Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis pagina 13

Testo di pubblico dominio

in tanto una scossetta elettrica, farvi pesare, portare, fotografare, profumare, curare; ci sono stazioni di pompieri, corpi di guardia, farmacie, infermerie: non manca che il camposanto. Ci son poi le ore fisse per lo studio e per le esperienze scientifiche, e allora i visitatori accorrono e s'affollano in quei dati punti. Qui, nella sezione francese, si comunicano al pubblico le opere della biblioteca del Corpo insegnante; più in là un professore spiega i modelli anatomici; nella sezione russa si fanno gli esperimenti del passaggio dell'aria a traverso i muri; un medico americano fa funzionare i mobili chirurgici; un dentista opera l'estrazione della carie con uno strumento a vapore. Si può andare ad assistere alla fabbricazione delle sigarette di Francia, a veder fare la carta dalla fabbrica Darblay, a vedere le esperienze della luce elettrica nel padiglione russo, o quelle del riscaldamento e dell'illuminazione nel parco del Campo di Marte. Altri vanno a vedere alla prova il telefono Bell, o l'apparecchio telegrafico che trasmette con un solo filo duecento cinquanta dispacci in un'ora, o il semaforo del nostro Pellegrino; oppure a leggere i vecchi processi per stregoneria esposti nel padiglione del Ministero degl'interni di Francia. Intanto dei maestri spiegano i nuovi metodi d'insegnamento, tutti gl'inventori di qualche cosa hanno il loro circolo di uditori, tutte le nuove macchinette sono in movimento, gli album colossali si aprono, le carte geografiche si spiegano, i mappamondi girano, mille strumenti suonano; da ogni parte c'è uno spettacolo, una scuola o una conferenza; l'Esposizione è diventata un enorme ateneo internazionale che ci dà per venti soldi tutto lo scibile umano. Quella che attira più gente, a tutte le ore, è l'esposizione delle belle arti. Ma a me manca quasi il coraggio d'entrarvi. Mi conforta soltanto il pensiero di non aver da rendere che l'impressione confusa della prima visita. Sono diciassette pinacoteche in una successione di padiglioni che si estendono da un'estremità all'altra del Campo di Marte;—il mondo intero—qui si può dire propriamente,—il passato e il presente, le visioni dell'avvenire, le battaglie, le feste, i martirii, le grida d'angoscia e le risate pazze; tutta la grande commedia umana con l'infinita varietà delle scene tra cui si svolge, dalla reggia alla capanna, dai deserti di ghiaccio ai deserti di sabbia, dalle più sublimi altezze alle più arcane profondità della terra. Questa è la parte dell'Esposizione dove si ricevono le impressioni più vive. Quanti occhi rossi ho veduti, quante espressioni di pietà, di dolore, d'orrore, e quanti bei sorrisi di bei volti che mi rimasero nella memoria come un riflesso dei quadri! Il museo enorme s'apre colla esposizione della scultura di Francia, a cui seguono le sale dell'Inghilterra. Qui, a dirla schiettamente, di tutta quella pittura corretta, pallida, diafana, di colori limpidi, piena di pensieri delicati e di belle minuzie, ricordo soltanto quella splendida glorificazione della vecchiezza guerriera, dell'Herkomer, intitolata gl'Invalidi di Chelsea, dinanzi ai quali si chinerebbe la fronte in atto di venerazione; i poveri di Londra, di Luke Fildes, che m'hanno fatto sentire il freddo d'una notte di gennaio e l'angoscia della miseria senza tetto; e il Daniele tra i leoni di Briton Rivière, nel quale la tranquillità sublime dell'uomo in cospetto di quel gruppo di belve fameliche, ma affascinate, soggiogate, schiacciate da una forza sovrumana e invisibile, è resa con una potenza che mette in cuore lo sgomento misterioso del prodigio. Dinanzi a cento altri quadri, passo frettolosamente, spinto dall'impazienza di arrivare all'Italia, dove trovo una folla sorridente che amoreggia colle statue. Sento uno che brontola:—E dire che tutte queste cosettine ci vengono dalla patria di Michelangelo!—Ma tutti i visi intorno esprimono un sentimento d'ammirazione amorosa e serena. Davanti ai quadri del De Nittis, il pittore ardito e fine di Parigi e di Londra, c'è un gruppo di curiosi che si disputano lo spazio; e s'indovina dal movimento dei volti, dalla vivacità dei gesti, dalla concitazione dei dialoghi, quel cozzo forte di giudizi contrarii, da cui scaturiscono le scintille che vanno a formare le aureole. Un tale dice:—Belle pagine di giornale illustrato!—Ma l'aria dei boulevards si respira, l'umidità del Tamigi si sente, l'ora s'indovina, i visi si riconoscono, tutta quella vita si vive. Nell'altra sala guardo intorno se c'è il Pasini, per gridargli: —Salve, o fratello del sole!—Il suo forte e splendido Oriente è là, vagheggiato da cento occhi pensierosi. E vorrei vedere il Michetti, quel caro viso di scapigliato di genio, per stringergli la guancia tra l'indice e il pollice, e dirgli che adoro le gambine pazze delle sue bagnanti e l'azzurro favoloso della sua marina. Ed ecco finalmente Jenner. Qui osservo una cosa singolare. La gente che entra con un sorriso sulle labbra, si ferma e corruga la fronte. Tutti i visi, fuggitivamente, riflettono il viso intento e risoluto di Jenner, come se tutti, per un momento, si sentissero nelle mani la lancetta benefica del dottore e il braccio renitente del bambino; e tutti pensano, e nessuno parla, e chi s'è già allontanato, o si sofferma o ritorna, come tirato indietro a forza dal filo tenace d'un pensiero. Che cara soddisfazione! E ne provo un'altra subito nella sala vicina incontrando il viso onesto e benevolo del Monteverde il quale mi accompagna fino alla frontiera d'Italia. E di là vo innanzi nelle sale della pittura straniera, dove il cielo si rannuvola e l'aria si raffredda. La Svezia e la Norvegia hanno dipinto i loro crepuscoli melanconici, mattinate grigie di autunno, chiarori strani di luna su mari strani, e pescatori e naufragi in cui si mostra maggiore dell'arte l'amore dolce e profondo della patria, colorato d'un sentimento di tristezza virile: centocinquanta quadri dominati tutti dai «Soldati svedesi che portano il cadavere di re Carlo XII» giù per la china d'una via solitaria, nella neve, sanguinosi, tristi, superbi; bel quadro semplice e solenne dell'Oederstrom, concepito da un'anima di poeta e sentito da un cuor di soldato. Seguono gli Stati Uniti. Il colosso dalle cento teste ha ancora la sua grossa mano di lavoratore un po' restìa al pennello. Io non ricordo che la risata della bella donna dell'Hamilton, e le faccie buffe dei ridacchioni del Brown. Il più degli altri quadri tradiscono i pittori scappati di casa, che hanno rifatta la pelle a Parigi, a Dusseldorf, a Monaco, a Roma,—e preso il colore—ma dilavato—della nuova patria. E subito dopo, la Francia… che ha messo il mondo a soqquadro. La storia, la leggenda, la mitologia, il cristianesimo, l'epopea napoleonica e la vita mondana, il ritratto, la miniatura e il quadro smisurato; l'audacia pazza e la pedanteria fradicia; c'è ogni cosa; ma sopra tutto una ricchezza grande d'invenzione e di pensiero, che rivela l'aiuto potente d'una letteratura immaginosa e popolare, d'un sentimento drammatico vivo e diffuso, e della vita varia, piena, appassionata, tumultuosa d'una metropoli enorme. Nelle prime sale intravvedo i quadri sentimentali, leccati, del Bouguerau. Il Dorè v'ha messo una delle sue mille visioni d'un mondo arcano, in cui si riconosce appena qualche forma vaga di cose e di creature terrene. Poi vien la storia dotta e severa d'Albert Maignan, e quella immaginosa, confusa, vista come a traverso il velo d'un sogno, in una grande lontananza di spazio e di tempo, dell'Isabey. In un'altra sala si drizza davanti a Massimiano Ercole il fantasma spaventoso di San Sebastiano, del Boulanger, e il Moreau affatica e tormenta le fantasie coi suoi sogni biblici e mitologici pieni di terrori, d'illusioni e d'enimmi, che restano conflitti nella memoria come le formule misteriose e sinistre di uno scongiuro. Poi si succedono i ritratti pieni di vita e di forza. Il Dubufe presenta Emilio Augier, il Gounod, il Dumas;

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Argomenti: bel quadro,    grande commedia,    filo duecento,    filo tenace,    fantasma spaventoso

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