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Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 24hanno per capo il De Lisle; e formano un drappello di paggi nella corte di Vittor Hugo. Mi fu poi indicato, infatti, in mezzo a loro, un poeta di quella famiglia, Catullus Mendes, del quale avevo già osservato il viso espressivo e simpatico, e i lunghi capelli alla nazzarena. Da un'altra parte c'era un crocchio d'uomini maturi, quasi tutti d'alta statura, fra cui alcune belle teste grigie, dai profili arditi, nelle quali mi parve di riconoscere quell'impronta particolare d'austerità e di tristezza, che lasciano le traversie della vita politica, e che rammenta un po' la fierezza pensierosa dei vecchi capitani di bastimento. C'erano due sole signore, sedute vicino al camminetto; una che m'è sfuggita affatto alla memoria, e un'altra che m'è rimasta impressa profondamente: una signora di forti membra, di capelli bianchissimi, di viso grande e aperto, illuminato da due occhi profondi, taciturna; una dama del Velasquez, senza gorgiera. Era quella mademoiselle Drouet, attrice potente, che rappresentò per la prima volta Lucrezia Borgia, nel 1833, al teatro della Porte Saint-Martin, dove, come tutti sanno, quel terribile dramma scritto in sei settimane riportò un trionfo meraviglioso, V'erano altri personaggi, che mi parvero stranieri, e che avevan l'aria un po' impacciata di chi si trova in una casa illustre per la prima volta. Quasi tutti parlavano. Quando entrò Vittor Hugo tutti tacquero. Egli sedette vicino al camminetto, sopra un sofà, e gli altri gli formarono intorno un grande semicerchio. Allora potei vederlo e sentirlo bene. Non so come, la conversazione cadde sul Congresso letterario. Vittor Hugo, interrogato, espose qualcuna delle idee che avrebbe svolte nel suo discorso inaugurale. Ebbene, riconobbi ch'era vero, con mia sorpresa, quello che m'era stato detto del suo modo di parlare in privato. Io m'aspettavo di sentire le antitesi, i grandi traslati, la forma concettosa e paradossale, e l'intonazione imperativa che è nei suoi scritti, specialmente degli ultimi anni. Nulla di tutto questo, È difficile immaginare un linguaggio più semplice, un tuono più modesto, un modo di porgere più naturale di quello ch'egli usava in quella conversazione. Per non aver l'aria di parlare in cattedra, discorreva guardando in viso uno solo, e a bassa voce.—Ecco quello che io direi—diceva—quello che credo di poter dire; ditemi voi se vi pare che sia a proposito.—Non gestiva affatto; teneva tutt'e due le mani sulle ginocchia. Solo di tratto in tratto si grattava la fronte con un dito: movimento che gli è abituale. E dicono che anche discutendo di letteratura, in crocchio ristrettissimo, e toccando le quistioni più ardenti, parla colla medesima semplicità. Di che bisogna concludere proprio che, scrivendo, nell'esaltazione della fantasia, egli cangi quasi di natura, o che parli di freddo proposito quell'altro linguaggio perchè lo creda più alto e più efficace. Mentre parlava, tutti stavano intenti. Mi fece senso il tuono più che rispettoso, quasi timido, con cui gli rivolgevano la parola anche coloro che parevano suoi famigliari. Nessuno l'interrogava senza dire: Mon maître—Mon cher maître,—Uno disse:—grand maître.—Non vidi mai uno scrittore celebre circondato da uno stuolo d'ammiratori, che somigliasse, come quello, al corteo d'un monarca. È mio dovere d'aggiungere, però, che non vidi mai sul suo viso nemmeno un lampo, che esprimesse compiacenza vanitosa dell'ammirazione che lo circondava. È vero, d'altra parte, che c'è abituato da cinquant'anni. Un grande lume rischiarava in pieno il suo viso, e io non potevo saziarmi di guardarlo, tanto mi pareva singolare. Il viso, di Vittor Hugo, infatti, per me, è ancora un problema. È un viso che ha due fisonomie. Quando è serio, è serissimo, quasi cupo; pare un viso che non abbia mai riso, non solo, ma che non possa ridere; e i suoi occhi guardano la gente con un'espressione che mette inquietudine. Gli si direbbe:—Hugo, fatemi la grazia di guardare da un'altra parte.—Sono gli occhi d'un giudice glaciale o d'un duellante più forte di voi, che voglia affascinarvi collo sguardo. In quei momenti mettetegli, col pensiero, un turbante bianco sul capo: è un vecchio sceicco; mettetegli un casco: è un vecchio soldato; mettetegli una corona: è un vecchio re vendicativo e inesorabile. Ha non so che dell'austerità d'un sacerdote e della tetraggine d'un mago. Ha una faccia leonina. Quando apre la bocca, par che ne debba uscire un ruggito, e quando alza il pugno robusto, par che non debba abbassarlo che per stritolar qualche cosa. In quei momenti sul suo viso si legge la storia di tutte le sue lotte e di tutti i suoi dolori, la tenacia ferrea della sua natura, le simpatie tetre della sua immaginazione, i suoi fornati, i suoi feretri, i suoi spettri, le sue ire, i suoi odii; tutta l'ombre, come egli direbbe, tutto il côte noir delle opere sue. Ma a un tratto, come m'accadde di vedere quella sera, mentre un tale gli raccontava un aneddoto comico d'un fiaccheraio di Parigi, egli dà in una risata così fresca e così allegra, mostrando tutti i suoi denti uniti, piccoli e bianchi; e in quel riso i suoi occhi e la sua bocca pigliano un'espressione così giovanile e così ingenua, che non si riconosce più l'uomo di prima, e si riman là stupiti, come se gli fosse caduta dal viso una maschera, e si vedesse per la prima volta il vero Hugo. E in quei momenti vedete, come per uno spiraglio, dietro di lui, Deruchette, Guillormand, Mademoiselle Lise, Don Cesare di Bazan, Gavroche, i suoi angeli, il suo ciel bleu, e tutto il suo mondo luminoso e soave. Ma non sono che lampi, rari sul suo viso come nei suoi libri; dopo di che egli riprende il suo aspetto pensieroso e tetro, come se meditasse la catastrofe d'uno dei suoi drammi sanguinosi. E più si guarda, meno si può credere che sia quello stesso Hugo di mezzo secolo fa, magro, biondo, gentile, al quale gli editori e i direttori di teatro che andavano a cercare a casa l'autore dell'Ernani, dicevano:—Fateci il favore di chiamar vostro padre. Mentre Vittor Hugo parlava a bassa voce con un suo vicino, io attaccai discorso con un signore accanto a me, un uomo sulla cinquantina, d'una bella fisonomia d'artista; il quale, dopo poche parole, mi disse ch'era amico di Vittor Hugo, e che qualche volta scriveva delle lettere in nome suo. Fra le altre cose gli parlai dell'emozione che avevo provata la mattina salendo le scale. —Perchè mai?—mi domandò gentilmente. Vittor Hugo è così —dolce, così affabile con tutti! Egli ha il cuore d'una fanciulla —e i modi d'un bambino. Tutto quello che v'è di aspro e di —terribile nei suoi libri è uscito dalla sua grande immaginazione, —non dal suo cuore. Non vedete che gli trapela la dolcezza dal viso? —Guardatelo. Lo guardai. In quel momento appunto era così accigliato e così fosco, che non avrei osato sostenere il suo sguardo. —È vero—risposi. Poi mi parlò delle sue abitudini. —Egli ha le abitudini più semplici di questo mondo—disse.—Non lo avete mai incontrato sull'imperiale dell'omnibus di via Clichy? Di tanto in tanto va a far un giro per Parigi nell'omnibus che passa per la sua strada, in specie quando ha bisogno di scrivere. Ritrovarsi così in mezzo al popolo, rivedere tanti luoghi pieni di memorie per lui, contemplare Parigi di volo, dall'alto, all'aria fresca della mattina, lo ispira. In quel momento colsi a volo una frase di Vittor Hugo che mi rimase impressa.—L'Académie—diceva—qui est pleine de bonté pour moi.—E mi ricordai di quello che avevo inteso dire: che in non so quale occasione, comparendo lui all'Accademia, tutti gli accademici, caso rarissimo, si alzarono in piedi. E il mio vicino continuò: —Egli lavora ogni giorno, lavora sempre. Dalla mattina quando si leva fino alle quattro dopo mezzogiorno, è a tavolino. Il suo cervello è sempre in attività. La creazione, per lui, è un bisogno. E anche quando non si sente ispirato, lavora, com'egli dice, pour Tag: viso tutti uno prima vicino due grande tutto sue Argomenti: due sole, mezzo secolo, turbante bianco, terribile dramma, casa illustre Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero La trovatella di Milano di Carolina Invernizio Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerte Capodanno Bali Rimedi naturali acne La cura dell'acquario L'innesto della rosa Tivoli
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