colla fiocina per le vie di

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Argomenti: lungo tempo,    impulso potente,    freddezza crudele,    vantaggio immenso,    disegno vasto

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